
Otto domande per una grammatica dell’incontro: sono quelle poste da Boccalini a coloro che passano per Via Aleardi
Con Sappiamo?, nello spazio-vetrina di Sconfina in via Aleardi 11, Stefano Boccalini trasforma il linguaggio in materia di relazione e riflessione collettiva. Fino al 26 gennaio 2026, otto domande scandiscono il ritmo del passare del tempo: Sappiamo guardare? Sappiamo aspettare? Sappiamo imparare? Sappiamo perdere? Sappiamo pensare? Sappiamo desiderare? Sappiamo gioire? Sappiamo capire?
L’intervento si inserisce nel programma di Sconfina, progetto d’arte ideato da Rossana Ciocca ed Helga Franza in partnership con Fondazione Arthur Cravan, immaginato come un display urbano aperto al dialogo tra arte e strada. In questo contesto, Boccalini utilizza la parola non come semplice veicolo comunicativo ma come dispositivo di coabitazione. Capace di restituire senso e spessore al linguaggio in un’epoca di saturazione informativa.

Ogni domanda agisce come un “atto politico minimo”, che sospende la retorica dell’affermazione per restituire al linguaggio la sua funzione originaria: quella di mettere in comune. L’artista rifiuta la logica del messaggio unidirezionale per proporre un processo aperto, inclusivo, che coinvolge chi attraversa via Aleardi e decide di guardare, anche solo per un istante.
L’ascolto come metodo
Da anni l’artista orienta la propria ricerca verso forme di costruzione comunitaria attraverso la parola. Sia contesti montani e periferici, sia in quelli urbani, la sua pratica artistica predilige da sempre l’ascolto come metodo, la relazione e l’altro come forma di conoscenza. In Sappiamo?, il linguaggio si colloca sulla soglia tra interno ed esterno, tra spazio privato e spazio pubblico, e riattiva la dimensione dialogica del vivere insieme.

Nel paesaggio visivo e sonoro della città contemporanea, dove le parole tendono a perdere consistenza, Boccalini le riporta al loro peso originario: non parole da consumare, ma da abitare. Lo spazio di Sconfina diventa così un laboratorio di pensiero condiviso, in cui l’arte torna a esercitare la sua funzione critica: rimettere in moto il dubbio, riaprire il campo delle possibilità, riformulare il nostro modo di pensare.
Lo sguardo porta al pensiero.
Sconfina è anche uno spazio che mette in relazione differenti riflessioni artistiche, facendo della collaborazione tra linguaggi e pratiche il proprio punto di forza. Già nel novembre del 2024, l’installazione Sei Dieffembachia, di Domenico Antonio Mancini, ha ospitato la performance Sognare dell’artista Marcella Vanzo, che ha dormito per una notte nello spazio-vetrina. Un dialogo tra due artisti, una domanda e una possibile risposta: un primo esempio di come Sconfina si faccia luogo di attraversamento e di incontro, dove il confine tra opera e vita si apre alla dimensione condivisa dell’esperienza.
Durante i giorni di ArchWeek Milano, Sconfina diventa luogo e spazio di “sconfinamento”, mettendo in atto un nuovo dialogo tra domande e possibili risposte. L’installazione di Boccalini accoglie Archivio infinito degli alberi di Nairobi, proiezione fotografica di Filippo Romano, progetto in divenire nato nel 2021.
Romano risponde a “Sappiamo guardare?” e “Sappiamo aspettare?” di Stefano Boccalini attraverso un susseguirsi di scatti che ritraggono il legame tra gli abitanti della capitale keniota e i suoi giganti verdi, sempre più isolati e rari a causa della forte espansione urbanistica che la città subisce da diversi anni. Con questo progetto, Romano racconta come la spinta verso l’urbanizzazione generi fragilità e problemi infrastrutturali, in particolare legati all’approvvigionamento idrico e ad altri servizi essenziali.

Costruire comunità
Il “saper guardare” evocato da Boccalini diventa così, nel dialogo con Romano, una pratica condivisa. Una ricerca degli sguardi, un esercizio di attenzione che riconosce nell’altro – umano o naturale – una presenza da accogliere e con cui costruire comunità. In questo intreccio di linguaggi e visioni, il dialogo non è solo tema, ma condizione necessaria dell’opera: uno spazio di relazione che accoglie la diversità, fondamento di ogni possibile coabitazione.
Se dobbiamo domandarci quale sia la differenza tra vedere e guardare, Boccalini e Romano forse non darebbero una risposta, ma rilancerebbero la domanda. Perché vedere è un atto naturale, automatico, che appartiene al corpo; guardare, invece, implica uno sforzo, una scelta, una volontà di comprendere. Eppure, tra le due azioni, la linea resta sottile – come una soglia, un passaggio da abitare.
Forse il punto non è decidere dove si collochi il confine, ma riconoscere il tempo che entrambe le azioni richiedono. Il tempo del soffermarsi, dell’ascoltare, del lasciarsi interrogare da ciò che si ha di fronte. In questo spazio sospeso, dove lo sguardo si fa pensiero e il pensiero ritorna sguardo, si colloca il terreno comune tra i due artisti. Un invito a non smettere di domandarsi se davvero, oggi, Sappiamo ?.













