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Sangue, scheletri e sifilide: Munch a Oslo tra arte e medicina

Installation views "Lifeblood". Credits: Ove Kvavik, Munchmuseet
Installation views “Lifeblood”. Credits: Ove Kvavik, Munchmuseet
Il proiettile nella mano, la sifilide, la follia: la medicina come ossessione e materia viva nell’arte di Edvard Munch, in mostra nella sua Oslo

Il proiettile non fu mai estratto… Nell’autunno del 1902, Edvard Munch si ferisce alla mano sinistra con un colpo di pistola durante una lite con Tulla Larsen, la sua compagna di allora. L’anulare resta gravemente danneggiato, la pallottola vi si conficca e lì rimane per il resto della sua vita. Ricoverato al Rikshospitalet di Oslo, Munch trasforma quell’esperienza traumatica in pittura: On the Operating Table (1902–03) mostra un corpo nudo, supino e castrato, circondato da figure cliniche – medici, studenti, un’infermiera – che sembrano più testimoni che curanti. Al centro della scena, una massa rossa informe e carnale: è sangue. Forse un cuore. Forse un’ombra uterina. O Forse solo dolore.

Accanto al dipinto, nella mostra “Lifeblood in corso al Munchmuseet di Oslo, è esposta la radiografia della sua mano ferita: un’immagine a raggi X tra le prime mai realizzate in Norvegia. È solo il primo segnale di quanto, nella vita e nell’opera di Munch, arte e medicina si siano intrecciate in modo viscerale, ossessivo, personale.

Edvard Munch, On the Operating Table, 1902–03.

Fin da bambino, l’artista norvegese si muove tra corsie e farmacie. Il padre e il fratello erano medici, e il giovane Edvard li accompagnava spesso durante le visite. Alcuni acquerelli realizzati a soli dodici anni – conservati e ora esposti – raffigurano scaffali di farmaci, bottiglie con etichette scritte a mano, un barattolo con un teschio e la scritta “Arsenic”, una boccetta blu di tinctura antihysterica. La quotidianità del sapere medico è già familiare.

Ma questa immersione precoce nel mondo clinico si intreccia presto alla tragedia familiare. La madre muore di tubercolosi quando Munch ha cinque anni, la sorella Sofie la segue pochi anni dopo, a quindici. Anche il fratello Andreas morirà giovane, a trent’anni, per una polmonite. La sorella Laura trascorrerà gran parte della vita in manicomio. La malattia, la follia e la morte erano gli angeli neri che vegliavano sulla mia culla”, scriverà l’artista.

Installation views “Lifeblood”. Credits: Ove Kvavik, Munchmuseet

Malattie del corpo e della mente diventano i soggetti di un intero universo visivo. In The Sick Child (1885–86), ispirato alla morte di Sofie, una figura femminile diafana giace sul letto, fragile, consumata. In mostra, l’opera è accostata a strumenti medici legati alla cura della tubercolosi: maschere, bottiglie per espettorato, rudimentali stetoscopi. Oggetti pensati per contenere o nascondere il morbo, per non turbare la vita domestica. Munch, invece, guarda dritto in volto la malattia e la restituisce senza abbellimenti.

Installation views “Lifeblood”. Sulla sinistra The Sick Child (1885–86). Credits: Ove Kvavik, Munchmuseet

La mostra è costruita come un montaggio tra opere, documenti clinici e reperti medici d’epoca, organizzati in sezioni tematiche ma percorsi da un’unica ossessione: il corpo che soffre. Self-Portrait with the Spanish Flu (1919) mostra Munch seduto, febbricitante, occhi infossati, bocca semiaperta in cerca d’aria. Poco distante, una teca custodisce il suo equipaggiamento respiratorio: maschere, tubi, una bombola d’ossigeno acquistata nel 1920, che l’artista continuerà a usare fino alla morte, nel 1944, per polmonite.

Il versante psichiatrico non è meno centrale. Nel 1908, dopo un collasso nervoso aggravato dall’alcol, Munch viene ricoverato in una nerve clinic a Copenaghen. Qui viene sottoposto a un trattamento moderno e umanizzato, e trasforma la propria stanza in uno studio. In parallelo, la sorella Laura, internata al Gaustad Hospital, vive tutt’altra condizione: in mostra, una finestra con sbarre proveniente dall’istituto permette uno sguardo concreto e simbolico sulla reclusione. Accanto, un telaio utilizzato nella terapia occupazionale degli internati testimonia l’estetica ruvida del manicomio novecentesco.

Installation views “Lifeblood”. Credits: Ove Kvavik, Munchmuseet

Una sezione è dedicata alla salute sessuale e al terrore della sifilide, tema centrale nell’immaginario di Munch. Madonna (1895), la celebre litografia con spermatozoi danzanti e un feto in un angolo, è affiancata da preservativi d’epoca e da un espositore con siringhe e modelli anatomici in cera. L’opera Inheritance (1897–99), una delle più controverse, raffigura una donna dallo sguardo febbrile che tiene in grembo un neonato macchiato di sangue. Munch raccontò d’aver assistito a una scena simile durante una visita al St Louis syphilis hospital di Parigi.

Installation views “Lifeblood”. Credits: Ove Kvavik, Munchmuseet

A chiudere il percorso, Dance of Death (1915), una litografia in cui l’artista si ritrae mentre danza con uno scheletro. L’opera fu dedicata all’anatomista Kristian Schreiner con parole ironiche e definitive: “Eccoci qui, due anatomisti: uno del corpo e uno dell’anima”.

Tra bisturi, referti, modelli patologici e ossessioni personali, “Lifeblood” mostra un Munch completamente immerso in una cultura visiva della medicina. Un artista per cui la sofferenza non fu mai solo un tema, ma una materia da sezionare, documentare e trasformare.

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