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Mint 2010 – Milano

MILANO INTERNATIONAL ANTIQUES AND MODERN ART FAIR 

18 – 21 novembre 2010, Giardini Indro Montanelli, Palestro

Se l’anno scorso fu un malevolo fastidio rotuleo a ostacolare – ma non impedire – la visita alla mostra del mercato dell’eccellenza in arte per antonomasia a Milano, quest’anno è una dieta senza scampo a cui sono costretta da qualche tempo che mi impedisce di godere delle (a volte) generose libagioni e dei simpatici happy hours delle vernici più blasonate.

E’ vero che, come sempre, il pre- del pre- (il pre-vernice) non dispone dei festeggiamenti serbati per gli “invitatissimi”, e che a noi, semplici super-invitati, vengono negate le gioie del convivio, malgrado il passaggio frenetico di sotto il naso delle bottiglie di prosecchino e l’allestimento di graziosi tavolinetti a preludio di cichetini à la Ferran Adria. Per cui, non solo è inopportuno parlare dell’aspetto mondano di MINT 2010 (che non vidi, nell’accezione più databloid del termine), ma di certo sia la mancata partecipazione al resto della serata (che mai m’interessò, pur potendone favorire) sia la fame già repressa del secondo pomeriggio aguzzarono vista e sensi e favorirono la concentrazione su un aspetto della rassegna nuovo e assolutamente positivo, dopo un rodaggio in parte claudicante di qualche anno di “prove d’orchestra”, quello del bersaglio finalmente centrato alla quinta edizione.

Nell’edizione di MINT di quest’anno non ci sono tentennamenti o cadute: se target elevato deve essere, l’organizzazione tecnica e quella scientifica a questo target si adegui. E così, alla buon’ora, accade nell’autunno del 2010.

Sia la ricezione dell’ospite sia la selezione delle poche gallerie (e, all’interno di queste, la selezione degli oggetti d’arte) sono qualitativamente elevati e con quella corretta dose di equilibrio formale che non fa scadere lo chic nel cheap a cui, storcendo il naso, ci dobbiamo spesso assoggettare in consimili operazioni.

Ed è “bella” la gente della pre-pre, davvero. Più del solito. Vedo molti studiosi (fra i quali un Alessandro Morandotti soddisfatto, per una volta, del risultato) dichiaratamente interessati per le segnalazioni ricevute e positivamente impressionati dalle opere; più alta borghesia colta – ce n’è ancora, perdinci -, più pubblico qualificato e meno parvenues, che peraltro non arriveranno, alla méta delle 18/18.30, neppure alla vernice vera e propria. Circolano poche finte abbronzature, salvo qualche irriducibile che stona senza pietà, i tacchi 18 sono svaniti nel nulla (ma forse questo si deve alla moda signora e padrona, chissà…).

Mi sembra tutta gente attenta e sanamente curiosa. Alleluja!

Non so se questo lucore da perfetto understatement e mancanza di un’inutile posa si deve alla crisi economica, ma non credo. Franca Valeri suggerisce di trovare il corvo sulla coda del passero, come si dice in Galles… innoviamo, ma non diamo troppo a vedere, perché il cambiamento estroso, squillato e falsamente à la page sconcerta il pubblico a cui MINT si rivolge.

Qui bisogna convincere che il mercato dell’eccellenza artistica c’è, resiste e si vede.
Un punto per Milano, perbacco.
Approfondendo l’analisi dei contenuti, vediamo bene che la selezione è – a suo modo – impietosa e specchio dei tempi, pur considerando la singolarità della manifestazione e la campionatura parziale di una specifica area di mercato e di clientela.

Fra le 34 gallerie presenti nell’elegante e confortevole padiglione approntato nei Giardini Montanelli di Via Palestro, mancano clamorosamente le rappresentanze del settore dell’antiquariato, dei tappeti (una sola galleria presente, quella diretta da Mirco Cattai di Milano con, fra gli altri, un magnifico tappeto anatolico antico – forse un Ushak -, con il suo mihrab inquadrato da diverse colonne, che campeggia dietro la postazione di ricevimento), delle arti decorative (fatto salvo per la rinomatissima Pegaso di Milano che presenta una bella selezione di alti vasi – oltre il mezzo metro – in ceramica smaltata di Melotti degli anni ’50, tutti rigorosamente catalogati) salvo inserirle in contesti più vasti.

