Milovan Farronato è il direttore di Fiorucci Art Trust e, dopo la quinta edizione del Festival Volcano Extravaganza che si realizza ogni anno a luglio sull’isola vulcanica di Stromboli, sta per realizzare a settembre un progetto con un cast internazionale di artisti nella piccola isola greca di Kastellorizo, a poche miglia dalla Turchia, come parte dei Public Program della prossima Biennale di Istanbul.
Tra i tanti eventi collettivi, performances ed esposizioni internazionali, Milovan Farronato firma con Angela Vettese la curatela della mostra Peter Doig, fino al 4 ottobre alla Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia (www.bevilacqualamasa.it). Le sale storiche di Palazzetto Tito presentano un corpus di opere di diversi formati dell’artista scozzese, 56 anni, noto per la suggestione e l’enigma dei suoi dipinti e considerato tra i più acclamati talenti di oggi. Ma, secondo Milovan Farronato chi è Peter Doig, che, dopo la grande retrospettiva alla Fondation Beyeler di Basilea del 2014 è stato paragonato a Paul Guaguin? E quali sono le sue complesse sfaccettature d’artista?
Enigmatico, onirico, misterioso, dechirichiano …Quali sono i punti salienti della personalità di Peter Doig?
Userei in primis l’aggettivo coriaceo e non sono sicuro che Peter lo gradisca. Certo non d’animo coriaceo, ma di carattere coriaceo. Anche visivamente l’aggettivo restituisce un’impressione convincente. Peter Doig è un uomo soprattutto resistente, certo anche silenzioso, intimo, riflessivo. Decisamente non introverso, ma aperto all’estroversione in modi e momenti specifici. Altrimenti preferisce restare sulle sue, concretarsi sul suo lavoro, progettare mondi paralleli per lui e per chi intende lasciarsi suggestionare dal suo modo di percepire il reale. Metafisico, sì, è un altro aggettivo pertinente, soprattutto per quest’ultima mostra alla Fondazione Bevilacqua La Masa.
Quanto tempo ha richiesto la preparazione di questa mostra? Come e quando avete selezionato con Doig i dipinti per Palazzetto Tito?
È il risultato di quattro anni di vita e di produzione visceralmente legati. Ho visto alcuni lavori mentre venivano incubati nel suo studio di Londra. Ma la maggior parte li ho visti finiti, o in procinto di essere conclusi a Venezia nelle settimane che hanno preceduto l’apertura dell’esposizione. Uno è stato terminato nell’albergo che l’ospitava ed è stato appeso alla parete di una delle stanze che si aprono a ventaglio intorno alla sala d’ingresso, il giorno prima dell’inaugurazione. Peter non era pienamente soddisfatto fino all’ultimo momento. E anche questo, comunque, era stato iniziato quattro anni prima, sempre in una stanza d’albergo, ma a New York. È il ritratto di una donna, la stessa che compare spesso anche negli altri dipinti in mostra.
Ci tengo a specificare che non ho selezionato alcun quadro, ho accompagnato e aiutato Peter insieme ad Angela Vettese durante la produzione e l’installazione. Abbiamo fatto un casting solo alla fine per decidere quali opere esporre e quali archiviare per esigenze di spazio. La selezione finale era più generosa degli spazi della fondazione veneziana che, per quanto suggestivi, restano contenuti. Non si è trattato di una mostra retrospettiva come quella che ha avuto corso pochi mesi prima presso la Fondazione Beyeler di Basilea, ma di una mostra con undici nuove tele di cui sette di grandi dimensioni, tre piccole e una, il ritratto descritto prima, di medio formato. In aggiunta anche quattro oli su carta. Tutte opere inedite pensate, elaborate, terminate nel corso di quattro lunghi anni tra Londra e Trinidad dove l’artista ha i suoi due studi. Soprattutto Trinidad. Sono opere tutte cocepite per gli spazi domestici e aulici della Bevilacqua. La mostra in realtà è nata come risposta al desiderio di Peter, dopo aver visto la personale che avevo curato di Enrico David nel 2011, di cimentarsi nello stesso spazio e con lo stesso curatore … Gli sarebbe servito però quasi un lustro di tempo per portare a termine un nuovo corpo di opere che riflettessero i suoi nuovi interessi e la sua crescita come uomo e come artista. C’è molto anche di autobiografico. E ci sono molti autoritratti.
Puoi spiegare in dettaglio il significato delle opere di Doig che evolvono naturalmente e in modo sorprendente. Sono tratti da fotografie ma anche da tele di grandi maestri, da Goya a de Chirico ?
In dettaglio è difficile perché l’artista, come il suo lavoro, tende a sfuggire a definizioni. È un universo personale e parallelo nel quale entrano vari ingredienti. La Storia dell’Arte e della pittura in particolare è un’area a cui Peter fa costantemente riferimento. Ma anche il paesaggio e gli scenari e la sua vita personale e anche …quello che non è mai accaduto anche se sarebbe potuto accadere. I quadri sono possibilità di divagare, sul filo di quello che Alighieri Boetti definiva “stravaganza”. Peter sperimenta nelle sue tele vite e atmosfere, soprattutto atmosfere familiari ma forse mai perfettamente esperite. È evasione? Non credo. È camuffamento? Certamente no. Un escamotage della realtà? Forse in parte … ma con l’aggiunta di molto di più … È andare altrove, verso un familiare e contestualmente sconosciuto… Verso nuovi scenari che germogliano da vecchi ricordi, da fotografie conservate per anni…
Quadri che lascia decantare nel tempo e poi aggiunge strato dopo strato sulla stessa tela le sue nuove immagini mentali? Puoi spiegare la dinamicità di questo voluto non-finito? Una modalità inedita e quasi “indotta” che consegna allo spettatore il compito personale e finale di interpretazione?
