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I “segni dell’anima” di Antonio Sanfilippo in mostra alla Galleria Lombardi a Roma

Antonio Sanfilippo nella casa-studio di Via del Babuino. Roma, 1957. Courtesy Archivio Accardi-Sanfilippo Antonio Sanfilippo nella casa-studio di Via del Babuino. Roma, 1957. Courtesy Archivio Accardi-Sanfilippo
Antonio Sanfilippo nella casa-studio di Via del Babuino. Roma, 1957. Courtesy Archivio Accardi-Sanfilippo
Antonio Sanfilippo nella casa-studio di Via del Babuino. Roma, 1957. Courtesy Archivio Accardi-Sanfilippo
Concepita come primo capitolo di un progetto espositivo più ampio – che vedrà una mostra dedicata anche a Carla Accardi – Antonio Sanfilippo. Segni dell’anima #1 è in corso fino all’8 novembre presso la Galleria Lombardi a Roma. Del progetto e del rapporto tra Sanfilippo e Accardi abbiamo parlato con Guglielmo Gigliotti, autore del testo critico

“Noi siamo diversi perché al di sopra di tutte le cose che si vivono materialmente collochiamo la nostra arte sublime”. Scriveva così Antonio Sanfilippo (Partanna, 1923 – Roma, 1980) nel 1946, in una lettera indirizzata a Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014), sintetizzando in poche righe il loro rapporto d’arte e vita. Due pietre miliari dell’arte del Novecento, che hanno contribuito all’affermazione dell’astrattismo in Italia, e la cui storia rappresenta un unicum nell’ambito della storia dell’arte del XX secolo. Questo storia e questo rapporto “sublimi” sono al centro di un doppio progetto espositivo promosso dalla Galleria Lombardi a Roma, curato da Lorenzo ed Enrico Lombardi e con testo critico di Guglielmo Gigliotti. Antonio Sanfilippo. Segni dell’anima #1 è il titolo della mostra in corso presso la galleria romana fino all’8 novembre, cui seguirà Carla Accardi. Segni dell’anima #2, dal 6 dicembre 2025 al 10 gennaio 2026.

Galleria Lombardi, Roma.Antonio Sanfilippo. Mostra "Antonio Sanfilippo. Segni dell’anima #1"
Galleria Lombardi, Roma.Antonio Sanfilippo. Mostra “Antonio Sanfilippo. Segni dell’anima #1”

Delle origini del progetto e della storia di vita e d’arte tra Sanfilippo e Accardi abbiamo parlato con Guglielmo Gigliotti in questa intervista. 

La mostra dedicata ad Antonio Sanfilippo rientra nell’ambito di un progetto più ampio, intitolato emblematicamente “Segni dell’anima”, che nel suo secondo capitolo vedrà protagonista anche Carla Accardi. Da quali idee e quali presupposti nasce questo doppio progetto espositivo alla Galleria Lombardi?
I presupposti di questo dittico, di questa doppia personale concettualmente unitaria, dedicata a una coppia dell’arte e della vita come Antonio Sanfilippo e Carla Accardi (sposi prima e poi separati), vanno rintracciati nel bisogno di mettere a fuoco una stagione ormai storicamente compiuta, ovvero quella dell’astrazione novecentesca. Non che oggi non ci siano più pittori astratti, ma quel tipo di tensione espressiva, drammatica e gioiosa, tipica della metà del Novecento, non abita più le nostre gallerie e i nostri musei. Siamo in una fase di profonda trasformazione, anche interessante, dell’arte, dei suoi linguaggi, del suo concetto stesso e dei suoi strumenti. È in atto una sorta di mutazione genetica e antropologica dell’umano, che inevitabilmente modifica l’approccio alla realtà e al prossimo (basti pensare al digitale, al web, ai social) e l’arte ne risente, nel bene e nel male.

Cos’è avvenuto in Italia nel secondo Dopoguerra?
Nasce la grande arte astratta italiana, finalmente matura, sebbene già esistessero astrattisti in precedenza, capace di affermarsi non solo come via maestra dell’espressività contemporanea, ma anche per affermarsi all’estero e in Europa. È il caso di questi due fantastici artisti, Carla Accardi e Antonio Sanfilippo, che la Galleria Lombardi, insieme ad altri coraggiosi “avventurieri del segno” – e se vogliamo anche del sogno -, come Giulio Turcato, Piero Dorazio e gli altri componenti di Forma 1, desidera riportare al centro dell’attenzione critica. L’intento è quello di riflettere su cosa sia stata l’arte in quel periodo per comprendere meglio, sapendo da dove veniamo, dove stiamo andando. Si tratta di un progetto culturale consapevole e voluto da Enrico Lombardi e da suo figlio Lorenzo, che perseguono una strategia di approfondimento e di ricerca, attraverso mostre monografiche e cataloghi con testi critici, per tracciare un percorso di analisi, ricognizione e comprensione del mondo dell’arte di oggi e, potenzialmente, di domani.