La linea conduttrice della manifestazione è la varietà squisitamente estetica di abbinamento delle proposte , non più secondo precise direttive di scuderia. Questo non valga per gli esempi deputati storicamente a particolari settori artistici, come accade con leGallerie d’Arte Enrico di Milano e Genova, legate all’800 italiano o con la sontuosa e filologica selezione dei gioielli del ‘900 a firma Webb, Tiffany e designers americani d’epoca diLorenzo e Paola Monticone di Torino, dove, per una volta, anch’io ho esibito un’ingordigia da bellezza per le giade intagliate, le perle barocche o scaramazze o gli zaffiri cabochon con quel sordo bagliore che pareggia le sovrabbondanti montature di anelli e parures (che starebbero benissimo anche sulle mie manone emiliane…).

Mi sovviene, a proposito, l’impegno programmato per un altro giovedì di molti anni fa da una straordinaria Valeri che avrebbe dovuto assentarsi dal “lavoro” per portare a New York i gioielli di mamàn: lei ha gli smeraldi così sporchi!

La cifra, valida per tutti, è: una più attenta scelta delle opere da esporre e una maggiore qualità artistica di ogni proposta. Il livello complessivo dell’arte è superiore alle passate edizioni.

Parola d’ordine: “abbinare combinando periodi storici e ambiti differenti”; il quadro del secondo Novecento con la tela manierista, la scultura astratta con la statua d’alta epoca, la xilografia giapponese con l’incisione a bulino nordeuropea, il quadro dell’artista contemporaneo italiano con la tela del Seicento bolognese…

Per entrare nel dettaglio, tratteggio una mia personale selezione, avulsa da qualsiasi valutazione in merito a costi e importanza storico-artistica dei pezzi (credo, entrambi sostenuti). Un occhio personalissimo (e quindi per i più opinabile, forse) ma sincero. Seguirò, come Virgilio guida Dante, i consigli della signorina snob, allorquando, nel tentativo di “rinfrescare l’Europa” ostile allo straniero per le sue vestigia polverose, per la noia che dà il rudere, per l’insofferenza al quadro sacro, tenterò di allungare la testa per superare la coda, come dicono in Inghilterra, nel Derbysdale.

Giusto per rimanere in tema, da Frascione Arte (Firenze) segnalo subito il fondo oro Madonna con Bambino, tempera e olio su tavola di Angelo Puccinelli (documentato a Lucca fra il 1380 e il 1407) di ottime dimensioni e di composizione leggiadra e sapiente che prelude già al nuovo secolo.

Saltando di palo in frasca, da Silvano Lodi e Due di Milano, ammiro un bel Corpora (Ancora una speranza, 1961), un olio che proviene dalla galleria La Bussola di Roma, abbinato a una tela di Frangi singolarmente quasi décoDivina del 2010, che mi lascia perplessa: ci devo riflettere, ma forse devo abituarmi agli scarti stilistici dell’optimus.

Punto su Mazzoleni di Torino e trovo ciò che mi aspettavo: il Novecento italiano e europeo ben rappresentato in ogni settore e genere. Un’ampia selezione di Burri molto belli (il migliore,Ferro del 1959), Capogrossi, Bonalumi ma anche Hartung e Vasarely. Fra tutti campeggiano due “operine” (diminutive solo in virtù delle dimensioni): una carta su tavola di Vedova del ’59 (cm. 50×35) e un Afro su tavola di pressoché identiche misure (poste orizzontalmente) dal titolo Per Colorado del 1967: magistrale.

Particolare è la proposta, tutta votata al contemporaneo e incentrata su di un solo nome, diAlberto Peola di Torino: il gallerista ha allestito un grande ambiente a metà del padiglione espositivo al centro del quale è una sorta di plastico architettonico razionalista che ricorda molto alla lontana certi spazi a-dimensionati di Escher; alle pareti che circondano l’installazione sono appese tele che rievocano sezioni della stessa, “camere” pressoché monocrome con l’intervento di lame di luce radente prodotte con la tecnica della stampa a pigmenti su carta di puro cotone. Autore è il duo (Sergio) Gioberto (e Marilena) Noro che propone efficacemente una poetica fatta di conclamati opposti, quali natura-cultura, caos-ordine, ecc. L’effetico estetico è talmente elevato da risultare forse troppo distaccato e freddo. Più convincenti sono le opere all’esterno del poligono in cui il tema natura-cultura risulta più incisivo.

