
Nel cuore del Carré Rive Gauche, la Galerie Patrick Fourtin racconta l’Art Déco non come stile del passato, ma come linguaggio ancora vivo. Un approccio curatoriale che intreccia storia, materia e intuizione contemporanea
Parigi 1925. Con l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne, la capitale francese accende una miccia che incendierà l’estetica del XX secolo. Un secolo dopo, Parigi torna a interrogarsi su quel momento fondativo con la mostra “1925–2025” al Musée des Arts Décoratifs: un viaggio celebrativo, certo, ma anche un invito a ripensare le origini di un’idea di modernità che oggi, nel frastuono dell’iper-contemporaneo, sembra più viva che mai.
Ma cosa resta davvero dell’Art Déco, oltre le laccature, i motivi geometrici e il mito del lusso elegante? La risposta, sorprendentemente, non arriva (solo) dai musei. L’Art Déco vive nei luoghi in cui le opere continuano a circolare, a raccontare storie, a cambiare mani e significato. Uno di questi luoghi è la Galerie Patrick Fourtin, nel cuore del Carré Rive Gauche, dove la storia non si espone, ma si sceglie.

Patrick Fourtin — da molti considerato il massimo esperto del movimento — non si limita a collezionare: cura, ascolta e riscrive. Ogni pezzo della sua galleria è una soglia tra epoche, un oggetto carico di memoria ma anche aperto al presente. Mentre a Parigi si allestiscono le vetrine dell’Anniversario, Fourtin porta avanti un lavoro più silenzioso e radicale: trasformare l’Art Déco da capitolo chiuso a linguaggio ancora parlante.
Durante PAD London 2025, la galleria ha presentato una selezione potente: Jean Dunand, Eugène Printz, Arbus, Muthesius, Lucien Rollin, Poillerat, fino ai tesori della collezione Jacques Doucet. Nomi celebri, certo. Ma il punto non è l’autore, bensì il dialogo tra le forme, i materiali, le emozioni che suscitano. In un momento in cui il collezionismo rischia di diventare puro investimento, Fourtin riporta l’attenzione sul valore narrativo dell’oggetto: ogni mobile, ogni lampada, ogni scultura è una scena muta che aspetta di essere letta.

Non si tratta di nostalgia. L’Art Déco, in questa visione, non è solo un’elegante rovina da restaurare, ma un atlante emotivo, una grammatica formale che può ancora parlare al nostro presente fatto di incertezza e ricerca di bellezza duratura.
La mostra al Musée des Arts Décoratifs farà probabilmente il pieno di visitatori. Ma chi vuole capire davvero cosa significhi oggi ereditare un’estetica — e darle un futuro — dovrebbe attraversare la Senna e bussare alla porta della Galerie Patrick Fourtin. Lì, la storia dell’Art Déco non si celebra: si continua a scrivere.













