Con questa 9^ edizione del Festival Internazionale del Film di Roma Marco Müller abbandona e lascia la direzione. Non c’è in verità molto da stupirsi: rispetto alle edizioni passate questo ultimo festival è subito apparso in tono minore. Via la giuria (l’idea del voto espresso dal pubblico è stata innovativa ma anche testimonianza di qualche intoppo organizzativo), via il glamour, pochissime le star sul tappeto rosso a presentare i film (lacune ingiustificabili per una manifestazione che si fregia del titolo di Festival), poche le proiezioni giornaliere rispetto agli anni scorsi, anteprime internazionali praticamente azzerate e anche il cartellone generale è apparso meno ricco. Di certo la volontà di far sopravvivere una manifestazione di questo tipo è lodevole -è comunque stata confermata una 10^ edizione- ma è innegabile anche che qualcosa vada cambiato. Schiacciato tra Venezia e Torino, il Festival di Roma dovrebbe magari trovare una collocazione diversa e cercare di tornare ai fasti delle prime annate, con programmi più ricchi e meglio distribuiti nelle giornate.
Il film vincitore, espresso come detto dal voto del pubblico, è stato Trash di Stephen Daldry, capace di unire i gusti del grande pubblico ma anche di quello dei più piccoli (è stato vincitore della sezione Alice nella città).
Di seguito i commenti di alcuni film presentati al #RFF9.
Gone Girl (David Fincher): se uno dei metri di giudizio più concreti nel giudicare un film sia prestare attenzione alle reazioni della sala durante la visione, allora nel caso del nuovo film di Fincher abbiamo un valore che supera l’effetto sorpresa. Da un lato il silenzio tombale di chi resta ammutolito davanti a qualcosa di indefinito tra noir e horror, dall’altro risate liberatorie che sottolineano cinismo e humor ner(issim)o. Basterebbe questa ambivalenza per dare un’idea di cosa sia L’amore bugiardo – Gone Girl: un adattamento fedele al romanzo di Gillian Flynn, una black dramedy che unisce il disturbante ad una inedita dose di critica sociale, una analisi spietata sul rapporto di coppia e sui segreti che si celano dietro la facciata dei rapporti in apparenza idilliaci. In poche parole, un altro grande film di David Fincher. Due ore e mezza fittissime tra indagini, ricerche, colpi di scena, dialoghi beffardi, sospetti che si insinuano, dubbi che attanagliano. E poi l’impatto dei media nelle nostre vite, la forza delle immagini e la gogna potentissima dell’opinione pubblica, il marcio che si fa strada inesorabile in quello che sembrava un quadro tranquillo di vita di coppia, i segreti che riempiono le crepe di un rapporto e si gonfiano facendo crollare tutta l’impalcatura. Il montaggio gioca sapientemente sulle alternanze, così come era nel romanzo: da una parte la vicenda di Nick (Affleck), scandita temporalmente dai giorni che seguono alla scomparsa di sua moglie, dall’altro lato i pensieri di Amy (Pike), dalle pagine del suo diario. Una doppia voce che smentisce e completa, confonde e chiarisce e di nuovo scombussola le carte, come un puzzle che guadagna dei pezzi e poi si sgretola sotto i nostri occhi.
Ammantato dallo spartito musicale che sfiora il lirismo di Trent Reznor e Atticus Ross (una potenza inaudita, ma non è una novità) e intriso di quell’atmosfera asettica ma non glaciale che è uno dei marchi di fabbrica del regista, Gone Girl è un film perturbante che non lascia tregua e che ha tra i tanti anche il merito di fare scoprire al pubblico una grande attrice: Rosamund Pike offre una prova di intensità pazzesca in un ruolo che segna già una intera carriera. Si esce dalla visione ammutoliti e disturbati, spiazzati e confusi. I suoni grevi della colonna sonora accompagnano i titoli di testa e rimbombano nel petto come scosse di terremoto nella cassa toracica.
Nightcrawler – Lo Sciacallo (Dan Gilroy): E c’è sempre il potere assuefacente e letale della televisione dietro all’opera di Dan Gilroy, già sceneggiatore dei film della saga di Jason Bourne. Nightcrawler – Lo sciacallo è un piccolo gioiello black senza redenzione, ambientato in una Los Angeles notturna e spietata dove non è solo il crimine che paga ma anche chi questi crimini vuole solo farli conoscere al pubblico. L’occhio che uccide è quello di Jake Gyllenhaal che interpreta, straordinariamente, il protagonista Louis “Lou” Bloom. Allucinato, gli occhi perennemente spalancati, ai limiti della sociopatia, Bloom scopre la “vocazione” nascosta di riprendere incidenti automobilistici, crimini, violenza nei quartieri bene, cronaca (nera, se possibile) per poi vendere i filmati alle emittenti TV del posto. Trova in Rene Russo, rampante direttrice di Channel 6 pronta a calpestare ogni morale per fare ascolti, una alleata inaspettata. Pur di fare notizia e diventare famoso Lou in piena esaltazione non esita a manipolare la realtà. Quasi una versione malata di Drive di Refn, con una sequenza di inseguimento finale a dir poco incredibile e un protagonista perfetto e realmente inquietante, Nightcrawler è sicuramente da non perdere. Sarà nelle sale italiane dal 13 novembre.