Cambio completo di civiltà si trova da Giuseppe Piva Arte Giapponese di Milano, dove, fra i consueti ricchissimi paraventi, le preziose tsuba (else di spade) e una splendida collezione di scatole da scrittura in lacca e madreperla del periodo Meiji, attira la curiosità del visitatore una serie di fodere di armi in asta (yarisaya), costituite da crine, lacca, pelle, piume, dalle forme particolarissime e moderne per le quali vale la pena aggiungere una nota (ricavata dal sito della galleria). Durante il Periodo Edo (1615-1867) i cortei militari divennero molto frequenti. Le armi in asta erano quelle normalmente brandite in queste occasioni dai guerrieri di rango ordinario, ma coperte da un fodero che proteggesse l’acciaio della lama, costruito con materiali impermeabili alle intemperie. Poiché queste armi, dette yari, misuravano normalmente oltre i tre metri di lunghezza, erano di fatto dei vessilli, le cui sommità potevano essere riccamente decorate con forme simili a sculture astratte che di rado erano pertinenti alle armi. La serie diyarisaya in mostra a MINT è davvero sorprendente all’occhio occidentale.

Matteo Lampertico di Milano va la palma del miglior stand espositivo. Esemplare è la parete di fondo, nella quale l’area centrale è occupata da una tela di grande pregio di un giovanissimo Mattia Preti aiutato dal fratello Gregorio nell’anomala composizione della guarigione dell’idropisiaco, riportata solo dal Vangelo di Luca. La tela è nello stato in cui fu ritirata dalla collezione lombarda di provenienza e non ha subito alcun restauro. Il suo fascino – che obbliga lo sguardo a percepire le ombre nascoste dalle patine antiche e a individuare i dettagli caravaggeschi – deriva anche da questa apparente “rusticità” così unica ormai fra le lucenti cromature di certi restauri troppo invasivi nell’antico. Anche le poche cadute di colore qui piacciono… Il personaggio centrale calca una berretta rosso-brace che fa convergere lo spazio circostante verso la macchia di colore. Ai lati dell’opera due rare tele moderne di simili e contenute dimensioni; un Fontana del 1959 con tre tagli perfetti dalla “pancia sporgente” come vuole la regola e la tela che tradisce l’ottimo periodo e uno Scheggi di poco posteriore (1962). Il rosso delle due opere è incredibilmente identico, sembra provenire dalla stessa lattina di vernice, ed è nelle tonalità della berretta del Preti…Nessuno dei tre quadri ha cornice. L’effetto è stupefacente nella sua semplicità.

Dalla fiorentina Tornabuoni mi attrae un’opera davvero elegante nei colori del bianco-nero-rosso di Carla Accardi del 1958 (Integrazioni, caseina su carta riportata su tavola, cm. 63×69,5), ma mi incuriosisce anche la conversazione della responsabile dello stand che a una cliente spiega come dal centro Italia in giù l’arte moderna sia ancora considerata con diffidenza, fatta salva Roma: “Stenta persino un Rosai, si figuri!”, mentre a Milano il collezionista è aperto a ogni latitudine temporale e geografica. Del resto, se penso che Rosai stesso deve molto al collezionismo milanese del secondo dopoguerra, non mi stupisco, anche se i tempi (ahinoi!) oggi sono ben diversi.

Presso la Galleria Daniela Balzaretti di Milano mi inebrio di oggetti che spero possano conquistare gli amanti della storia vetraria muranese, anche se non sono considerati fra i più contesi del ‘900. Sono le immaginifiche invenzioni ibride di Umberto Bellotto (i “connubi in ferro e vetro”) il quale dal 1920 al 1924 lavorava con la Vetreria Artistica Barovier, ma collaborava anche con Pauly & C. Le meraviglie proposte qui sono vasi in vetro soffiato a diverse tecniche su sostegni in ferro e strutture in ferro per lampade-scultura. Questi straordinari oggetti provengono tutti dalla Collezione Guido Marangoni, grande propulsore del genio italico nelle arti decorative. Collezionista, artista e opere testimoniano un senso dell’arte nelle “cose” che in Italia stentiamo a ritrovare e che, colpevolmente, lasciamo oggi appassire e depredare.

