
Fino a domenica, Piazza San Marco ha una faccia nuova. Una faccia che non ha occhi, bocche, sorrisi. Una faccia fatta di cento schiene. La monumentale installazione Dreams in Transit, curata da Art for Action Foundation e ospitata da The Human Safety Net, è esplosa sulla facciata delle Procuratie.
Non un piccolo intervento, non un gesto timido. Un urlo silenzioso, in bianco e nero, che prende lo spazio più fotografato del pianeta e lo piega, lo ricrea, lo restituisce diverso. Cento ritratti fotografici. Tutti rifugiati. Tutti di spalle. Ecco il ribaltamento: nessuno ti guarda negli occhi. Nessuno ti chiede pietà. Nessuno si mette in posa.
No.
Queste persone guardano quello che guardi tu. La stessa direzione, la stessa prospettiva. È un cortocircuito visivo e mentale.
Tu, turista con cappellino, macchina fotografica e gelato che si scioglie. Tu, veneziano di passaggio con le borse della spesa. Tu, spettatore casuale, sei improvvisamente parte dell’opera.
“Attraverso il linguaggio dell’arte – dice Emma Ursich, Ceo di The Human Safety Net – invitiamo a riflettere su identità, appartenenza e inclusione. Il nostro lavoro è su ciò che accade dopo la migrazione, quando le persone devono ricominciare”. E allora capisci che non si parla di numeri freddi ma di vite in ricostruzione.
Dal 2017, il programma Per i Rifugiati ha raggiunto 13.000 persone in sei Paesi, generato 650 start-up, creato 1.500 posti di lavoro. Cifre che qui, davanti a cento corpi fotografati, non sono statistiche ma muscoli, mani, sogni che non hanno smesso di pulsare. Dentro, nella Casa di The Human Safety Net, il racconto si allarga. Dal maggio scorso fino al 15 marzo 2026, una mostra collettiva raccoglie storie, installazioni, suoni. Ci sono le fotografie di Leila Alaoui, la ricerca di Ange Leccia, le visioni di Lorraine de Sagazan e Anouk Maugein.

E soprattutto le voci di Sarah Makharine, che con Echos of Dreams lascia che siano i rifugiati stessi a raccontarsi.
Non più figure immobili ma presenze sonore, sussurri di speranze e paure. Fuori, intanto, Venezia fa la sua vita normale. I turisti si mettono in fila per il campanile. I gondolieri gridano tariffe come sempre. Eppure, alzando gli occhi, qualcosa cambia.
Non vedi solo architettura, vedi una comunità in sospensione. Dreams in Transit non è sull’arrivo. Non è sulla partenza. È su quel momento sospeso, fragile, tra l’addio e la promessa di un futuro.
Un limbo che tutti conoscono ma che nessuno vuole nominare. Guardando le cento spalle capisci che la migrazione non è un incidente geopolitico. È un atto di resistenza quotidiana. È un modo di ridefinire l’identità. È un gesto collettivo che genera nuove comunità, nuovi linguaggi, nuovi ponti invisibili. Amandine Lepoutre, presidente di Art for Action, e Gabriele Galateri di Genola, presidente della Fondazione The Human Safety Net, lo hanno detto alla presentazione: la visione è condivisa, ed è quella di dare strumenti reali, lavoro, possibilità concrete.
Non si parla di carità. Si parla di futuro.E allora sì, Dreams in Transit è arte. Ma è anche specchio, che ti rimanda addosso la domanda che non puoi più ignorare: tu, cosa stai guardando?
E soprattutto: tu, da che parte stai? Perché, a Piazza San Marco, anche tu sei ritratto di spalle.













