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Antica iscrizione nel Sinai: un indizio su Mosè?

Rovine dell'antico tempio egizio di Serabit el-Khadim, Gebel Garabe, Sinai, Egitto, incisione da The Holy Land, Syria, Idumea, Arabia, Egypt and Nubia, Volume III, litografie di Louis Haghe da disegni di David Roberts, Londra, 1849. De Agostini tramite Getty Images
Rovine dell’antico tempio egizio di Serabit el-Khadim, Gebel Garabe, Sinai, Egitto, incisione da The Holy Land, Syria, Idumea, Arabia, Egypt and Nubia, Volume III, litografie di Louis Haghe da disegni di David Roberts, Londra, 1849. De Agostini tramite Getty Images
Un gruppo di segni incisi su antiche rocce del Sinai torna a far discutere storici e archeologi. Una nuova interpretazione delle iscrizioni proto-sinaitiche scoperte nella miniera egiziana di Serabit el-Khadim potrebbe contenere un riferimento diretto a Mosè, la figura centrale dell’Esodo biblico.

Secondo quanto riportato da Archaeology Magazine, l’ipotesi arriva dal ricercatore indipendente Michael S. Bar-Ron. Dopo quasi dieci anni di studi, supportati da scansioni 3D e immagini ad alta risoluzione del Semitic Museum di Harvard, Bar-Ron sostiene di aver individuato due frasi in ebraico antico: zot mi’Moshe (“Questo è di Mosè”) e ne’um Moshe (“Un detto di Mosè”).

Se l’interpretazione fosse corretta, si tratterebbe del più antico riferimento extrabiblico mai rinvenuto al leader dell’Esodo, antecedente persino ai primi testi ebraici conosciuti e all’alfabeto fenicio. Le iscrizioni fanno parte di un più ampio gruppo di testi proto-sinaitici, già portati alla luce all’inizio del Novecento dall’archeologo Flinders Petrie. Si ritiene che furono incisi da operai semitofoni durante il regno del faraone Amenemhat III, attorno al 1800 a.C., rendendoli tra le prime forme di scrittura alfabetica.

La lettura di Bar-Ron, però, non convince tutti. In una bozza di tesi, il ricercatore ipotizza che molte incisioni possano essere opera di un solo scriba semitico, esperto di geroglifici egiziani, che avrebbe usato la scrittura proto-sinaitica per riflessioni religiose personali.

Tra le iscrizioni emergono nomi divini: alcune citano El, antico appellativo di Dio, altre invocano Ba’alat, controparte semitica della dea egizia Hathor. In diversi casi, il nome di Ba’alat appare cancellato, segno di un possibile conflitto teologico. Non mancano allusioni a “sorveglianti”, “schiavitù” e persino una frase che Bar-Ron interpreta come “andarsene” (ni’mosh), elementi che alimentano il sospetto di un legame con un racconto di fuga, forse un vero Esodo.

Gli specialisti, tuttavia, restano cauti. Thomas Schneider, egittologo dell’Università della British Columbia, ha definito la teoria “indimostrata e fuorviante”, avvertendo che “l’identificazione arbitraria delle lettere può distorcere la storia antica”. La scrittura proto-sinaitica, spiegano gli studiosi, resta tra le più difficili da decifrare e un consenso accademico appare lontano.

Per ora, la ricerca di Bar-Ron non è stata sottoposta a revisione paritaria, anche se il suo relatore, Pieter van der Veen, ne ha approvato le conclusioni preliminari e ne incoraggia l’approfondimento.

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