Print Friendly and PDF

L’osservatorio del presente. Biennale Architettura e dintorni

Una veduta del progetto «Elephant Chapel» realizzato dai thailandesi con mattoni durevoli in sterco di elefante Photo: Marco Zorzanello. Courtesy of La Biennale di Venezia
«Elephant Chapel» , Photo: Marco Zorzanello. Courtesy of La Biennale di Venezia
Un viaggio in un futuro pieno di rischi, conflitti e pericoli, che necessitano di un’alta dose di consapevolezza per essere affrontati con successo. Questa è “Intelligens. Natural. Artificial. Collective.”, la 19esima edizione della Biennale di Architettura, e senz’altro una delle più interessanti degli ultimi anni, che si avvia alla sua chiusura

Curata da Carlo Ratti, riunisce 750 progetti all’interno dell’Arsenale, che compongono una sorta di mappa del futuro del mondo divisa in tre sezioni. La prima indaga l’intelligenza in relazione alla natura, la seconda esplora le connessioni con l’IA e la terza è dedicata all’intelligenza sociale e collettiva: un percorso fluido – che può apparire a tratti caotico – che dà la sensazione di essere all’interno di un immenso laboratorio, anche grazie all’allestimento, curato dallo studio Sub. La quantità di informazioni è enorme, e impossibile da elaborare in una sola visita, ma la sensazione è quella di gettare uno sguardo al di là dell’architettura, in un pianeta futuribile dove la parola d’ordine è adattamento ad un mondo sempre più complesso e stratificato, pieno di sfide ma anche di enormi opportunità. Un’indagine sui materiali naturali, sul rapporto tra IA e architettura oltre ad uno sguardo sulle tecniche di apprendimento attraverso la saggezza collettiva sparsa ai quattro angoli del pianeta, dai mercati di Lagos ai campi profughi del Bangladesh.

Carlo Ratti

Mi auguro che la Mostra possa suggerire soluzioni ai problemi attuali, sperimentando un’idea di intelligenza multipla e inclusiva e una grande diversità ambientale, geografica, anagrafica e anche di genere” dichiara il curatore. Dobbiamo dargli atto che il risultato è stato ampiamente raggiunto, con qualche neo: in primis il posizionamento non sempre logico delle lunghe e a tratti poco comprensibili didascalie. Poi abbiamo notato troppa differenza tra i progetti presentati al centro dello spazio, attraverso installazioni monumentali, e i pannelli collocati lungo le pareti, troppi e a volte eccessivamente complessi. Un’abbondanza dovuta anche all’inclusività della manifestazione, che coinvolge esperti di varie forme di intelligenza: architetti e ingegneri, matematici e scienziati del clima, filosofi e artisti, cuochi e programmatori, scrittori e intagliatori, agricoltori e stilisti, e molti altri. Oltre all’IA, ovviamente. Un applauso a Carlo Ratti per aver immaginato una Biennale così aperta verso futuro, molto di più delle ultime due edizioni della Biennale Arte, che sembravano piuttosto mostre tematiche di grandi musei internazionali piuttosto che panoramiche sul presente. Interessanti, ben allestite, ma prive dello sguardo in avanti, in quanto rivolte a problematiche rilevanti per il mondo artistico ma troppo specifiche e lontane dalla quotidianità del nostro presente.

«Opera Aperta» nel Padiglione della Santa Sede. Photo: Marco Cremascoli

Appare singolare il fatto che negli ultimi anni arte e architettura sembrano essersi scambiate i ruoli nella manifestazione veneziana. Se un tempo era l’arte ad indicare visioni sul futuro mentre l’architettura sembrava confinata ad un’idea di progettazione di spazi fisici, ultimamente la prima si è concentrata su temi specifici, spesso appesantiti da incursioni nel Novecento, mentre la seconda ha assunto un carattere multidisciplinare e aperto verso le nuove tecnologie, grandi assenti nelle ultime due edizioni della Biennale Arte, curate da Cecilia Alemani e Adriano Pedrosa.

“Intelligens. Natural. Artificial. Collective.”

A questo punto è lecito porsi una domanda: forse la dimensione rassicurante della storia è diventata un rifugio per artisti che temono di misurarsi con il presente, mentre gli architetti hanno capito che il futuro della loro professione dipende dalla loro capacità di dialogare con altri mondi?

Commenta con Facebook