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Col Tempo: il secondo atto di Bigaignon a rhinoceros gallery

Foto: 16_rhinoceros gallery x Bigaignon, Sotto la luce ©Simon d’Exea
Chris McCaw, Sunburned GSP#1099, Courtesy © Bigaignon
A Roma, rhinoceros gallery ospita le opere degli artisti della galleria parigina BigaignonHideyuki Ishibashi, Yannig Hedel, Thomas Paquet, Juan Couder, Morvarid K, Lab(au), Chris McCaw, Charles Xelot, Fernando Marante e Harold Feinstein — per il secondo di tre appuntamenti.

“Atto 2/3: Col Tempo” è il secondo capitolo di una trilogia in collaborazione con Bigaignon nello spazio dedicato alle arti contemporanee, fondato da Alessia Caruso Fendi, all’interno di Palazzo Rhinoceros. Dopo un primo atto dedicato alla luce, questo nuovo appuntamento prosegue il percorso di un sodalizio che indaga i fondamenti della fotografia contemporanea attraverso minimalismo, astrazione e pratiche concettuali. In “Atto 2/3: Col Tempo” il tema è il tempo: materia invisibile ma palpabile, che gli artisti in mostra trasformano in immagine, traccia o gesto, ciascuno con la propria grammatica.

rhinoceros gallery x Bigaignon, Col tempo, © Simon d’Exea

Da dieci anni Bigaignon indaga la fotografia non come mezzo di rappresentazione, ma nella sua dimensione ontologica, legata alla natura stessa dell’immagine, ai suoi fondamenti materiali e concettuali. La trilogia progettata con rhinoceros gallery si concluderà nel marzo 2026, mentre, per tutta la durata dei tre atti, in una sala al primo piano di Palazzo Rhinoceros rimarrà la grande installazione di Olivier Ratsi, che sintetizza in un’unica architettura luminosa i tre elementi attorno a cui ruota l’intero progetto: luce, tempo e spazio.

Hideyuki Ishibashi, la chemineedemolie, Courtesy © Bigaignon

Memoria e durata: Hideyuki Ishibashi e Harold Feinstein
Nelle opere di Hideyuki Ishibashi il tempo non è rappresentato: è costruito. L’artista giapponese lavora come un archeologo che invece di scavare strati li crea. Combinando materiali di ieri e di oggi, Ishibashi sovrappone memoria e presenza di quelle mani che, in Giappone, dettero forma alla ceramica e poi furono costrette a costruire mine antiuomo nel secolo scorso. La sua serie Latent evoca il tempo come deposito: ciò che è stato continua a esercitare una forza discreta sul presente, come un’immagine che riaffiora dopo essere rimasta troppo a lungo in camera oscura. Nei suoi lavori c’è una precisione rara, quasi un rigore etico del vedere: ogni superficie è una soglia, un punto di contatto tra epoche che il suo gesto unisce con naturalezza.
Se Ishibashi restituisce al tempo la sua densità, Harold Feinstein ne registra invece il ritmo. Nelle sue fotografie in bianco e nero, le persone che attraversano l’inquadratura diventano note su un pentagramma visivo. I minuti si dispiegano nei movimenti, le ore si allungano nelle soste. Il tempo umano, vivo e imperfetto, respira dentro l’immagine, e Feinstein non lo ferma, lo ascolta. Così, le sue composizioni diventano esercizi di durata, piccole partiture in cui la vita quotidiana si trasforma in un flusso continuo.

rhinoceros gallery x Bigaignon, Col tempo © Simon d’Exea

Il tempo che scrive e il tempo che muta: Charles Xelot e Lab(au)
La ricerca di Charles Xelot affronta il tempo come un organismo che scorre. La sua opera, quasi un carillon contemporaneo, si svolge come un rotolo di scrittura nuova. Una spirale lenta che invita lo sguardo a seguire il ritmo di un tempo narrato. La sua durata si fa visibile, quasi tattile, e trasforma l’atto del guardare in un movimento circolare, come se lo spettatore fosse trascinato dentro un meccanismo poetico che scandisce il passare dei secondi attraverso la luce.

Charles Xelot, Horloge Photographique, Courtesy © Bigaignon

Il collettivo belga Lab(au) porta invece il tempo sul piano materiale. Il loro monocromo, composto da due superfici — una in polvere di uranio, l’altra in piombo — è ora un dittico giallo e nero. Saranno il tempo e la radioattività a trasformare l’opera in un’unica distesa cromatica, un monocromo appunto. Ciò che separa i due elementi è dunque proprio la durata. In questo lavoro, il tempo è l’agente principale, il motore che conduce l’opera verso il suo compimento. Una lezione asciutta e potente sulla trasformazione.

rhinoceros gallery x Bigaignon, Col tempo © Simon d’Exea

Un tempo che si espande: l’installazione permanente di Olivier Ratsi
A collegare idealmente i tre atti della trilogia — luce, tempo, spazio — è l’installazione di Olivier Ratsi, che occupa stabilmente una sala al primo piano di Palazzo Rhinoceros. Una struttura di barre luminose, immerse in una stanza tinta di rosso, dilata la percezione del tempo. Il riferimento è il lavoro pionieristico di Eadweard Muybridge: un movimento scomposto, riarticolato e restituito come una sequenza sospesa.
Ratsi costruisce un ambiente in cui la luce diventa un vettore di espansione, un modo per farci attraversare lo spazio come se fosse un intervallo temporale. L’opera agisce come un cappello concettuale su tutta la trilogia: un invito a considerare il tempo non come una linea, ma come un volume in cui muoversi.

rhinoceros gallery x Bigaignon, Sotto la luce © Simon d’Exea

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