Un’iniezione di umanità contro l’indifferenza
I libri sono stati da sempre un modo con cui cambiare la società in maniera dimessa e pacifica, e per questo hanno fatto spesso tanta paura, e generato violenza. “Bilal, viaggiare, lavorare e morire da clandestini” del giornalista d’inchiesta Fabrizio Gatti è questo: una lente d’ingrandimento che rende tutto più chiaro e mostra una realtà, crudele e impietosa, che l’informazione generica e nazionale tiene nascosta per il bene dei pochi.
Era il 2004 quando Fabrizio Gatti decise che era il momento di raccontare la verità e di fornire un alibi umano a tutte quelle persone che a fiumi arrivano nel Belpaese in cerca di un futuro migliore: e, potrebbe mai essere più attuale di ora, quando per le strade delle città italiane si conducono proteste al grido di “Stop invasione”? Troppo spesso l’occhio umano si ferma ad osservare i propri interessi, e l’indifferenza è diventata una giustificazione per identificare come un nemico chi arriva da clandestino, senza rendersi conto, però, che la condizione di clandestinità viene fornita dallo stesso Stato italiano, complice silente e vigliacco.
Ed è questa stessa indifferenza a far perdere la bussola all’umanità, un valore inutile ormai per molti. Questo libro sollecita l’umanità, mette a dura prova la freddezza di un cuore sempre meno incline ad ascoltare il dolore degli altri, per concentrarsi sulle proprie esigenze, talvolta totalmente inutili.
Questo libro è la storia di tutte quelle persone che riescono ad arrivare nelle nostre città, ai bordi delle strade mentre vendono borse contraffatte, ai semafori chiedendo elemosina, nei campi a raccogliere verdure che poi mangeremo sulle nostre tavole imbandite.
E’ la storia di migliaia di persone che abbandonano tutta la loro famiglia per salvarla, perché sì, in Italia si sta meglio e con quello che guadagnano qui, possono permettere ai loro cari di vivere con più dignità. Per fare questo, però, devono arrivare in Italia, dal Sud del mondo fin oltre il Mediterraneo. Ma il viaggio non è facile, anzi. E’ una missione suicida, consapevole e dura. E il giornalista de “L’Espresso” l’ha voluta provare sulla sua pelle.
Il viaggio ha inizio a Dakar, la capitale del Senegal, e la tappa finale è l’Italia, più precisamente le coste di Lampedusa. In mezzo, il Mali, il Sahara, il Niger con il deserto del Ténéré e la Libia.
Per affrontare questo viaggio, Gatti diventa Bilal, un uomo qualunque, senza il privilegio di un passaporto europeo o una carta di credito in tasca.
“Un nome falso. Gli euro avanzati e la capsula con i dollari. Il tubetto di colla per nascondere le impronte digitali. Il borsone nero e il giubbotto salvagente. La camicia. Il pile. Le vecchie ciabatte. La bottiglia d’acqua da un litro e mezzo. Sei panini. Tre scatolette di sardine e tre schede telefoniche”.
Questo è Bilal, e nulla più. Bilal attraversa il Sahara e il deserto del Ténéré sugli stessi camion che trasportano ogni giorno centinaia di clandestini ridotti a mangiare le loro feci per sopravvivere; Bilal incontra persone di qualsiasi età, sesso e provenienza che pur di sperare in una vita migliore sono pronti a morire nel deserto, abbandonati tra le dune di sabbia senza che nessuno si ricordi di loro.
Bilal ha conosciuto affiliati di Al Qaeda e gli scafisti responsabili delle migliaia di morti nel Mar Mediterraneo, in cambio di qualche centinaia di euro.
Bilal non è riuscito ad attraversare il Mar Mediterraneo in gommone: la paura di perdere la vita è stata troppa anche per lui. Si è lasciato, però, trascinare dalle acque di Lampedusa come un sopravvissuto ad uno dei tanti barconi, che affondano ai piedi dell’Italia; si è fatto arrestare come clandestino nel centro di detenzione di Lampedusa, dove centinaia di persone sono costrette a dormire sul freddo cemento fra i loro escrementi.
Nessuno prima di lui aveva potuto essere testimone di quello che i politici italiani, durante una visita preordinata, avevano definito “un albergo a 5 stelle”. Il racconto prosegue poi dal Sud al Nord d’Italia, dove Bilal deve fare i conti con le contraddizioni e le ipocrisie della politica italiana e delle molte aziende che sfruttano i clandestini e il loro bisogno di dover lavorare.
Fabrizio Gatti ha scoperto persone e governi che regolano un gioco disumano in cui le pedine sono vite che nessuno potrà reclamare o difendere. Bilal è la voce di chi non può e non deve parlare, e gli occhi di chi non può e non deve vedere. Questo libro deve essere letto perché è la realtà che ancora oggi accomuna migliaia di persone; bisogna leggerlo come un’iniezione di umanità per sconfiggere una terribile malattia, l’indifferenza.