IL NOVECENTO A MILANO
Parte III – ALLAAAARMI! – Eleonora Brigliadori alla GAM?
(L’epigono di Mercedes Garberi)
Parte I – La Collezione negata
(premessa storica alla visita del Museo del ‘900)
Parte II – Legittimo Impedimento
(visita al Museo del ‘900)
Ora, finalmente, sappiamo chi governa il côté estetico della “Milano morattiana” e anche di quella di qualche Sindaco precedente. Sappiamo chi è, in Lombardia, a contendere a Carlo Rossella l’ambito scettro di arbiter elegantiarum.
I Milanesi devono a questa figura di apparente secondo piano se da tempo non esiste nel circuito museale del loro Comune un progetto organico; se i responsabili scientifici sono imbrigliati da incolmabili distanze burocratiche che ostacolano la relazione fra Enti e lo scambio proficuo di documenti, opere e teste; se non si riesce a formare un pool accademicamente rilevante nel campo della programmazione culturale; se Palazzo Reale è ridotto a ricettacolo delle mostre più rabberciate, più confuse e sempre più delegate a organizzazioni “circensi” (fatti salvi alcuni momenti di rara eccellenza, quasi stelle alpine in forre impervie, teneri quadrifogli in prati di ortica, nati casualmente tanto casualmente sono orchestrati quelli peggiori); se alcuni dei Musei più onorati di Milano, invece di divulgare con manifestazioni di qualità i propri patrimoni, sono declassati a sedi di estemporanee rassegne che con la loro storia non hanno nulla a che vedere.
Anche se trattasi pur sempre di “mostre d’arte”, perché tanto basta al Nostro: un appellativo purchessia che lo conforti filologicamente.
E non serve, purtroppo, consolarci con l’apertura del neonato Museo del ‘900. Peraltro, almeno in quel contesto, non c’è gloria per il protagonista di questa modesta nota, che di regola è primo fra i primi dei tanti direttori, responsabili, coordinatori, ecc. nei cataloghi e nelle locandine delle manifestazioni milanesi. Il suo nome non dice granché: pochi ne conoscono identità e, men che meno, titoli professionali.
Giuro che mi comporterò bene. Giuro che non mi lascerò prendere la mano. Giuro che mi affiderò – indegnamente, perché per altri motivi bisognerebbe scomodare il Beato – a San Zoran (Music n.d.a.) protettore degli Ultimi, fra i quali sono io, che racconto questa vicenda, con il fine soltanto di sentirmi meno sola nel Paese che tracima verso plaghe deserte e assenti. Penso anche che mi affiderò prudentemente a San Pordenone (Montanari n.d.a.), protettore di chi ritiene, contro ogni evidenza, che non sia mai detta l’ultima parola.
Andiamo con ordine per non disperdere l’intenso páthos che credo di aver suscitato nel lettore.
Da: www.haisentito.it/articolo/eleonora-brigliadori-vandala-artistica-in-sardegna/5990/ del 19 agosto 2007.
Artista non compresa, Eleonora Brigliadori. Il fatto è avvenuto in Sardegna, […] ad Agnata, dove l’attrice stava trascorrendo le vacanze. La Brigliadori […] stava dipingendo di blu una pietra sul litorale. Ma purtroppo il gesto artistico non è stato visto come tale dalla Polizia che è subito intervenuta a fermare l’atto vandalico. La Brigliadori si è prontamente difesa sostenendo che voleva solo lasciare un ricordo artistico di sé alla Sardegna, ma i poliziotti non le hanno creduto e le hanno subito fatto un verbale per danneggiamento e deturpamento delle bellezze naturali, con relativa multa fino a 10 mila euro.
Vorrà dire che l’improvvisata artista dovrà portare i suoi slanci creativi in luoghi più appropriati.