Antonio Sanfilippo, Ocra marrone, 1964, tempera su tela, cm50x80
Antonio Sanfilippo, Ocra marrone, 1964, tempera su tela, cm50x80

Qual è il “segno” lasciato dalla coppia di artisti nell’arte italiana, dal secondo Novecento e ancora fino a oggi?
Il segno lasciato dalla “coppia del segno” Sanfilippo–Accardi è profondo, non tanto in senso formale o grafico, quanto per quello spirito di avventura e di entusiasmo che animò i giovani ventenni della seconda metà degli anni Quaranta: un’apertura verso il mondo e un desiderio di confronto con l’estero – fatto inedito per una nazione appena uscita da un regime totalitario e autarchico. Questo slancio di ricerca, quella volontà di affermarsi e di affermare la propria personalità nel nome dell’arte (intesa anche in senso “spiritualmente” politico) è un modo di essere dell’artista che ancora ci guida e sono sicuro che ci guiderà sempre.

In che modo la poetica e la pratica di uno hanno influenzato quelle dell’altra?
Questa è una bellissima domanda, perché entrambi nascono da una costola di Giuseppe Capogrossi, ovvero da quella rivoluzione segnica avvenuta tra il 1949 e il 1950, quando scoprono la possibilità di dire veramente tantissimo con pochissimo. Da quel momento, e soprattutto negli anni Cinquanta – periodo in cui alcune loro opere appaiono sorprendentemente affini – si sviluppa una sorta di ménage à trois tra loro e la dea della pittura. Due persone – che sono contemporaneamente anime gemelle e pittori gemelli – si rispecchiano nelle loro stesse opere. Ce ne sono alcune che ricordano il caso di Braque e Picasso, che cinquant’anni prima, nella Parigi delle avanguardie cubiste, producevano opere a volte indistinguibili.  Sanfilippo e Accardi si influenzano, sicuramente discutono, eppure si confrontano, si amano in nome dell’arte anche se sarà poi la stessa arte a separarli nel 1964.

Antonio Sanfilippo Senza Titolo, 1959, tempera su tela, cm73x60
Antonio Sanfilippo Senza Titolo, 1959, tempera su tela, cm73x60

Cosa accade dopo la loro separazione?
Carla Accardi proseguirà col suo percorso segnico così come Sanfilippo, il quale però morirà nel 1980 per un incidente stradale. Entrambi però a quel punto si erano ben distinti in due anime segniche differenti: Carla Accardi con un segno di tipo più strutturale perché lei è una costruttrice, lei configura – con nitore sia cromatico sia segnico – una scrittura quasi arcana, misteriosa, la scrittura dell’inconscio universale, tanto che nelle sue opere ancora oggi ci riconosciamo. L’artista scrive le sue lettere al mondo, un po’ come ha fatto Emily Dickinson, e rimane sempre limpida nella sua costruzione di fantastici arabeschi plastici. Antonio Sanfilippo è più lirico, più malinconico, le sue fitte nebulose di segni coagulati, agglomerati come tante piccole virgolette, sembrano galleggiare in una dimensione senza forza di gravità: lui è il poeta del segno.

Il nucleo di opere in mostra alla Galleria Lombardi cosa rivela della pittura di Sanfilippo?
La mostra rivela di Antonio Sanfilippo la sua straordinaria capacità ammaliatrice, il suo essere autore di “segni dell’anima”, una qualità intrinseca riscontrabile anche nelle opere selezionate da Lorenzo Lombardi: non c’è segno, tra migliaia tracciati su queste tele, che non corrisponda a una petite sensation – come diceva Cézanne – una piccola sensazione del mondo. C’è una sincerità e un’autenticità drammatica che nasce da questo piccolo sismografo dell’anima. Ogni segno è scritto sull’anima stessa di Sanfilippo, uomo fragile e forte insieme (come, in fondo, lo siamo tutti), incapace di adattarsi ai meccanismi pubblici o al grande mercato internazionale – cosa di cui, forse, soffrì un po’. Oggi, però, sta ritrovando il suo posto nello scenario dell’arte astratta europea. Antonio Sanfilippo è il pittore la cui opera ti ipnotizza: con lui si sogna e si danza, seguendo il ritmo dei suoi infiniti segni, perché questo ticchettio interiore continua a risuonare nell’animo di chi guarda, anche allontanandosi dalle opere. Questo è il fascino misterioso e potentissimo di un delicatissimo poeta del segno.

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