Il trittico video The feast of Trimalchio dei russi AES+F da Noire Contemporary Art di Torinoipnotizza come fece ad Artissima lo scorso anno quando fu presentato per la prima volta al pubblico italiano. Destinato a divenire un must dell’estetismo post Bill Viola, non riesce però a convincermi, malgrado le fantasmagoriche coloriture e le tecniche raffinate: l’allegoria si appesantisce a volte di kitsch un po’ vacuo. Ci vuole profondità per riempire lo spazio iconico e iconografico tra Viola e Cremaster: è comunque una prova interessante che ben si confà a questa manifestazione.

Alla Galleria Toselli di Milano c’è una vasta scelta di opere di Gino De Dominicis, fra le altre: giusto per non smentirmi scelgo la meno appariscente, un disegno a matita di un profilo appuntito e contorto dal collo lunghissimo. Un vero capolavoro! Ma non c’è uno straccio di cartellino esplicativo (qui come anche in altri stands), il che non aiuta certo il pubblico. Chissà perché ci permettiamo comportamenti che altrove sarebbero impensabili.

L’unica galleria straniera a MINT 2010 (se si tralasciano Robilant e Voena, organizzatori della manifestazione, che hanno sede a Milano e Londra), la Elliott Lee di Londra, offre oggetti decorativi, argenti e curiosità dell’otto/novecento perlopiù inglese ed è esplicita sia nelle spiegazioni delle opere sia nei prezzi. Un bellissimo set in argento martellato e avorio (caraffa e bottiglia) su disegno di Thomas Johnson (londinese) del 1880 è valutato con chiarezza 19.000 euro.

Segnalo ancora alla Bottegantica di Savoia (Bologna) tre belle piccole tele di Emma Ciardi, di cui una, Mattino a Venezia, è forse la migliore. Tre chicche. E dalla “conterranea” Fondoantico di Tiziana Sassoli, buca l’inquadratura fra le molte e importanti offerte una piccolissima preziosità su carta riportata su tela di Francesco Cairo: un’impettita (o ancora incredula) Giuditta con la testa di Oloferne mostra la sua straordinaria modernità svanendo in un’ombra che trascina con sé gloria e tragedia insieme.

Concludo con i paròni de casaRobilant e Voena di Milano e Londra che sovrastano l’offerta, proponendo opere a tutto campo, dall’antico al contemporaneo, dai fondi oro alla fotografia patinata. Bello e importante il Lavoro Postale di Alighiero Boetti del 1974 con le sue 120 buste affrancate e speranzose di destinazioni impossibili; sognante e ben costruita la Nascita di Venere dalla collezione del Principe Yusupov dell’emiliano Gaetano Gandolfi della seconda metà del ‘700; magnifico il San Pietro pentito del Guercino, un pezzo importante della collezione Koelliker; e finalmente adeguato a contesto e contenuti, il mistico grande tondo Lament di Damien Hirst del 2008, le cui farfalle variopinte imbrigliate sottovetro giocano sull’effetto impressivo della mise-en-scéne. Il giusto finale per una cattedrale dell’arte elitaria in vendita come si propone di essere, finalmente riuscendoci, quest’edizione del MINT.

E anche se latitano un poco le inizitive collaterali che sempre costellano tali appuntamenti (e di cui spesso e volentieri si potrebbe fare a meno), si può certamente affermare con la tagliente indagatrice delle debolezze, delle ingenuità e delle capacità di una Milano da rintracciare anche attraverso le sue rassegne più riuscite, che MINT ha pur trovato il suo vantaggio sul cappello della suocera, come sottolineano gli Scozzesi.

Nota : Le citazioni dal gustoso monologo di Franca Valeri “La ragazza ricca che lavora”, della durata di poco meno di quattro minuti, si trovano (con una certa fatica) nell’imperdibile LP Le Donne di Franca Valeri del 1962, etichetta EMI – La Voce del Padrone (in catalogo QUELP 8039 ristampato PSQ 051); oppure per i più smaliziati su YouTube. Consiglio vivamente di ascoltarloprima di immergersi nella milanesità ricercata di MINT 2010.

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comunicato stampa pre-fiera

 

Ritorna l’appuntamento con l’arte antica, moderna e contemporanea di Mint, la fiera milanese nata nel 2006 e diretta da Roberto Casiraghi (artefice di Artissima e attuale direttore di Roma Road to Contemporary) quest’anno presenta 34 gallerie nella struttura temporanea allestita, per il secondo anno consecutivo nei giardini di via Palestro. Aperta da domani 18 novembre fino a domenica.

