
La 17a edizione di Abu Dhabi Art si tiene da oggi al 23 novembre 2025 al Manarat Al Saadiyat. Organizzata dal Dipartimento Cultura e Turismo di Abu Dhabi, la fiera vedrà l’artista emiratina Shaikha Al Mazrou come artista della campagna visiva per il 2025. Intervistiamo l’artista, il cui ruolo influente nel dinamico panorama artistico degli Emirati Arabi Uniti è ampiamente riconosciuto.
Shaikha, sei nata nel 1988 e hai partecipato per la prima volta all’Abu Dhabi Art Fair nel 2017 come artista emergente. Qual è, secondo te, la differenza tra quegli anni e il punto in cui sei arrivata ora, per te e il tuo percorso artistico?
Quando ho partecipato per la prima volta ad Abu Dhabi Art nel 2017 come artista emergente, stavo ancora definendo il linguaggio della mia pratica, testando materiali, mettendo in discussione la forma e imparando come il mio lavoro potesse occupare lo spazio. Quegli anni sono stati caratterizzati da sperimentazione e intuizione, una sorta di curiosità intrepida che ha plasmato le mie fondamenta. Ora, arrivo con un senso di chiarezza e intenzione molto più profondo. La mia pratica è maturata non solo in termini di scala, ma anche di pensiero: le domande che pongo ai materiali, all’architettura, alla percezione e al corpo sono più sfumate. Sono diventato più paziente con il processo, più critico con i concetti e più sicuro nel lasciare che l’ambiguità prenda spazio. La differenza tra allora e oggi è radicata nell’esperienza. Anni di creazione, fallimento, perfezionamento e ripensamento mi hanno dato una voce più forte e una comprensione più ampia di ciò che il mio lavoro può contenere. Ho imparato ad accettare la lentezza, ad avere fiducia nel lungo termine e a lasciare che il lavoro si evolvesse in modi che non avrei potuto immaginare nel 2017. Eppure conservo la stessa curiosità dei miei primi anni, solo con una lente più nitida e una prospettiva più concreta.

Ritieni che la scena artistica degli Emirati si sia sviluppata in modo significativo negli ultimi anni, con la crescita delle fiere a Dubai e Abu Dhabi, la crescente importanza della Biennale di Sharjah, la nascita di nuovi musei e fondazioni nella regione? Ritieni che ciò rappresenti un reale vantaggio per gli artisti emiratini?
Assolutamente sì, la scena artistica negli Emirati si è espansa in modi quasi inimmaginabili solo un decennio fa. La crescita delle fiere di Dubai e Abu Dhabi, la crescente importanza internazionale della Biennale di Sharjah e l’emergere di nuovi musei e fondazioni hanno plasmato un ecosistema culturale più dinamico. Ora esiste un’infrastruttura più ampia che supporta la produzione, la ricerca e il dialogo, e questo rappresenta un cambiamento significativo.

Pensi che il tuo lavoro possa essere descritto fondamentalmente come una riflessione su forma e colore? Dove la forma stessa è un misto tra minimalismo e negazione della sua stabilità e geometria, alla ricerca di una via d’uscita da momenti definitori e allo stesso tempo il colore offre un’altra via d’uscita da una definizione rigida, perché apre alla giocosità e a una relazione con la diversità. Vuoi esprimere la tua opinione su questi concetti?
Capisco perché il mio lavoro venga spesso letto attraverso la lente della forma e del colore: sono questi i punti di accesso più immediati. Ma per me sono semplicemente strumenti per sondare questioni più profonde. Le forme che creo prendono in prestito dal minimalismo, ma si oppongono anche ai suoi presupposti di stabilità, purezza e geometria fissa. Mi interessa cosa succede quando una forma inizia a scivolare, cedere, piegarsi o contraddire la propria logica. Quella tensione, tra struttura e collasso, tra chiarezza e incertezza, è il punto in cui l’opera prende vita. Non si tratta di negare il minimalismo, ma di espanderlo, permettendogli di sperimentare vulnerabilità, elasticità e persino contraddizione. Il colore opera in modo simile. Invece di essere un ripensamento decorativo, diventa un’altra forma di liberazione. Il colore allenta la rigidità della geometria; apre l’opera alla giocosità, all’emozione, alla memoria culturale. Quindi sì, si potrebbe dire che il mio lavoro ha a che fare con la forma e il colore, ma non in senso formalista.
Lavori con l’arte pubblica nell’ambito di commissioni importanti come nel caso di Desert X AlUla, 2022, con un’opera dal titolo stimolante “Misurare la fisicità del vuoto”. Potresti descrivere quest’opera?
Misurare la fisicità del vuoto è stato per me un modo per esplorare il paradosso della presenza nell’assenza, come un vuoto possa diventare qualcosa che si percepisce, si misura e si registra fisicamente, pur essendo “vuoto”. Per Desert X AlUla, il paesaggio stesso è diventato il mio materiale. Il deserto è pieno di vuoti: cavità scavate, sacche erose, spazi negativi creati dal vento e dal tempo. Volevo rispondere a quel linguaggio di sottrazione, non riempiendolo, ma evidenziandolo. L’opera consisteva in forme scultoree gonfie e luminose, color rame, che si incastravano nelle formazioni rocciose esistenti. Occupavano gli spazi negativi, incuneandosi tra le superfici, appoggiandosi alle fessure, affermando silenziosamente ma insistentemente la loro presenza. Le forme gonfie introducono morbidezza, fragilità e tensione in un terreno monumentale e antico.

