
A Mantova, il Palazzo della Ragione ben si addice alla collezione Sonnabend, a fianco alla Torre dell’Orologio che scandisce il tempo e ci ricorda che questa storia ha avuto un lontanissimo inizio. Era infatti il 1933 quando Ileana Sonnabend ricevette la proposta di nozze da Leo Castelli e non chiese come regalo un banalissimo anello, bensì un acquerello…
Alla fine ci sono andato. Sia perché ero proprio smanioso di scoprire cosa Ileana avesse tenuto per sé, sia perché mi incuriosiva la location: Mantova. Anzi il Palazzo della Ragione di Mantova, che ben si addice alla collezione, a fianco alla Torre dell’Orologio che scandisce il tempo e ci ricorda che questa storia ha avuto un lontanissimo inizio. Era infatti il 1933 quando Ileana Sonnabend ricevette la proposta di nozze da Leo Castelli e non chiese come regalo un banalissimo anello, bensì un acquerello (di Matisse). Poco più in là dal luogo della collezione, la tomba del Mantegna, nella Chiesa di Sant’Andrea, sembra addirittura benedire l’operazione, dato che all’interno sono rimaste ancora, fisse a tempera e oro su tela, la Sacra Famiglia e la Famiglia del Battista. Perché, per chi ama l’arte, un po’ sacre lo sono state anche le famiglie di Ileana Sonnabend: la prima con Leo Castelli, appunto, la seconda con Michael Sonnabend, da cui prese il cognome e non solo.
In realtà, a vedere la collezione, ci sono andato anche per ritrovare vecchi maestri e “amici” di lunga data: Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Andy Warhol, Wesselmann e Rosenquist, Morris, Judd, Nauman, Wegman, Gilbert and George… e fino a Koons. Tutti eroi, ai tempi dei miei studi, e che oggi sembrano così scontati e ovvi.

Aggiungo però che, in visita dai Sonnabend, ci sono voluto andare anche per cercare un antidoto allo sconforto provato leggendo l’annuale classifica dei cento nomi più influenti dell’arte di oggi: la Power List, per intenderci. E sarà mai possibile che delle prime dieci posizioni ne conosca così poche? Io che mi vanto di studiare e che cerco di aggiornarmi sempre. Evidentemente appartengo a quella categoria di persone che viene attratta dalle tendenze che già segue. Sarà un errore? Ma, del resto, mi chiedo, come si può amare l’Arte Povera e poi la Transavanguardia? Ve lo immaginate Germano Celant che, all’inizio degli anni Ottanta, si mette a sostenere il gruppo, a quel punto in voga, di Achille Bonito Oliva? O, per dirla con un quesito Longhiano: come si possono amare il Tiepolo e il Caravaggio? Nel geniale dialogo immaginario tra i due artisti che nel 1951 Roberto Longhi s’inventò di scrivere, emergono le incredibili differenze. E, tra sferrate varie e colpi bassi, al Tiepolo il Longhi fa dire: “Per essere sinceri, mi pare che i tempi ti abbiano scavalcato” … ma qualche capoverso dopo, Caravaggio chiede: “Hai creduto a quel che facevi?”. E questa è una domanda chiave. Come si può credere a una storia e al contrario di essa? Si possono ascoltare il jazz degli anni quaranta, Britney Spears e Lady Gaga? Forse sì, e magari dipende pure dall’umore. Ma di amare l’una e l’altra cosa, beh, la vedo quantomai difficile. Dunque io continuo, approfondendo opere e artisti che mi rispecchiano, ed eccomi qui in visita alla Sonnabend Collection.
A pensarci bene, poi, c’è un’altra scusa che mi porta nel palazzo della Ragione: quella di cercare di omaggiare la figura di una mitica gallerista che chissà che posizione avrebbe avuto oggi nella lista, dato che la prima galleria della Power List di quest’anno sta alla posizione 53esima soltanto. Povere gallerie d’arte, che grama fine ci è toccata in sorte. Non era forse un tempo il gallerista il primo filtro per capire cosa dovesse funzionare e cosa meno, in fatti d’opere?