 

Quinta edizione di MINT mostra mercato d’arte antica, moderna e contemporanea patrocinata dalla Regione Lombardia e dal Comune di Milano, realizzata in collaborazione con Massimiliano Finazzer Flory, Assessore alla Cultura Comune di Milano e Maurizio Cadeo, Assessore all’Arredo, Decoro Urbano e Verde Comune di Milano. La manifestazione e’ promossa dalla Fondazione MINT presieduta da Marco Voena e organizzata da Roberto Casiraghi, Direttore di MINT.

 

La conferma della posizione centrale nei Giardini “Indro Montanelli”, all’incrocio tra Corso Venezia e Via Palestro, intende valorizzare il polo museale civico della zona denominata “Distretto Palestro”, che comprende le istituzioni dedicate all’arte moderna e contemporanea come la Galleria d’Arte Moderna a Villa Reale, il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, le Case Museo Boschi Di Stefano e Villa Necchi Campiglio, le esposizioni temporanee alla Permanente, allo Spazio Oberdan, a Palazzo Dugnani, proseguendo con il Museo del Cinema, sempre a Palazzo Dugnani, e la Biblioteca di Via Senato, sino alle sedi della ricerca scientifica come il Museo di Storia Naturale e il Planetario Ulrico Hoepli.

 

MINT 2010, aperta con il nuovo orario dalle 12 alle 22, e’ ospitata in una moderna tensostruttura, immersa nel verde, e al suo interno gli spazi degli Espositori sono pensati come ambienti personalizzati dallo stile delle singole Gallerie e dalle caratteristiche delle opere esposte e quindi diversi per dimensioni, colori e allestimento.

 

La lounge/bar e’ presente sia come spazio per la ristorazione che per gli incontri del programma collaterale. Il motivo dominante di questa edizione e’ MINTEMPTATION e l’allestimento gioca sul simbolo della mela rossa, frutto proibito evocante sensualità e trasgressione, che contrassegna anche l’immagine guida della mostra.

 

Il dialogo tra passato e presente attraverso le opere – dipinti, sculture, mobili, porcellane, argenti, gioielli, stampe, tappeti, libri, vetri, tessuti, design, fotografie – presentate da 34 Gallerie italiane di cui due estere rappresenta la filosofia di MINT. Oggi i confini fra le diverse discipline e pratiche artistiche sono piu’ flessibili: sempre piu’ spesso grandi antiquari propongono confronti fra capolavori del passato e creazioni d’arte moderna, influenti galleristi del contemporaneo lavorano con designer che, al pari degli artisti, propongono pezzi unici o in serie limitata. Una trasversalità che si rilette nel life style di coloro che sempre piu’ ricercano un raffinato mix di linguaggi, epoche, e stili e che amano la ricerca di pezzi particolari, di altissima qualità, originalità ed eccezionalità: una concezione di vita che contamina tempi e spazi per fondere lusso ed essenzialità.

 

Le iniziative collaterali di MINT 2010 comprendono un ciclo di Talks dedicati ai diversi linguaggi dell’arte dal collezionismo, al gusto, alla finanza e un programma musicale, realizzato in collaborazione con Radio Classica di Class Editori, che con le sue emittenti televisive (Class Cnbc, Class News Msnbc, Class Life, Class Horse Tv e Tv Moda) realizzerà in diretta da MINT le interviste a collezionisti, direttori di musei, galleristi, critici ed esperti d’arte.

 

Partner di MINT 2010 sono: BNL Gruppo BNP PARIBAS, Alcantara e Lavazza. Media partner è Class Editori.

MINT Live  – Programma musicale  

 

MINT Talks

LUCIO FONTANA, Concetto spaziale. Attesa, olio oro su olio rosa su tela, cm 52 x 45 Firmato davanti in basso a sinistra: L. Fontana Sul retro: L. Fontana / concetto spaziale / ATTESA courtesy Robilant + Voena, Londra

ESPOSITORI

 

