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Mohammed Islam il genio 17enne di Wall Street

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E’ difficile capire se sia solo genio o fortuna. Qualche volta nella vita sono la stessa cosa.

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Capita in America, dove sembra che un ragazzino di 17 anni con una cornice di barba sulle mascelle larghe, la faccia grassotella come se fosse un disegno di Walt Disney, e due occhi neri che ti guardano con una luce spaurita, Mohammed Islam del Queens, figlio di immigrati bengalesi, abbia guadagnato 72 milioni di dollari solo giocando in Borsa nell’intervallo della scuola.

Il «giovane lupo di Wall Street», come lo chiama il New York Post,  che ha pubblicato la notizia, è diventato il nuovo ragazzo simbolo della frontiera, questo mondo luccicante e spaventoso, che in fondo è rimasto sempre uguale a se stesso, dalla nave dei pellegrini a oggi, questa terra di pirati e cowboy che promette un posto per chiunque sia capace di prenderselo.

Anche se, come sembra, Mohammed ha preso in giro i giornalisti inventandosi tutto, a noi piace quello che s’è inventato, perché ha creato la storia più americana che si possa immaginare, il self made man che si arrampica grazie al suo genio e alla sua costanza, il mito della fortuna che ti fai da solo.

Mohammed ormai è più americano. Mohammed non ha quasi più niente dei genitori che gli avevano dato il nome del profeta quand’era nato, fra questi grattacieli di vetro che parlano al cielo, così lontano dai campi polverosi e miseri della regione indiana del Bengala, da dov’erano partiti con tre valigie e un cugino che li aspettava sulle banchine, riscaldandosi malamente dentro a un cappotto sgualcito.

Lui è più figlio di questo mondo: a nove anni, sempre secondo il New York Post, giocava già in Borsa, di nascosto, perchè da quelle parti quello che conta è credere che puoi sempre farcela. Solo che aveva perso tutti i suoi risparmi.

Ma oggi lui dice che «si impara più dalle perdite che dalle vincite».

Era la lezione che insegnava Paul Tudor Jones, uno dei trader più famosi d’America, una leggenda che è finita nell’elenco dei miliardari di Forbes e sulle copertine delle riviste patinate spiegando i segreti del successo, con tutta la saggezza del vincitore.

Però, Mohammed ha imparato lo stesso. La prima cosa è quella di avere fiducia in se stessi, studiare e ancora studiare, e non mollare mai. Lui ha fatto così: è riuscito a farsi prestare altri soldi e ha provato di nuovo. C’è gente che si rovina. Invece, Mohammed ha pagato il debito e s’è rifatto i risparmi.

In America, la vita può essere ancora come entrare in un saloon: ci sono le belle donne, la musica, un bicchiere di whiskey, una grande bolgia di fumo e di destini dove tutti si perdono e qualcuno vince.

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Dal Queens s’è iscritto nella esclusiva Stuyvesant High School a Manhattan, a due passi dal World Trade Center, dove sono ammessi solo gli studenti migliori. E nell’intervallo tra una lezione e l’altra, s’è messo a comprare e vendere azioni, contratti derivati, obbligazioni sui mercati finanziari. E ha cominciato a vincere, e poi a vincere e ancora a vincere.

Secondo quanto ha raccontato avrebbe accumulato una cifra incredibile, che stenta persino ad ammettere al New York Magazine che gli ha dedicato la sua grande rubrica annuale: «Le ragioni per amare New York».

72 milioni di dollari, più di 57 milioni di Euro.

Riesce a dire candidamente che entro l’anno spera di arrivare a un miliardo. Suo padre è allibito, e lo rimprovera per questo vizio da società occidentale. Ma non può farci niente. Mohammed gli ha cambiato la vita, che gli piaccia o no.

«Ho comprato la Bmw più grossa che c’è», anche se non ha ancora la patente. E un bell’alloggio a Manhattan, nel cuore della Grande Mela. Papà gliel’ha vietato: «fin che non sei maggiorenne stai con noi a casa». Non importa. Ci andrà a vivere a giugno, assicura, quando compirà 18 anni e potrà guidare la macchina.

Adesso è pieno di belle donne, con quel suo faccione quasi ridicolo, e riempie la sua pagina del social network con le foto e i video delle feste con champagne e lustrini e grandi partite a poker (vince anche lì, naturalmente) che organizza ogni settimana.

Porta gli amici fuori a mangiare, 400 dollari per il caviale al ristorante Morimoto sulla Decima. Loro, come spiega uno al giornalista di Business Insider, pensano a tutte le sue esigenze, «così lui può concentrarsi sul gioco e vincere».

Mohammed dice che è sempre stato elettrizato da Wall Street. Aveva cominciato con i titoli spazzatura, ma la sua fortuna l’ha fatta adesso con i “futures” sull’oro e sul petrolio.

Spiega tranquillamente che «quello che fa girare il mondo è il denaro. Se il denaro non scorre, le imprese non vanno avanti, non c’è innovazione, non ci sono prodotti, non c’è investimento, non ci sono posti di lavoro».

Parla come uno di loro, come i figli della nave dei pellegrini. Sono gli stessi che hanno fatto del Texas Holden uno dei lavori più affermati d’America, con il Main Event delle Wolrd Series of Poker ripresi e venduti a tutte le più importanti tv del mondo.

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Caravaggio, I bari

Era un torneo di poker natio nel 1970. Il primo che vinse, John Moss, aveva battuto sei giocatori. Continuò a salire ogni anno, fino al 2003, l’anno della sua esplosione quando Chris Moneymaker (nomen omen: uno che fa soldi, si chiama proprio così) si iscrisse vincendo un torneo satellite col buy-in di 39 dollari e vinse due milioni e 500mila dollari.

Da quel momento cominciarono a partecipare prima 4780 giocatori e poi, nel 2005, addirittura 23mila. E’ una grande bolgia di professionisti e dilettanti della fortuna che inseguono il mito della vittoria al gioco.

Nel 2006 Jaime Gold vinse 12 milioni di dollari. Molti di loro sono spariti nel nulla, altri sono diventati mostri da baraccone, e altri ancora non sono mai riusciti a capire che cosa gli era veramente successo. Gregory Merson che si aggiudicò l’edizione del 2012 disse: «Non so se è stata una fortuna. Io vorrei solo ritrovare me stesso».

Ma adesso che è Natale vogliamo credere all’ottimismo sfrontato di Mohammed Islam. Sulla pagina del social network ha scritto: «More money, less problem». Più soldi, meno problemi.

Se i giocatori di poker del Texas Holden studiano matematica per riuscire a vincere, lui confessa di leggere tutto quello che riguarda il mercato finanziario e i suoi meccanismi. Non è semplice. Ci vuole del genio.

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Philippe Petit, a French high wire artist, walks across a tightrope suspended between the World Trade Center’s Twin Towers. New York, Aug. 7, 1974. (AP Photo/Alan Welner)

Anche per i banditi e i perseguitati che scesero dalla nave dei pellegrini per mettere piede nella terra nuova non fu facile. Non ci credeva nessuno, erano solo scappati. Ma fecero il più grande Paese del mondo.

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