Pare che l’intento fosse quello di ritrarre un angelo, un’astrazione che non si manifesta altrove nel corpus brigliadorianum, di matrice approssimativamente figurativa; per cui quello scoglio pittato pare piuttosto evocare altro… Di certo è che la Brigliadori non fu presa da improvviso raptus creativo data la consistente attrezzatura necessaria per portare a termine l’impresa. Sconcertata per il mancato plauso di popolazione e maggiorenti locali, la novella “landartista” decise di chiedere all’allora Ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli che la sua opera non fosse cancellata. E così andò, perché, nel processo che la vede imputata di danneggiamento e deturpamento di bellezze naturali, la roccia vilipesa costituisce corpo del reato. Nell’ottobre 2008 il sindaco di Aglientu, amareggiato, lamentò che avrebbe dovuto ricorrere a tecnici specializzati per detergere il prezioso granito gallurese, con risultati nient’affatto certi. L’attrice, nel frattempo, offrì circa 4.000 euro di risarcimento per ottenere l’oblazione del reato, ma il giudice si riservò di decidere.
Come questa faccenda si sia conclusa, non è dato sapere, ma l’appello finale dell’estensore della notizia è preso in parola.
Da: beniculturali.it del 12 gennaio scorso.
La mostra di Eleonora Brigliadori “Ewolwing Art”, ospitata al Complesso del Vittoriano dal 14 gennaio al 6 febbraio 2011, vuole far conoscere l’universo pittorico della celebre attrice e presentatrice televisiva attraverso una cinquantina di opere tra tecniche miste e gioielli in oro e argento, realizzate dagli anni Novanta ad oggi. “’Ewolwing’ nasce nell’intento di riunire, nell’arte, ciò che all’uomo appare separato tra forma e sostanza. L’identificazione dell’uomo col suo operato, e non con la sua dimensione fisica apparente, coincide qui nella scoperta di una nuova relazione tra autore e opera d’arte.” (E. Brigliadori).
Già qui, il primo sprezzante commento lumbard (posto che un lumbardostenti un simile birignao): “che importa a noi di cotali quisquilie di Palazzo? Conosciamo la Capitale e il malcostume perpetrato con (anche) i celtici danari! Ma non si può arginare ogni affronto…”, ecc. ecc.
In effetti, appare quantomeno singolare che per un debutto assoluto nel mestiere dell’arte si conceda il Vittoriano. Del resto, la soubrette dalla chioma di Demetra – come accadde nel 2006 fra non poche polemiche all’ammaliante Nancy Brilli (che prima del Vittoriano esponeva solo nella sua bisteccheria di Via Basento) – ebbe l’approvazione di Alessandro Nicosia, gestore incaricato dal Comune del celeberrimo complesso monumentale romano attraverso la propria Società Comunicare Organizzando, la quale alterna a rassegne di buona levatura (interessanti quelle “storico-istituzionali e celebrative”) altre di livello decisamente inferiore.
Ma il nordico sarcasmo da la lontananza, sai, è come il vento di modugnana memoria si congela nella strozza, perché urgente preme in gola un supplice o mia bela madunina, che invoca pietà per una Milano non ancora ripresasi dall’ultima irritante vicenda di questo genere, benché allora ci furono, visto il caso, ancor più dure parole per le motivazioni politiche (nel senso di civili) che l’ affaire dipingeva (fuori di metafora).
E, mentre nella milanese Piazza Fontana campeggiavano sino a pochi giorni fa le poderose Mabille dell’artista Angiola Tremonti già protagoniste lo scorso ottobre di una discussa mostra presso la Galleria d’Arte Moderna cittadina (per cui non spenderò più parola, se non per ricordare che profetizzai un’invasione di Matres Dulcissimae sino, perlomeno, a inaugurazione di Expo 2015 – completati i lavori per la V linea della metro, suppergiù…), installate per il prenatalizio Festival Internazionale del LED, e il Museo di Via Palestro ancora si lecca le ferite, ecco arrivare in Città un’altra “promessa” sulla cui arte non intendo dare alcun giudizio di merito, rifiutando ostinatamente di capire.
Difatti, la povera Villa Reale, già deprivata di un’opera fondamentale del suo pur nobilissimo deposito (Il Quarto Stato di Pellizza, confinato, senza motivo d’esser lì, in un’angusta piazzola-di-sosta-per-pellegrini fra gli ipogei della metropolitana e l’iperuranio del ristorante fashion-chic Giacomo Arengario all’interno del Museo del ‘900), dovrebbe ospitare la personale di Eleonora Brigliadori chiusasi a Roma lo scorso 6 febbraio, in un persecutorio gioco di consapevole e deliberata distruzione della nostra cultura artistica che accomuna il disprezzo per il luogo con la sua sistematica dequalificazione.