Ajassa, Torino

Galleria d’Arte Ambrosiana, Milano

W. Apolloni, Roma

Art Collector, Pisa

L’Arte Antica di Silverio Salamon, Torino

Galleria Daniela Balzaretti, Milano

Bottegantica di Savoia, Bologna

Galleria Michela Cattai, Milano

Mirco Cattai, Milano

Copetti Antiquari, Udine

Enrico Gallerie d’Arte, Milano, Genova

Farsettiarte, Prato, Milano, Cortina

Fondantico di Tiziana Sassoli, Bologna

Frascione Arte, Firenze

Gilistra Japanese Art & Design, Torino

Matteo Lampertico, Milano

Cesare Lampronti, Roma, Milano

Elliot Lee, Londra

Galleria Silvano Lodi & Due, Milano

Galleria Longari, Milano

Mazzoleni Galleria d’Arte, Torino

Lorenzo e Paola Monticone, Torino

Marco Noire Contemporary Art, Torino

Nuova Arcadia di Luciano Franchi, Padova, Meduna di Livenza (Tv)

Pegaso, Milano

Alberto Peola Arte Contemporanea, Torino

Giuseppe Piva – Arte Giapponese, Milano

Poggiali e Forconi, Firenze

Robilant+Voena, Londra

Sangallo ART Station, Firenze

Scavia, Milano
Scultura Italiana di Dario Mottola, Milano
Tornabuoni Arte, Firenze, Milano, Venezia, Portofino, Forte dei Marmi

Galleria Toselli, Milano

Lo stand della Galleria Daniela Balzaretti è dedicato in grande parte alla figura di Adolfo Wildt (1868-1931)

L’opera più significativa , con  i suoi vuoti-pieni, più vicina a questo momento artistico, è senza ombra di dubbio Un Rosario, il gesso che Adolfo Wildt dona a Guido Marangoni, ‘probabilmente intorno al 1919, quando più intenso pare, nelle lettere rimaste nell’Archivio Wildt, il rapporto tra l’artista e il critico.’ (Paola Mola)

Adolfo Wildt (1868 – 1931), Luminaria, 1925, matita e carbone su carta, cm. 90 x 131, firmato in basso a destra, provenienza: collezione eredi Francesco Wildt courtesy Galleria Daniela Balzaretti

Uno dei dodici disegni per un almanacco ‘Le Grandi Giornate di Dio e dell’Umanità’ uscito a Milano nel 1926 a favore dell’Opera nazionale orfani di guerra di Padre Semeria e Don Minozzi  e dell’Associazione nazionale Cesare Beccaria.
‘Che io sappia questi disegni sono destinati a rimanere disegni. Ma vi si ritrova tutto Wildt, primitivo e barocco, a un tempo deformatore – volutamente – per la maggiore emotività espressiva, ma entro termini bene definiti da una modellatura precisa, rigorosa, che sembra obbedire a regole ignote di un ignoto accademismo. Nella prima serie, che va dalla rappresentazione del Caos al riposo dopo la grande opera, domina la maschera del Creatore, suscitatore di luce, di ordine e di vita con lo sguardo, con la volontà, con l’alito. Soggetto tale da far tremare le vene e i polsi a qualsiasi grande artista, e che tuttavia Adolfo Wildt ha saputo svolgere con potenza di rappresentazione plastica, pur mantenendosi fedelissimo nei riguardi della enunciazione biblica.’…
D. Bonardi, ‘Il Secolo’, 13 marzo 1925

Un Rosario – MCMXV Gesso con doratura nella treccia, altezza 37,3 cm; su base originale in legno,altezza 2 cm. Firmato sulla spalla, dietro a sinistra Provenienza: eredi Marangoni, già collezione Guido Marangoni Perizia: Paola Mola in data 25 giugno 2010

‘All’inizio della guerra, quando la scarsità delle commissioni e degli impegni esterni lasciava tempo allo studio e alla concentrazione, Wildt avvia con il Rosario, quella ricerca di una nuova sintesi linguistica che giungerà alla fine del conflitto all’intensità compositiva di Maria dà luce ai pargoli cristiani. L’inclinazione della testa era ancora quella del Prigione da poco terminato, e gli occhi riprendevano quelli a globo dell’Uomo antico, con le sopracciglia come cuciture, ma il titanismo delle masse in lotta andava ora ad acquietarsi nella rassegnazione d’una malinconia inguaribile. Si raccoglievano nell’opera le figure a contorno dei suoi stessi disegni, i piani tersi di Minne, il dolore di Munch, le ondulazioni di Klimt, il bianco e oro della Fanciulla piena d’amore di Martini (presentata in gesso nel ’13 a Venezia), i lamenti delle Addolorate, quel Quattrocento che allora si chiamava “primitivo”, l’Angelico e Filippo Lippi, i lunghi colli del gotico e di Modigliani: ma tutto confluiva in una forma tanto composta e depurata da perdere all’interno qualunque citazione. Iniziato nel 1915 come busto più ampio, il Rosario fu ridotto, probabilmente nel 1917, fino alla leggerezza della spalla sottile e di quel dietro totalmente astratto.’ Paola Mola, giugno 2010
‘E basterà quest’opera – alla quale Wildt assegnava un ruolo ben rappresentativo nell’evoluzione del suo disegno d’artista – a creare la fama di uno scultore!’ Guido Marangoni, ‘Adolfo Wildt’ – ‘Cultura Moderna’, maggio 1931, p.262
‘…E questa testa assai bene tagliata con la squisita gracilità del lungo collo liliale e delle spalle, con l’espressione di intensità dolorosa, con la modellatura tormentata insieme e sintetica…’ Margherita Sarfatti, ‘Gli Avvenimenti’, 21 ottobre 1917