In questo momento un’altra delle tue opere, A throw of a dice will never abolish a chance, è esposta alla Triennale di Aichi, curata dal direttore artistico Hoor Al Qasimi. La poesia di Mallarmé è rappresentata con un’acqua grigia (fatta di acciaio?). Racchiuse in un quadrato, ci sono onde infinite, che mostrano le infinite possibilità della vita. Puoi darci un’idea di quest’opera così stimolante?
A Throw of the Dice Will Never Abolish Chance riflette il mio costante interesse per la fluidità della percezione e l’inevitabile presenza del caso all’interno dei sistemi strutturati. Riflettendo sull’acqua, sono attratto dalla sua complessità. L’acqua non è mai solo un motivo estetico; è poetica, politica, romantica e pragmatica allo stesso tempo. La sua chiarezza sfida il nostro modo di vedere, ricordandoci che è molto più che blu o verde. È una superficie riflettente che distorce, rifrange e rimodella la nostra comprensione della realtà. Ammirata per la sua calma o feticizzata per la sua potenza, l’acqua è sempre stata fonte di profonda contemplazione. Questa installazione si avvicina all’acqua come mezzo concettuale. Presenta una natura morta che cattura l’assenza di due corpi, congelati nel tempo attraverso il linguaggio delle increspature. Installata presso il Seto City Cultural Center, nell’area della fontana, l’opera è composta da piastrelle di marmo di giada nera meticolosamente lavorate, disposte secondo una griglia precisa. All’interno di questa struttura, emergono due distinte formazioni di increspature. I loro pattern derivano da equazioni matematiche che replicano il comportamento organico dell’acqua, consentendo alla pietra di assumere la fluidità visiva di una momentanea perturbazione su una superficie. Il titolo riconosce la natura imprevedibile dell’esistenza. Anche all’interno di una griglia rigida, le increspature si espandono, si sovrappongono e complicano la nozione di un’interpretazione fissa. L’opera invita gli spettatori a riflettere su come la percezione sia plasmata dal caso, su come ordine e disgregazione coesistano e su come qualcosa di antico e solido come il marmo possa evocare un fugace momento di movimento.
Insegni alla NYU Abu Dhabi e prima ancora alla Sharjah University. Che impatto ha questo lavoro sulla tua crescita artistica e personale?
L’insegnamento è stato una parte essenziale della mia crescita artistica e personale. Alla NYU Abu Dhabi, e in precedenza all’Università di Sharjah, l’aula è diventata un luogo di scambio piuttosto che di gerarchia. Lavorare con studenti provenienti da background, discipline e modi di pensare diversi mi sfida continuamente a rimanere curioso, reattivo e aperto. A livello personale, mi ha insegnato pazienza, empatia e umiltà. Osservare gli studenti sperimentare, fallire, ripensare e infine arrivare a qualcosa di inaspettato mi ricorda il motivo per cui faccio arte. La loro energia e la loro propensione al rischio spesso si riversano sul mio processo creativo. Quindi l’impatto è duplice. L’insegnamento arricchisce la mia pratica ampliando i miei strumenti intellettuali e concettuali, e mi arricchisce come persona radicandomi in una comunità di apprendimento costante, dialogo e scoperta condivisa.














