
A vent’anni dalla sua prima apparizione nella Scuderia Grande di Villa Panza a Varese, l’opera di Frangi torna a respirare a Palazzo Citterio
“Il mito della creazione sorgiva è contraddetto dalla presentazione, foglio dopo foglio, di un diario che mostra ispirazioni, deviazioni e false piste. Offrendo più chiavi di lettura a un’opera insieme complessa ed elementare”. Con queste parole Giovanni Agosti introduce lo spirito di Nobu at Elba Redux, la grande installazione di Giovanni Frangi che fino al 18 gennaio 2026 torna visibile al pubblico nella Sala Stirling di Palazzo Citterio, a Milano.
A vent’anni dalla sua prima apparizione nella Scuderia Grande di Villa Panza a Varese, l’opera ritorna in una sorta di riemersione, fedele al suo carattere originario ma carica della distanza del tempo. Non a caso, il termine Redux nel titolo indica un ritorno, un riavvolgimento della memoria che si riapre al presente. Anche oggi, come allora, Giovanni Agosti affianca Frangi in questo percorso di rilettura.

L’installazione si compone di quattro enormi tele per un totale di quaranta metri di pittura, che si innalzano dal pavimento formando una scenografia immersiva: un paesaggio notturno dove un fiume sfiora una boscaglia, una cascata riflette la luce lunare e le montagne chiudono lo sguardo sul cielo. Attorno, venti sculture in gommapiuma bruciata, simili a tronchi trascinati dalla corrente, vengono illuminate ciclicamente ogni dodici minuti.
Una scommessa
L’allestimento milanese, curato da Francesco Librizzi, si misura con la Sala Stirling, spazio brutalista dominato da volumi imponenti, cemento a vista e una monumentale scala interna. Per restituire l’esperienza originaria, è stata progettata una struttura che accoglie l’opera come una grande quinta scenica, preservando la continuità spaziale e visiva dell’installazione.
“Le tele di Nobu, insieme alle sculture, sono rimaste per vent’anni in un mio magazzino, arrotolate su sei tubi di quattro metri”, racconta Frangi. “Quando le ho srotolate, hanno ripreso a respirare, con l’olio che sembrava ancora fresco”. Rimontare l’opera nella Sala Stirling è stato un lavoro lungo, fatto di tentativi e verifiche, “una scommessa con il tempo che passa”, osserva l’artista.
Elemento essenziale del percorso espositivo sono i 132 fogli che documentano la genesi dell’opera: un diario visivo di studi, intuizioni e cambi di rotta, che smonta l’idea romantica di un’ispirazione immediata. “Mostrare questo materiale – sottolinea Agosti – significa svelare la complessità che sta dietro a un’immagine che, una volta compiuta, appare naturale e necessaria”.