La Galleria d’Arte Moderna, deputata – come la “cugina” romana fa in questi giorni (e sempre) con la programmazione di rassegne nazionali e internazionali d’arte del XIX e della prima metà del XX secolo – a valorizzare coerentemente il proprio statuto, è invece palcoscenico di manifestazioni che la retrocedono a viatico di consolidamento di particolarismi di nessun conto per la collettività.
A Eleonora Brigliadori tributo il rispetto dovuto a chiunque si cimenti con onestà nel mestiere dell’arte (e chi, come lei in particolare, vi trovò la forza interiore per reagire ad alcuni gravi accadimenti personali); ma, saldato il debito formale dovuto alla persona, al lettore e alla mia coscienza, aggiungerò che non c’è alcun modo per qualificare criticamente le pennellate cosmico-mistiche dell’avvenente attrice guidate dall’adesione al manifesto dell’Arte Impermanente Spirituale Ecologica (AISPE).
Colpisce la disarmante sincerità che la pittrice-showgirl esprime con partecipazione nella sua video-intervista a Uniroma.tv del 17 gennaio scorso (www.youtube.com/watch?v=R7SJBE7rRCA) quando essa si dice oggetto quasi inconsapevole del karma dell’ultimo minuto (testuale) che le permise contro ogni speranza di esporre al Vittoriano, o quando spiega mediante insostenibile scarto glottologico il neologismo ewolwing (E- ovvero “in onore di Eleonora”, -wolwing ossia “in evoluzione”) affermando di aver deliberatamente sostituito le V del verbo inglese to evolve in quanto ritiene essere la lettera W, scelta per il suo esame di Arte della Parola Visibile, il simbolo che avvolge l’uomo completamente e lo porta nel futuro dell’umanità (oltre a “piacerle un casino”…).
Ma qui, davvero, è sparare sulla Croce Rossa. E chiudo.
Piuttosto che incaponirsi sull’arte della Brigliadori, deve crescere l’indignazione nei confronti dell’artefice, impunito, di questa ennesima soperchieria che spero venga fermata per tempo, vera primadonna di questo modesto pamphlet, colui che, approfittando dell’ombra che regala il potere di chi sta nel medesimo scranno da troppi anni, garantito da una carriera pressoché intoccabile (fra l’altro, è attivo nell’agone politico di S. Giuliano Milanese) e della quale – francamente – mi infischio, determina le sorti dei calendari culturali a Milano assegnando siti museali e spazi pubblici e approvando temi adeguati al suo criterio.
Si deve comunque alla sua ignoranza in materia se, programmata una più che deludente mostra di Arte della Civiltà Islamica a Palazzo Reale (il cui curatore subisce persino il cambio di sesso nel sito ufficiale del Museo, per dire quale profonda e attenta relazione vi sia fra l’apparato appaltatore e l’ “appaltato”), per bilanciare la sensibilità dell’elettorato, permise la piccola gemma del Sacro Lombardo – già da me lodata altre volte – nella stessa sede, stroncandone però una fetta allo scopo di evitare alcuni “insopportabili” costi per prestiti da museo cittadino a museo cittadino o dalla Provincia a Milano. E’ desolante pensare che il vaglio di una rassegna di qualità, per una volta neanche molto onerosa, e concepita da uno studioso di profonda competenza, si debba a un perfetto impreparato (che, difatti, la “sfoltisce” secondo criteri indifferenti al progetto scientifico e alla sua completezza).
Egli, invece, trova del tutto confacente la GAM per la Tremonti, cui permette d’ “infazzolettare” i busti dei Grandi (opere del Comolli, dell’Abbondio, del Marchesi), installazione estemporanea dal titolo Mater Hominum definita dall’autrice “arte concettuale dei foulard” (ma dov’erano gli Amici della GAM?).
