Gone Girl, in uscita questo mese sul mercato home-video (in edizione DVD e Blu-ray), l’ultimo film di David Fincher, regista di Seven e Fight Club.
«Quando penso a mia moglie, penso sempre alla sua testa. Immagino di aprirle quel cranio perfetto e srotolarle il cervello in cerca di risposte alle domande principali di ogni matrimonio: a cosa pensi? Come ti senti? Che cosa ci siamo fatti?»
Con queste parole, pronunciate da Nick Dunne (interpretato dal good good boy ormai cresciuto Ben Affleck), il regista David Fincher apre il suo ultimo film L’amore bugiardo – Gone Girl, in uscita questo mese sul mercato home-video (in edizione DVD e Blu-ray).
L’amore bugiardo è la riduzione cinematografica dell’omonimo romanzo di Gillian Flynn e per Fincher rappresenta la possibilità di lavorare ancora una volta, dopo Lisbeth Salander, su di una forma di femminile liminale e postumana grazie a un personaggio come Amy Elliott.
Torniamo alla citazione iniziale di Nick, pronunciata appena prima di una sequenza in cui una serie di fotogrammi a metà fra l’immobile e l’umbratile ci introducono all’immaginario de L’amore bugiardo, fatto di particolari definiti, scenari immobili e verosimili, fugaci visioni disturbanti.
L’amore bugiardo per lo spettatore sarà questo: il tentativo di srotolare, fotogramma per fotogramma, l’immane e affilata architettura mentale dei protagonisti Nick e Amy. Non a caso Nick, in una delle primissime scene del film, arriva al Bar «un bel nome! Autoreferenziale!» dove lavora con la sorella Margo tenendo sottobraccio una scatola del gioco di crittoanalisi Mastermind.
Se Gillian Flynn (qui autrice della sceneggiatura), nel suo romanzo, ha cercato di superare le istanze del noir, Fincher punta la sua attenzione sulla figura di Amy Elliott. Lo fa soprattutto grazie all’interpretazione agghiacciante, ferina e non priva di un certo umorismo nero di Rosamund Pike.
- Fincher parte dalla divisione in capitoli a scansione temporale del romanzo per srotolare uno dei più grandi mindgame mai messi in scena sul grande schermo. Un gioco permeato dalla figura di Amy, dapprima evanescente, nei flashback aperti dalle pagine del suo diario, poi sempre più immane nel suo palesarsi completamente. È lei che guida lo sguardo bugiardo dello spettatore sin dalle prime battute, sin dal momento in cui osserviamo lo scorrere della sua vezzosa scrittura sulle pagine del diario. Sarà lei a guidarci nell’antro più oscuro del suo cranio perfetto facendoci letteralmente saltare sulla sedia man mano che lo illumina per noi.
La maestria di Fincher sta nel darci ancora una volta una grande visione cinematografica sostenuta da un’architettura tensiva fuori dal comune. Su di essa il regista di Seven innesta la rappresentazione dell’unico sistema d’amore possibile oggi: mediatico, postumano, amorevolmente ferino e, neanche a dirlo, basato sul rapporto di forza.
Elemento permeante (e certamente l’unico davvero orrorifico) è l’arena mediatica che si sviluppa e accresce intorno alla vicenda dei Dunne, l’occhio della camera televisiva (verso cui Nick, in uno dei momenti chiave del film, rivolgerà alla moglie scomparsa il più accorato, empatico e quindi bugiardo degli appelli) è una delle principali armi contemplate nel gioco dei Dunne.
Necessario il recupero de L’amore bugiardo. Gone Girl – una delle visioni migliori della passata stagione cinematografica – in questa sua prima uscita sul mercato home-video. Un nuovo elemento nell’immaginario umbratile e postumano costruito per noi da David Fincher, cui siamo grati per averci fatto conoscere il talento e la bellezza affilata di Rosamund Pike.