
Negli ultimi cinquant’anni la Sindone di Torino è stata oggetto di una lunga serie di esami scientifici: radiocarbonio, raggi X, spettroscopia ultravioletta e infrarossa, analisi di residui di sangue e polline. Nonostante ciò, per gli storici il punto di partenza rimane una lettera inviata nel 1389 dal vescovo di Troyes Pierre d’Arcis a papa Clemente VII, nella quale il telo veniva descritto come “astutamente dipinto” e privo di origine miracolosa.
Un documento recentemente scoperto mostra che d’Arcis non era isolato nelle sue accuse. Già negli anni 1370, infatti, il teologo normanno Nicole Oresme aveva definito la Sindone un falso, fornendo così la più antica testimonianza scritta finora nota.
All’epoca, il lino lungo oltre quattro metri non apparteneva ancora ai Savoia né era giunto a Torino, dove arrivò solo nel 1578. Si trovava invece in una chiesa della Champagne, proveniente dai beni del cavaliere Geoffroi de Charny. Qui il telo veniva mostrato ai fedeli in cambio di offerte, attirando l’attenzione critica di Oresme. Nel suo Problemata, dedicato a spiegare fenomeni considerati misteriosi, il teologo indicava la Sindone come esempio di frode ecclesiastica. “Molti ecclesiastici ingannano così gli altri per ottenere offerte per le loro chiese”, scriveva, definendo il telo un falso “chiaro” e “palese”.
Gli scritti di Oresme sono oggi al centro di un saggio pubblicato sul Journal of Medieval History da Nicolas Sarzeaud, specialista di reliquie medievali dell’UCLouvain. Secondo lo studioso, il riferimento conferma che l’affaire di Lirey ebbe grande risonanza oltre la diocesi di Troyes, fino ai circoli accademici ed ecclesiastici della Francia settentrionale.
Il telo era già stato contestato nel 1355, quando Geoffroi de Charny lo aveva esposto come il lenzuolo di Cristo. Allora il vescovo Henri de Poitiers, predecessore di d’Arcis, aveva concluso che fosse un manufatto artificiale e individuato i falsari. Lo scandalo costrinse la famiglia Charny a nascondere la Sindone per oltre trent’anni, prima di riproporla nel 1389. Dopo lo scambio di lettere con d’Arcis, Clemente VII ne autorizzò l’esposizione, ma solo come rappresentazione e non come reliquia autentica.

Nonostante tali origini controverse, la Sindone tornò a guadagnare legittimazione nel 1453, quando Marguerite de Charny la vendette ai duchi di Savoia. La transazione, condotta in segreto, le permise di essere ripresentata come vera reliquia della Passione. Nel 1506 papa Giulio II ne autorizzò ufficialmente il culto.
Per i fedeli contemporanei, le critiche di Oresme difficilmente metteranno in discussione la devozione. Lo stesso vale per le indagini più recenti, che grazie ad analisi 3D hanno suggerito come il telo fosse avvolto attorno a una scultura e non a un corpo umano.














