
Dal 22 novembre 2025 al 3 maggio 2026, Torino presenta nelle Sale Chiablese dei Musei Reali 23 opere di Orazio Gentileschi
Che sia Torino a fare una importante mostra sul pittore toscano è giusto e ben spiegabile. La città sabauda ha sempre avuto un rapporto privilegiato col pittore, sin da quando era «giovanetto», come scrive lui stesso al duca Carlo Emanuele I di Savoia il 2 aprile 1623. Non era proprio un ragazzo, aveva poco più di quarant’anni, quando, grazie alla frequentazione di ambienti legati al papa, riceve a Roma dal duca sabaudo la commissione di una pala d’altare con la Madonna in gloria con la Santissima Trinità, destinata all’appena costruita chiesa di Santa Maria al Monte dei Cappuccini.
La pala, che concilia impostazioni tardo cinquecentesche con lo studio del modello reale, passata al Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama di Torino, è ora esposta insieme ad un nucleo di opere “torinesi” nella mostra sul pittore. È la prima, nota di una serie di commissioni avute da Torino, che annoverano la tela con San Girolamo del 1610-1611, dello stesso Museo, e culminano nella bellissima Annunciazione spedita da Genova a Torino dal pittore, attraverso uno dei figli, con una lettera al duca in cui si ricorda anche l’invio di un dipinto con Lot e le figlie.

I toni tra pittore e duca sono affettuosi e di stima. Il Gentileschi spera di trovare una corte europea che lo accolga come merita. Torino è una delle speranze, e nella città sabauda era andato di persona nell’aprile del 1624, come risulta da una lettera del 17 aprile di quell’anno, in cui il duca sabaudo sollecita il figlio Vittorio Amedeo perché paghi con urgenza i 150 ducati che Gentileschi doveva a un locandiere. Il destino porterà invece il Gentileschi a Parigi e a Londra.
Tra fortune e sfortune
La mostra, curata da Annamaria Bava e Gelsomina Spione, con un catalogo (Moebius), racconta tutto il pellegrinare di Orazio dalla natia toscana a Roma, dalla capitale alle Marche, e poi a Genova, Parigi e Londra. Un viaggio di vita difficile, tra fortune e sfortune, ripercorso attraverso dieci sezioni e una quarantina di opere, 23 del pittore, altre degli artisti con cui ebbe a che fare.

Era nato a Pisa nel 1563 da una famiglia fiorentina di pittori e artigiani. Per farsi una sua strada va a Roma, molto giovane, accompagnato dal fratello Aurelio Lomi (Lomi, cognome iniziale, diventato Gentileschi da uno zio romano). Lavora nei cantieri papali in una città in ricostruzione dopo i danni del Sacco del 1527. Il suo stile è tardomanierista toscano, dovuto al primo apprendistato in famiglia, come ricorda La Madonna con il Bambino e santi di Palazzo Blu di Pisa.
Dal naturale
La sferzata moderna gli arriva da Caravaggio, allora giovane rivoluzionario in giro per le vie di Roma, in cerca di lavoro. Diventano amici, Orazio parteggia per il lombardo nelle sue numerose liti, anche legali, come il processo del 1603 di Caravaggio contro il Baglione. Gli impresta strumenti di lavoro, come ali di angeli e un saio, e intanto rimane affascinato dalla sua pittura realistica, ripresa da modelli veri e reali, senza disegno, solo col colore.

Orazio ne adotta il metodo “dal naturale”, ma da buon toscano continua col disegno prima della pittura, con esiti di luminosità ed eleganza come nel San Francesco sorretto da un angelo del 1607 circa, del Prado di Madrid (con le ali dell’angelo e il saio del santo imprestati nel 1603 a Caravaggio), di cui è esposta anche la versione delle Gallerie Nazionali di Palazzo Barberini di Roma del 1612 circa. Lontane dalla violenza caravaggesca, di luci ed ombre, ma equilibrate, pur nel nuovo avvicinamento alla realtà, nascono opere come il Battesimo di Cristo per la chiesa di Santa Maria della Pace a Roma, del 1607, o il David con la testa di Golia della Galleria Spada di Roma del 1610-1612.
Il famoso processo
Una tappa è dedicata al famoso processo del 1612, che il pittore intenta contro Agostino Tassi, violentatore della figlia Artemisia, giovane pittrice: Un periodo complesso e doloroso, in cui Gentileschi continua a lavorare ad affreschi e a dipinti nella sua casa-bottega in Campo Marzio, come il suggestivo San Girolamo, di Palazzo Madama, del 1610-1611, altro vanto “torinese”. Un’opera con alle spalle una storia vera, molto intrigante: ritrae infatti un pellegrino palermitano, che frequentava Campo dei Fiori a Roma e faceva da modello a vari pittori, Gentileschi in primis, presso cui posava intere settimane, come racconta nel processo del 1612.

Un’altra a tappa porta poi nelle vicende della vivace e anticonformista figlia Artemisia, di cui viene esposta la Conversione di santa Maria Maddalena di Palazzo Pitti e il Ritratto di gonfaloniere di Palazzo d’Accursio di Bologna, che testimoniano l’allontanamento dal linguaggio paterno per una propria cifra personale. Il lungo vagare di Orazio, dopo il processo, alla ricerca di corti aristocratiche che lo possano assumere o di commissioni, lo conducono dal 1613 al 1621 in alcune località del Lazio e delle Marche (Albano Laziale e Fabriano), dove lavora come artista stimato ad opere di grande finezza come la Visione di Santa Francesca Romana della Galleria Nazionale delle Marche di Urbino e la Santa Cecilia della Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia.
A Parigi
Dal 1621 al 1624 lo spostamento a Genova, dove lo porta il giovane patrizio Giovan Antonio Sauli e dove lavora per nobili committenti. A testimonianza sono presentate la tela con Giuditta e Abra con la testa di Oloferne dei Musei Vaticani. Da Genova all’attività per Torino e alla speranza di essere accolto a corte. Per uno scherzo del destino o degli uomini, la corte europea tanto ambita non sarà Torino, ma Parigi, grazie alla regina madre toscana Maria de’ Medici. Nel 1625 il Gentileschi infatti è nella capitale francese, un soggiorno difficile per concorrenza con altri pittori, di cui non si sa molto, testimoniato dall’unico capolavoro noto lasciato nella capitale, La Felicità pubblica che trionfa sui pericoli del Louvre, grandiosa e ricca di rimandi simbolici

Neppure a Parigi il Gentileschi regge a lungo. Nel 1626 si trasferisce alla corte londinese di Carlo I, su invito del favorito del re, George Villiers, duca di Buckingham. Un lungo pezzo di vita, che conosciamo nei dettagli, grazie a lettere e documenti. Molto sofferto dal pittore, per competizione con altri colossi della pittura come Rubens e Van Dyck, di cui non è da meno.
Sogna di tornare in patria e di conquistarsi la stima di Carlo I, mentre lavora ad opere mature e aristocratiche, sempre più sofisticate, come il Ritrovamento di Mosè del Museo del Prado, inviato nel 1633 come dono al re cattolico Filippo IV perché lo aiuti a tornare nella patria toscana. Non ci riuscirà e morirà a Londra nel 1639. Il capolavoro è esposto per la prima volta in Italia.
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Per saperne di più sui Gentileschi:
Maurizia Tazartes, Artemisia “tintora romana”, Sillabe, Livorno 2013.
Maurizia Tazartes, Artemisia Gentileschi, Skira, Milano 2016.
Maurizia Tazartes, Orazio Gentileschi “Astratto e superbo toscano”, Mauro Pagliai Editore, Firenze, 2016.