Egli amministra l’unico spazio pubblico del Contemporaneo, il PAC, dal glorioso passato che con Mercedes Garberi (elogiata nella I parte di questa trilogia) fece per qualche tempo di Milano una delle città europee più aperte all’arte delle avanguardie. Dalla riapertura del 1996 il Padiglione è assai parco di iniziative, quantunque la maggioranza siano di buon livello ma prive di quell’impronta culturale e di quell’unità progettuale che caratterizzava così fortemente il sito. Con il contributo fisso di uno sponsor “granitico”, il Museo è appaltato a caso, senza discernimento fra una mostra di spessore e una di cui si potrebbe fare a meno. Il Nostro interviene ben poco, ma riesce comunque a censurare la personale appena chiusa di Robert Gligorov (approvata in toto dallo stesso Sindaco Moratti!) con l’aiuto del Garante per la Dignità degli animali, impedendo l’accesso a due opere peraltro già esposte a Firenze e Madrid.
Per questa ulteriore vicenda invito a leggere il brano di Pierluigi Panza dal sito del Corriere della sera: www.corriere.it/cultura/11_gennaio_24/panza-censurato-pac-robert-gligorov_caf0e422-27a2-11e0-9fb9-00144f02aabc.shtml.
Per onestà, vada aggiunto che a Pierluigi Panza si deve anche una nota del 30.10.10 di elogio al Nostro, che “rischiava” di essere eletto Direttore del Museo del ‘900. (archiviostorico.corriere.it/2010/ottobre/30/CONCORSO_PARADOSSALE_co_7_101030007.shtml).
I Milanesi ringraziano il voto di scarto che separò il secondo arrivato dalla neo Direttrice Pugliesi, di ben differente levatura scientifica. Ma sembra che, giusto per non scontentare nessuno, il vinto riceverà “in premio” proprio la Direzione della GAM, ora gestita ad interim da Claudio Salsi, Direttore del settore Musei Civici con particolare supervisione delle Raccolte del Castello Sforzesco, eccellente studioso di incisioni e arte lombarda del ‘6/’700.
Partono spontanei i primi interrogativi.
Perché Salsi non è Direttore della Galleria d’Arte Moderna? E/o: davvero in tutta Milano (nel “parco studiosi” della P.A.) o Lombardia o Italia non esiste un singolo esperto che possa a buon titolo fregiarsi di quell’onore e ridare lustro a quel magnifico museo? E perché Salsi non poté vegliare sul suo feudo “temporaneo”? Perché la precarietà delle cariche (e degli scopi) permette l’infiltrazione di chi, della precarietà altrui, approfitta?
Eccoci al punto. Perché il Nostro è il Responsabile del Servizio Coordinamento e Gestione Mostre a cui il Comune affida la politica culturale delle rassegne temporanee (ossia, quelle che, in stridente contrasto con la precarietà endemica anzidetta, più qualificano l’immagine di una Città) di Palazzo Reale, PAC, Rotonda della Besana, Arengario e del neo-dedicato all’arte Palazzo della Ragione (l’unico che si salva, perché il selettivo settore della Fotografia cui è votato non può sopportare pacchianate troppo esplicite). A lui e a ciò che rappresenta si deve l’affossamento delle attività un tempo vivacissime di questi spazi fondanti della vita intellettuale milanese.
Non è comprensibile il motivo per cui, laddove altri –pubblici dirigenti qualificati in ogni settore dell’arte – potrebbero agevolmente sopperire al coordinamento, oltre che dei siti espositivi, anche delle rassegne provvisorie, si sia invece costituito un apparato inutile, squalificato, dispendioso e possibile preda di comportamenti poco trasparenti.
L’esempio della Garberi dovrebbe insegnare che chi è colto, appassionato e in consonanza con le diverse realtà cittadine pubbliche e private rende vivi i luoghi della cultura anche se sopporta un carico importante di responsabilità. E la Garberi era Direttrice di tutti quei musei che ora sono vuoti contenitori di manifestazioni senza progetto e indirizzo.
Il burocrate, che della Garberi è investito di alcune prerogative, è Domenico Piraina, emblema della supponenza di chi sa che rimarrà ancorato al suo seggio, qualsiasi cosa accada, mutino sindaci, assessori e sovrintendenti, sprofondino consulenti scientifici nelle voragini di Er.
Eppure, a ben vedere, nell’organigramma della Direzione Cultura del Comune, il suo nome non c’è. Appare invece negli scarni e imprecisi siti di Palazzo Reale e PAC.