 

L’Orecchio Altorilievo in marmo, 25,5 x 17 x 19,3 cm. su fondo in bronzo, 33 x 25 x 2 cm.Firmato nello spessore a sinistra, A.WILDT Provenienza: eredi Osvaldo Bona, Castello di Provana del Sabbione, Carignano (Torino) Perizia: Paola Mola in data 18 luglio 2010

‘Opera originale autentica di Adolfo Wildt, in perfetto stato di conservazione, questo marmo è il solo di cui si abbia sino ad ora conoscenza. Riteniamo attendibili i ricordi familiari degli eredi Bona secondo i quali sarebbe questo il primo esemplare acquistato nel 1919 da Giuseppe Chierichetti alla Galleria Pesaro insieme con la Vittoria  poi collocata nell’atrio di casa Berri – Meregalli in via dei Cappuccini 8, di cui Chierichetti divenne comproprietario insieme a Guido Rossi appunto in quell’anno. Paola Mola, luglio 2010
‘E guardate infine l’Orecchio. Un frammento di marmo, un padiglione lobare enorme, ingigantito – null’altro. E basta. E’ l’udito, quell’orecchio. L’Udito con tutte le sue forze e le sue possibilità gloriose. La parte che diviene tutto; la cosa che assurge a simbolo; pare una buccina, dove si raccolga in meandri di concavità in sonoro fiato del mondo. E questo senza, da parte di Wildt, alcuna tronfia ampollosità retorica, o pretensione di esegesi metafisica. Per virtù di assimilazione lirica, semplicemente, e per forza di pretti valori plastici’. Margherita Sarfatti, Adolfo Wildt e l’Esposizione alla Galleria Pesaro, ‘Il Popolo d’Italia’, 10 febbraio 1919.
‘Sempre del 1919 è l’Orecchio, visionaria interpretazione di un citofono, che realizza per la casa di Via Serbelloni 10, progettata dal suo allievo Aldo Andreani. Wildt, che per la sua abilità nell’interpretare l’anatomia auricolare era soprannominato l’oregiatt, aveva eseguito nello stesso periodo anche un orecchio in marmo, più piccolo, ora perduto, esposto con La Vittoria alla Galleria Pesaro. Il soggetto anatomico era particolarmente congeniale all’artista, secondo cui ogni frammento del corpo poteva esprimere un “sentimento”.’ Elena Pontiggia, ‘Adolfo Wildt e i suoi allievi – Fontana, Melotti, Broggini e gli altri’ Catalogo mostra, Brescia, Palazzo Martinengo 25 gennaio – 25 aprile 2000
Skira 2000 – pp.70-73

INFORMAZIONI UTILI:

MINT-Milano International Antiques and Modern Art Fair
18 – 21 novembre 2010
Milano
Giardini Indro Montanelli
Via Palestro

inaugurazione (solo su invito) mercoledì, 17 novembre ore 18.30. Alle ore 19.30 Luca Ciammarughi al pianoforte

orario: 18-21 novembre 2010 ore 12.00–22.00 | h. noon–10.00 pm

Biglietto: 15,00 euro Ridotto euro 10,00
mint@mintexhibition.it

www.mintexhibition.it

Il catalogo di MINT e’ pubblicato in collaborazione con Class Editori.

Informazioni:
ORGANIZER
Revolution s.r.l.
Corso Re Umberto, 46 bis – Torino
Tel: 39 011 546284 / Fax: 39 011 5623094
Via dei Coronari, 44 – Roma
Tel: 39 06 69380709
Fax: 39 06 69208012
info@r-evolutionitalia.it

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