Stonehearst Asylum (Brad Anderson): Dopo Session 9 Brad Anderson torna in manicomio, un luogo che gli aveva portato così fortuna in passato, stavolta con un tono e uno stile completamente diverso. Se nel film che lo aveva lanciato Anderson costruiva un horror psicologico realmente spaventoso che sfruttava l’idea della casa di cura abbandonata e delle registrazioni in essa rinvenute col meccanismo del found footage, in quest’ultimo lavoro ci troviamo di fronte ad un feuilleton in costume ambientato nei primi giorni del ‘900 con una struttura molto articolata che sciorina tutti clichè tipici del gotico (la nebbia, i rumori notturni, le segrete, la camera delle torture, gli esperimenti sui pazienti). Tratto liberamente da un racconto di Edgar Allan Poe, Il sistema del dr. Catrame e del prof. Piuma (The System of Doctor Tarr and Professor Fether), Stonehearts Asylum è un film baraccone che accumula eventi e affastella colpi di scena raggiungendo presto l’overdose di avvenimenti senza fermarsi mai. Non è certo un male, ma dal regista de L’uomo senza sonno di certo ci si aspettava un film più raffinato. Il divertimento non manca, momenti demenziali e caricaturali (voluti) si alternano ad altri più inquietanti e il cast, tra Kingsley, Caine, Sturgess e Beckinsale, sembra divertirsi molto a esaperare i toni e stare sempre sopra le righe. Del resto, se non lo si può fare nella casa dei matti…
Il film non ha ancora una data di uscita italiana.
La spia – A most wanted man (Anton Corbijn): Con La spia – A most wanted man (in sala dal 30 ottobre) Anton Corbijn conferma quello che purtroppo aveva già ampiamente dimostrato col precedente The american: sarebbe meglio che continuasse a dedicarsi alla regia di videoclip e special musicali. Con un’ennesima storia spionistica dalla struttura che sarebbe stata vecchiotta già negli anni ’90 e un ritmo inesistente, il rischio letargia aleggia per tutta la durata del film e si concretizza purtroppo molto spesso. Una qualsiasi puntata di Homeland vale più di film svogliati e pachidermici come questo. A poco servono le prove di un cast importante (Dafoe, McAdams, Wright) che sembra muoversi sul set come pedine su una scacchiera dispersiva e senza troppo convincimento. Non aiuta affatto la fotografia degna di una puntata Derrick: visto poi che l’ambientazione è Amburgo, la sgradevole sensazione è quella di avere di fronte un poliziottesco pronto al passaggio in tv. Il cast americano che parla con accento tedesco e gli attori tedeschi che parlano in inglese poi sono il tocco di classe di un film malriuscito e poco calibrato, pieno di momenti filler e con unici scossoni concentrati nella parte finale. Davvero un peccato visto anche che si tratta di una delle ultime prove recitative di quel mostro di bravura che era (è) Philip Seymour Hoffman e che qui, oltre a essere sottotono, tra una sigaretta e l’altra pare anche svogliato.
Guardians of the Galaxy (James Gunn): Il progetto tentacolare della Marvel (Disney?) si arricchisce di questo nuovo film che si può fregiare della coccarda di blockbuster dell’anno. Non si tratta della nuova avventura di Robert Downey Jr, di Capitan America o del Dio del Tuono (per vederli tutti schierati bisognerà attendere maggio 2015 con l’atteso Avengers – Age of Ultron). I protagonisti sono 5 personaggi inediti: ladri, mercenari, guerrieri in cerca di vendetta, freaks. Un gruppo inedito ma che risponde in maniera coerente e riuscitissima al tono della pellicola di James Gunn, presentata in anteprima nella sezione Alice nella città e in sala dal giorno dopo (quasi una presa in giro e, piccola notazione, il film è uscito ovunque nel mondo prima che in Italia). La colonna sonora retrò, le battute esilaranti, una trama avvincente, gli effetti speciali di gran pregio e un sacco di scene esaltanti fanno di questi Guardiani una visione obbligatoria per chiunque. Senza troppi collegamenti dispersivi coi film satellite e con una autonomia perfetta il film intrattiene alla grandissima, come dovrebbero fare tutti i film del genere. Tra procioni geneticamente modificati e alberi umanoidi, è Chris Pratt a spiccare tra gli altri: a metà tra Indiana Jones (citato) e Han Solo, sciupafemmine ed eroe senza paura, dà il via ad una nuova saga che speriamo duri parecchio con così tanta freschezza e divertimento. E sempre restando in tema vintage… imperdibile la scena dopo i titoli di coda. Così come le pettinature di Glenn Close.