Piraina (classe 1962) inizia la lunga carriera “culturale” a Milano, Sindaco Marco Formentini e Assessore alla cultura Philippe Daverio (Lega Nord, 1993-1997), dopo il breve commissariamento seguito al crollo della giunta socialista Borghini per la vicenda legata a Mani Pulite. Ma non è dato capire quando entrò a far parte dell’organico municipale né perché ebbe l’incarico di Responsabile Ufficio Mostre (il medesimo di oggi, con nome diverso).
Malgrado egli sia l’unico referente per le Istituzioni culturali – anche internazionali – con cui il Comune dovrebbe coltivare proficui rapporti di collaborazione (compito delicatissimo da cui dipende la vitalità di un Ente e l’immagine stessa di una Città), né lui né altri del suo staff conoscono una sola parola di lingua straniera, e anche quella italiana, per la verità, non pare pratica consueta. Certo è che se la lacuna fosse colmata da indiscutibili qualità accademiche (che in genere, però, sono aduse alla frequentazione internazionale oltre che all’impeccabile eloquio nel nostro idioma), si potrebbe sorvolare su questo aspetto.
Ma assai poco si può dire di Domenico Piraina. Il suo curriculum non è riportato pubblicamente in internet (come invece è per dirigenti o consulenti civici del settore). E, dall’alto delle sue ignote medaglie, quota consulenze specialistiche, dispone di servizi comunali da assegnare a questa o quella manifestazione (e relativa organizzazione) e definisce i contatti (e i contratti) con le case editrici che pubblicheranno i cataloghi o con gli sponsors.
Ai suoi esordi si attiva, più che per la programmazione di mostre, per spalleggiare la ventilata creazione dell’Assessorato alla Moda (con relativo Ufficio manifestazioni culturali) nel momento in cui i grandi nomi della fashion-city si affacciano a quella prelibata opportunità pubblicistica che la dignità della Cultura offre, purtroppo senza pretendere nulla in cambio, a tutti.
Ma il progetto non decolla. Dopo qualche prova tecnica di trasmissione sul versante espositivo che è bene dimenticare, le “firme” della Milanodabere preferiscono far da sole o rinunciare.
L’Assessorato alla Moda viene demandato ai compiti della Provincia.
Oggi ne è a capo (con deleghe anche a “Eventi” e “Expo 2015”) il più giovane Assessore d’Italia, la ventiseienne Silvia Garnero, nipote di Daniela Santanché, in carica dal 2009, per un succinto cameo della quale rimando al contributo http://www.c6.tv/video/5222-silvia-garnero-assessore-provinciale-moda.
Non cederò a nessun commento, anche perché di moda so ben poco (e così dovrei scamparla).
Se pure sindaci e assessori hanno (chi più, chi meno) le proprie pesanti responsabilità, è la burocrazia senza preparazione che condanna una Città intera in ogni settore produttivo. Quella che impedisce la comunicazione fra Uffici e, soprattutto, inibisce la collaborazione con le forze migliori della metropoli, sfruttandone le possibilità contributive perlopiù solo in termini strettamente economici. Quella che si nasconde dietro ai mille cavilli che una normativa, fors’anche giusta ma costrittiva solo per chi propone e non per chi dispone, permette di affossare tutto, ostacolare tutto, affondare tutto, anche con una sola parola proprio all’ultimo momento (quando sembrava tutto a posto, tutto in regola, tutto compiuto), mentre i “costruttori”, quelli che ancora tentano, si scannano per risolvere i mille e mille intralci di menti specializzate in quell’unico sport nazionale che prevede la totale immobilità.
Inutile cambiare Primo Cittadino, Consiglio, Assessori, se coloro che costituiscono il vero filtro alla partecipazione civile nei confronti del proprio legittimo governo sono incompetenti, restano saldi in poltrona per lunghi, distruttivi lustri, epperòrappresentano di fatto la politica attuativa della giunta in carica.
Deve saperlo, il Sindaco Moratti, che viene sempre imputata quale unica causa dei malesseri culturali della Città. L’assessore Finazzer è quasi comparsa (non c’era bisogno di me per dirlo…), seppur complice. Noi ora sappiamo: bisogna vedere se la cosa, al Sindaco, interessa. Soprattutto in relazione ai “grandi progetti culturali” prospettati per la meta fatale del 2015…
Non esiste più il sistema politico della Prima Repubblica, ma la Seconda non ha saputo gestire con perizia il potere – dicono commentatori e sociologi. Resistono (e si esaltano) piuttosto gli individualismi, i piccoli poteri incomunicanti e isolati, che remano esclusivamente per sé e che difficilmente saranno “stanati”, perché è più arduo identificare chi dell’ombra e dell’immobilismo fa la propria forza.
