
Doveva essere un’esposizione simbolica, celebrativa dei valori americani anche in occasione del 250° anniversario dell’Indipendenza. Diventerà, chissà, un monumento a Donald Trump. Ancora lui, sempre lui, il tycoon diventato Presidente. E l’uomo che, secondo l’artista Andres Serrano, meglio incarna l’America
Nato nel 1950 a New York, Andres Serrano è un artista controverso e affilato come un bisturi e, da anni, in grado di cavalcare onde. Tanto che, l’ultima proposta, rivelata in una intervista a The Art Newspaper, è un Mausoleo per il Presidente Donald Trump per il Padiglione USA della Biennale di Venezia 2026. Titolo del progetto: The Game: All Things Trump. Sembra uno scherzo, e invece è tutto vero. E dietro c’è un archivio da oltre 200mila dollari: cimeli, gadget, memorabilia, persino una mini torta nuziale del matrimonio con Melania, tutto marchiato Trump. Tutto raccolto come reliquie di un culto moderno. Anzi: di un’ossessione.
L’arte – dice Serrano – deve osservare, non giudicare. Ma possiamo davvero restare spettatori neutrali quando la proposta coincide con l’apoteosi mediatica di chi ha trasformato la politica in reality show? “Non riesco a pensare a nessuno che possa rappresentare l’America meglio del presidente stesso”, ha detto Serrano. E forse, senza volerlo, ha colpito nel segno. Forse Trump è davvero l’America di oggi.
Ma quale America però? Non quella che costruisce ponti, ma quella che “li brucia”. Non quella che riflette, ma quella che si specchia narcisisticamente nel proprio culto. Non quella che sogna libertà, ma quella che chiude le porte in segno di una ritrovata sovranità nazionale.
La proposta di Serrano, depositata al Dipartimento di Stato USA, include anche il film Insurrection (2022), cronaca cruda dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. “Trump è pazzo, ma non lo è davvero. La sua follia è per il potere”, dichiarava lo stesso Serrano in un’intervista. “Vorrebbe essere re, abolire le elezioni, diventare Gengis Khan, Giulio Cesare, Napoleone”. E allora perché allestirgli un trono, anche se fatto d’arte?

Perché l’America – e con essa parte dell’Occidente – si è aggrappata al sogno di grandezza di Trump come fosse l’ultimo salvagente prima del naufragio. Il suo nome è diventato brand, slogan e rifugio psicologico contro la disillusione. La crisi economica, le disuguaglianze crescenti, il distacco delle élite: tutto ha trovato nel volto di Trump uno specchio deformante, ma rassicurante. Ha dato un nome all’insofferenza. Ha offerto nemici. Ha venduto soluzioni semplici per problemi complessi.
Così un artista che nel 1987 scandalizzava il mondo con Piss Christ – una croce immersa nella propria urina – oggi rischia di glorificare un’icona che, più di chiunque altro, con il suo modo di porsi ha avvelenato il dibattito pubblico americano. Eppure Serrano – come lui stesso dichiara, fa da “specchio”, osserva, e lo specchio, si sa, riflette anche ciò che non vogliamo vedere.

Ma a questo punto la domanda è inevitabile: davvero siamo arrivati a questo? Davvero la più grande vetrina artistica del mondo deve trasformarsi in un santuario al culto trumpiano? Davvero abbiamo smesso di usare l’arte per porci domande, e l’abbiamo ridotta a merchandising ideologico?
Ancora Serrano dice che Trump “ha un senso estetico”, che può perfino essere considerato un “artista concettuale”. Ed è proprio qui che sta il nodo: l’arte diventerebbe complice del potere e dell’economia, invece che sua coscienza critica. I più scaltri osserveranno: “Ma perché, già non fa?”. Già.
E se Serrano non cerca risposte, un mausoleo a Trump – oggi, non è solo una provocazione estetica: è il termometro di una febbre collettiva che esalta alcuni e inorridisce altri, ma difficilmente lascia indifferenti.













