Print Friendly and PDF

Di pieni e di vuoti. Sarah Benslimane a Ginevra

Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter) Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)
Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)
Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)
La mostra di Benslimane, vincitrice del premio Mannor, è focalizzata sulle opere del 2025 con qualche lavoro precedente a partire dal 2022

Nell’ottocentesco palazzo dell’Athenée di Ginevra, sede della Societé des Arts dalla seconda metà dell’Ottocento, luogo di promozione dei giovani artisti ginevrini, si svolge la mostra personale della giovane artista Sarah Benslimane (1997), vincitrice quest’anno del premio Mannor del Cantone di Ginevra, storico appuntamento biennale dal 1982, quando è stato creato da Philippe Nordmann, che fu anche fondatore del MAMCO. E dal MAMCO (che è in corso di restauro), insieme alla Societé des Arts, è gestita l’esposizione con la curatela di Julien Fronsacq.

La mostra è focalizzata sulle opere del 2025 con qualche opera precedente a partire dal 2022, che costituisce l’inizio del percorso maturo dell’artista, inaugurato all’insegna del Minimalismo degli anni Sessanta. L’artista fa riferimento a Donald Judd, che viene riattualizzato attraverso un’attenzione onnivora e maniacale al prelievo e all’uso dei materiali. I materiali, che sempre per ammissione dell’artista, vengono usati secondo due modalità: quella degli esordi, che era legata ad una sensibilità pittorica nei confronti del colore, oggi invece è più vincolata al ready-made.

 

Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)
Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)

Sarah usa spesso l’aggettivo “duro”, riferendosi all’oggetto ad esempio, poiché ne restituisce – senza simbolismi o metafore – la storia. Credo che quell’aggettivo possa chiarire che Sarah non è interessata alle valenze nostalgiche, unite alla memoria degli oggetti, come ad esempio negli assemblage degli anni Sessanta, tipo di Louise Nevelson, mentre l’autoevidenza degli oggetti e materiali, per cui “l’opera è ciò che è” è un modo di riferirsi ancora all’arte Minimalista.

Un ritorno alla materia

Il debito nei confronti dei combine paintings di Robert Rauschenberg (sottolineato dal curatore), diventa una tecnica con cui trattare l’immagine, gli oggetti disposti nel contesto diventano immagini infatti, e sono ordinati con cura, con attenzione ai bilanciamenti di pieni e di vuoti, osservando corrispondenze sottili che donano ai quadri-riquadri sovrapposti una straordinaria armonia. Del quadro le forme hanno un rapporto biunivoca tra figure e sfondo, laddove gli oggetti diventano la figura di questi grandi quadri a basso o altorilievo.

 

Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)
Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)

Il quadro diventa un campo omnicomprensivo dove gli oggetti, materializzazioni dell’immagine, si scambiano di posto, proprio come un segnaposto o un indice. In questo l’artista è perfettamente figlia del proprio tempo e lontano da esempi anche di solo vent’anni fa: nell’epoca del regno del virtuale e dell’intelligenza artificiale, c’è un ritorno alla materia e alla materialità, che significa incarnazione dell’immagine.

Gli oggetti vengono presi dalla banalità del quotidiano, dal mercatino delle pulci all’Ikea, con inserzioni di immagini e cartoline del passato, che costruiscono il filo rosso dei cliché. Spesso l’uso di lustrini, le inserzioni di vetri colorati, le superfici pelose di animali o, ancora, le lucette da presepe ecc. riportano all’idea del bazar di modo che all’ordine della griglia, si sovrappone l’ammiccare del decorativo.

Iconoclasta e ribelle

La mescolanza di oggetti, ordinati però secondo logiche rigorose e “dure”, rimandano anche alla figura di John Armleder, nume tutelare di Ginevra, a un’estetica da negozio eterogeneo, che costruisce apertamente la nostra identità e la nostra storia. Un’opera in questo senso è molto interessante, Ça vous regard, 2025, fatta di specchi di bagni dozzinali, che può essere tradotta in due modi: questo vi riguarda, ma anche questo vi guarda, che mette in un corto circuito attivista e impegnato l’opera e il pubblico.

 

Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)
Sarah Benslimane, MAMCO, Ginevra (foto Annik Wetter)

Infine due opere costruiscono un altro percorso, si tratta di due superfici piatte e bidimensionali, dipinte con immagini ordinate da internet, che l’artista decostruisce e riordina secondo una propria visione iconoclasta e ribelle. Le opere sono molto lucide con una valenza tattile, prodotta da quindici strati di vernice per macchine stesi sopra all’immagine. Una si intitola Le monde à l’envers II, 2025, dove il tono dominante è un blu-azzurro profondo e dove, secondo una prospettiva postcoloniale, vi è un rovesciamento del collaudato e storico sguardo occidentale, perché l’Europa è vista dall’Africa, mentre la seconda è La fin du Monde, 2025, dove la dominante rosso-arancio sembra arroventare la superficie in un racconto apocalittico, che riflette i tempi di guerra con un terrore reale e realistico.

A corollario di queste due opere, un quadro-pannello fatto di materiale isolante acustico con una dominante grigio cenere e intenso e intitolato 2025, 2025, disegna le sagome di due croci messe in parallelo e all’incontrario, quasi a negare qualsiasi via di uscita. Inserite tra le pieghe del materiale decine di minuscole campanelle hanno un bel suonare allarmi (con una voce piccina), il materiale le soffoca e le riduce al silenzio.

Commenta con Facebook