Nel settore della Cultura le figure come Domenico Piraina per anni occupano il posto che altrove in Europa sarebbe di specialisti e studiosi, persone che hanno a cuore la crescita sociale, civile, culturale della propria Città.
Piraina è solo l’ultimo della serie di uomini (e donne) senza talento che fecero slittare Milano nel nulla intellettuale che oggi caratterizza la sua vita pubblica, ma, almeno, sino a vent’anni fa, il tessuto connettivo culturale, pur sfibrato, fra cittadini e istituzioni reggeva.
Da vero talent scout dell’arte negletta, egli garantisce personalmente la GAM a Eleonora Brigliadori come fece con Angiola Tremonti e altrove con simili arbitrarii interventi.
Non ho particolare interesse a sondare quale mossa clientelare sia nascosta dietro una tale decisione. Ma spero, ad absurdum, che vi sia, altrimenti dovrei pensare che veramente l’arte della Brigliadori conquistò una delle più alte cariche della cultura pubblica milanese.
Ciò che non spero, ma temo, è che, dopo la Tremonti e la Brigliadori, compaia in GAM anche Nancy Brilli, così la “triade capitolina” (anche se una delle Divinità risiede in Cantù) sarebbe al gran completo.
O forse sarà il Vittoriano a dover preparare i rinfreschi in onore dell’artista delle Gattoche?
Bisogna fermare questo ennesimo insulto perpetrato con le poche risorse disponibili per la Cultura ai danni dei cittadini e financo degli artisti gratificati, che questi ultimi lo capiscano o meno – malgrado i comunicati stampa di trionfi “bulgari” –, perché esposti al ludibrio e al dileggio del pubblico e utilizzati per fini affatto estranei alla loro arte.
Chiusi i Fasti Romani, Eleonora Brigliadori fa ora la “naufraga” alla trasmissione televisiva L’Isola dei Famosi. Con i proventi del cachet offerto dalla RAI ai Robinson Crusoe de noantri sosterrà la propria vena creativa. Spero quindi che approfitti di una dimensione senz’altro più congeniale alla sua storia curricolare per supportare il suo estro pittorico senza bisogno di esporre nei silenti giardini e nelle ombrose stanze di Villa Reale a Milano.
Lascio la Signora dell’Arte Impermanenteai suoi lidi esotici e pongo la questione che più mi preme e a cui spero qualcuno dia risposta.
Perché chi non possiede qualifiche specialistiche ha mandato di appaltare la Galleria d’Arte Moderna (e altri spazi civici dell’arte) secondo il suo personalissimo, discutibilissimo arbitrio? Perché chi ha già incarichi direttivi per meriti scientifici non sovrintende anche alle manifestazioni temporanee ospitate dai Musei e dai siti espositivi milanesi, nell’interesse dell’identità culturale della Città e, fra l’altro, con un notevole risparmio per il cittadino? Perché da oltre quindici anni le legittime aspirazioni a ritenere Milano una delle Capitali culturali del mondo vengono frustrate nell’indifferenza (o connivenza) delle Istituzioni?
E, soprattutto, perché dovremmo ancora tollerare?
La Cultura – i cui guai sollevano l’indignazione del cittadino solo in caso di eventi purtroppo eclatanti e luttuosi – ha pochissima rilevanza per definire la qualità della vita e la civiltà del nostro Paese. Anche solo accennare a una simile considerazione trent’anni fa avrebbe levato un coro di proteste bipartisan; oggi, altrettanto bipartigianamente, quest’opinione non inarca neppure un sopracciglio.
Per cui, in attesa di un responso che non arriverà, propongo affidarci tutti con devozione a Sant’Alberto (Burri n.d.a.), patrocinatore di coloro che, per svoltare drasticamente, preferiscono fare terra bruciata, insensibili a ciò che dietro al fumo potrebbe rimanere.
Tanto, di regola, è solo cenere.