
Fino al 30 novembre il Diocesano di Brescia ospita l’esposizione dedicata al padre dell’Azionismo Viennese
Lascia la pittura, per passare all’azione e ritornare alla pittura: un percorso che sa di viaggio dell’eroe, un ritorno ad Itaca, dopo aver affrontato la sfida del secolo breve, risvegliare e scuotere le coscienze del XX secolo, scegliendo il linguaggio del mito e del sacro. Fino al 30 novembre, il Museo Diocesano di Brescia ospita la mostra Hermann Nitsch. Corpo-Sacro-Mito, curata da Ilaria Bignotti, e dedicata al padre dell’Azionismo Viennese.
Una mostra che prosegue il ciclo espositivo avviato con la precedente Paolo Scheggi. L’Apocalisse, la morte, il sacro, portando alla luce, allo stesso modo, i lati più nascosti di un artista fondamentale per la contemporaneità. Nitsch, austriaco classe 1938, aveva vissuto in prima persona gli orrori della guerra e portava su di sé la croce – elemento non casuale nelle sue Aktion – del Nazismo di cui si era macchiato il proprio Paese.

La violenza che caratterizza i suoi lavori, che sconcerta e stupisce ancora oggi il pubblico, non era vana ostentazione ma la sincera espiazione di un dolore sentito e rappresentato, la ricerca di una redenzione, “rivendicando il diritto di guardare nell’abisso, di riaprire i coperchi che nascondevano le fosse dei morti”, scrive Bignotti nel catalogo, perché “non bisogna aver paura di vedere, bisogna aver paura di non vedere”.
Un disegno ipnotico
Ora, stupisce meno, forse, la scelta di un’istituzione cristiana di esporre Nitsch. Una decisione audace, che tuttavia trova una ragione coerente nella storia dell’arte e nella religione cattolica. Il rito della messa è, infatti, la rievocazione di un sacrificio cruento, in cui il sacerdote – colui che rende sacro – si offre corpo e sangue. Massima espressione dell’incontro corpo-sacro-mito è la reliquia, per definizione, ciò che resta. I Relitti esposti assumono così la funzione di sindone, rimandano ad una violenza ed al suo superamento nella carne, ad una ferita (sangue) ed alla sua cura (garze e cerotti).

Infine, la serie dei grandi teleri esposti nel loggiato valgono l’intera visita; non solo per il valore storico artistico di Reliktbilder, ovvero tele-relitto utilizzate durante le azioni su cui poi Nitsch è intervenuto graficamente, ma anche per la perizia tecnica con cui sono state realizzate, la ricchezza dei colori, l’iconografia autentica ma rinnovata.
Un Nitsch praticamente inedito che oggi parla più che mai, attraverso un disegno ipnotico, caleidoscopico, in cui anatomie di corpi si mescolano a forme biologiche e formule matematiche, si sovrappongono a vasi sanguigni-nervi-cavi, che rimandano all’universo cyberpunk di Tetsuo e fantascientifico di Metropolis. Si arriva poi alla Conquista di Gerusalemme – un circuito elettrico preso d’assalto da una massa organica onnifagica – che illustra le parole di Nitsch: “il mito ci conduce nelle profondità, nell’essenza della vita, nelle radici dell’essere”.