Ma interrompo qui subito la logomachia e torno a parlare della mia visita mantovana, con altri dettagli che possono arricchirla. Mario Schifano occupa il primo posto, all’ingresso, con una carta su tela e smalto dell’inizio. Credo sia un vero e proprio omaggio al contesto italiano anche perché è ben noto l’apprezzamento di Ileana per il lavoro di Mario, che durò un anno solo ma che la portò a visitare Roma per comprare le sue opere e per organizzargli mostre, come testimoniano le sedici lettere scritte tra il marzo 1962 e il novembre seguente, tutt’oggi conservate. Il primo documento di questo fondo è, in ordine di tempo, un telegramma che Ileana inviò da New York il 17 marzo. Riguardava le modalità di spedizione di un’opera per una mostra che si sarebbe tenuta presso la Sidney Janis Gallery alla fine di ottobre: “Please contact Bolliger immediately – scrisse Ileana a Mario – and send air freight painting Coca Cola Red on Yellow titled Propaganda to Keating and Co for Janis to be paid by Keating on arrival New York. Urgent show opens end October please confirm to me by cable care Castelli. Cordially Ileana.” La mostra a cui si accenna è la collettiva “The New Realists” nella quale Mario Schifano fu presente con l’opera citata nella lettera. Il carteggio proseguì spedito ma la collaborazione non risultó per niente facile poiché, anche se messo sotto contratto, Mario non rispettò l’esclusiva e non accettò di fare la mostra nella galleria parigina come terzo artista in programma, dopo Jasper Johns e Bob Rauschenberg. Dal carteggio si deduce però un altro dato molto importante: che le opere con la Coca-Cola di Schifano sono state create senza che lui avesse messo piede negli Stati Uniti e senza aver avuto possibilità alcuna di conoscere il lavoro di Andy Warhol, arrivando dunque al medesimo risultato per ricerca autonoma.
Ma torno a parlare della mia visita, sottolineando un dettaglio che penso abbia influito e che non è da poco: Mantova è stata la città di Isabella d’Este. Nobile, mecenate, collezionista, tra le donne più autorevoli del Rinascimento e della cultura nel suo tempo, e non sorprende certo che la collezione Sonnabend sia approdata in un simile contesto.

Avrei invece qualcosa da aggiungere sulla qualità delle opere esposte: eccezionali a volte, ma non tutte. Di Giulio Paolini ho visto opere migliori, così come di Jasper Johns, di Gilberto Zorio e di Claes Oldenburg. Ma, del resto, si sa che, in molti casi, le collezioni dei galleristi sono composte dagl’invenduti. Inoltre, la scelta del lavoro di Jasper Johns ha un motivo chiaro e un aneddoto preciso: la “Figure 8”, del 1959, da 51×38 centimetri, eseguita con l’encausto, ovvero un’antica tecnica che mescola il pigmento alla tela – e qui lo studio di Cennino Cennini aiuta – fu comprata da Michael Sonnabend alla sua prima mostra da Leo Castelli, proprio in quell’esposizione che costituì il primo successo commerciale della galleria, grazie anche all’acquisto di quattro tele da parte del museo MoMA.

A fine visita mi è quasi tutto chiaro. Ileana Sonnabend divenne quel che sappiamo perché era capace di sostenere l’arte Pop e il Minimale, quella Povera e le performance, il Neo-Espressionismo tedesco e la fotografia industriale. Vivendo tra New York e Parigi, viaggiando spesso, scegliendo i mariti giusti, mantenendo contatti illustri, e avendo fin da subito a disposizione, grazie alla famiglia, un malloppo incredibile. Il padre era stato infatti un uomo d’affari di grande successo, addirittura vicino alla famiglia reale, che le permise enormi spese e che, senza togliere niente al merito, facilitò molte cose.
Ma qualche interrogativo rimane comunque. Ad esempio: perché Jeff Koons costa svariati milioni e Haim Steinbach, a confronto, ancora pochi spicci? Me lo spiegate? Chi ha le risposte parli ora o taccia per sempre.
Buone riflessioni e buone feste
Nicola Mafessoni è gallerista, curatore, scrittore e amante di libri scritti bene. IG: nicolamafessoni