La gestazione, convengo, è lunga. Peter lavora a varie tele nello stesso tempo. E si occupa di varie cose contemporaneamente. Insegna, promuove i suoi studenti e la vita culturale di Trinidad. Collabora con musicisti, scrittori… È’ un soggetto senza pausa e senza riposo. Non un egomaniaco o egocentrico, tutt’altro, ma sperimenta ogni possibilità creativa del suo essere e i quadri crescono così per innesti e stratificazioni; per passaggi e aggiustamenti, e talvolta anche sovrapposizioni. L’osservatore più che interpretare è invitato a lasciarsi trasportare dai quadri, lungo il loro orizzonte, nascondersi nei dettagli paesaggistici, perdersi nelle prospettive architettoniche. Per compierli? Forse solo per immaginare un’ ulteriore personale passaggio. Per riviverli con i propri occhi. È impresa difficile interpretarli, meglio abitarli.
Sono onirici e immaginari anche i suoi soggetti che siano leoni o pescatori? E quanto Peter Doig si autorappresenta nelle sue figure?
I leoni talvolta indossano parrucche e i pescatori insolite mute. L’autoritratto è presente in mostra in ogni figura maschile ma dichiarato una sola volta. Peter usa se stesso in qualche opera come modello più prossimo (ma forse si tratta di una bugia inconscia come la definiva San Tommaso) oppure diventa scientemente il soggetto del ritratto. Un uomo emerge e si mischia a un altro; quello alle spalle sembra più anziano, quello in prima fila giovanile. È lo stesso uomo e uno è memoria dell’altro. E tuttavia la sequenza temporale è invertita. L’uomo maturo cede il passo, e in questo caso anche il posto, a ciò che di giovane, eternamente giovane, resta in lui. Sembra danzare, il suo passo è instabile rispetto alla ferma postura di chi resta dietro le quinte. Lo scenario in cui sono immersi, sotto una pianta tropicale, brucia febbricitante di rosso. Siamo a Trinidad, nel suo studio che si apre su un esterno. Alcuni bambini corrono in lontananza. Chi dei due uomini rappresenta di più l’artista, ora, nel suo presente?
Da artista, entrato a pieno titolo nell’Olimpo dei contemporanei, Peter Doig come vive la sua notorietà?
Ne è consapevole, ne può intuire le ragioni e ne contempla i rischi. Di base cerca di tenersi distante dallo star system, dal mondo delle case d’asta, dal mercato. Anche se, ovviamente, sa che è parte integrante della sua professione. Vive prevalentemente a Trinidad e questo è già uno statement chiaro, un luogo isolato che, a varie riprese, gli ha offerto asilo e vivide suggestioni— e un sicuro riparo anche da quell’Olimpo. È un uomo, come direbbe mia nonna, con i piedi per terra.
Come consideri oggi il tuo ruolo di curatore? Quali sono i tuoi compiti e la tua responsabilità nei confronti del pubblico?
La mia prima responsabilità, ti confesso, la avverto per gli artisti. In fondo curo loro, non il pubblico. Il pubblico è invitato da me ad assistere a eventi/mostre/incontri/seminari significativi , possibilmente unici, compatibilmente alle intenzioni ; sperimentali nella maggioranza dei casi (ma questo è un mio cruccio, non una necessità curatoriale). Collaboro con gli artisti talvolta attivamente altre volte passivamente come con Peter facilitandolo, accompagnandolo, risolvendo problematiche varie, cercando di procrastinare il tempo a sua disposizione per produrre il più possibile, suggerendo possibilità o soluzioni quando necessario. Ho normalmente buoni rapporti e molto duraturi con gli artisti con cui collaboro…
Il pubblico deve essere stimolato, educato ma anche e soprattutto sfidato.
Quali saranno le tue prossime curatele? Le vuoi anticipare?
Ho appena concluso con enorme entusiasmo e ora un po’ di malinconia la quinta edizione di Volcano Extravaganza , un festival che grazie al Fiorucci Art Trust si realizza ogni anno sull’isola vulcanica di Stromboli. Ogni giorno per un paio di settimane, nella seconda metà di luglio, presentiamo una performance, o una parata, o uno screening, o una pièce teatrale . Varie possibilità tutte legare al regno del transitorio e del Time based show che quest’anno hanno portato sull’isola un cast unico di artisti internazionali. In successione, non casuale: Kenneth Anger, Mathilde Rosier, Raphael Hefti , Thomas Zipp, Kembra Pfahler , Goshka Macuga, Adriano Costa e Christodoulos Panayiotou.
Prossimi imminenti impegni, sempre sotto la direzione artistica del Fiorucci Art Trust, un progetto a Kastellorizo (piccola isola della Grecia a meno di due miglia dalla costa turca, con una storia molto travagliata e stratificata) come parte dei Public Program della prossima Biennale di Istanbul. Di nuovo un cast internazionale di artisti di fama internazionale che accenderanno eventi in varie location dell’isola con la culminazione di un momento condiviso, il 13 settembre, quando collaboreremo con gli abitanti di Kastellorizzo per celebrare il loro Indipendente Day. In questo contesto a offrire i loro preziosi e inediti contributi : Anna Boghiguian, Aslı Çavuşoğlu, Dora Enconomu, Mario Garcia Torres, Irena Haiduk, Lubaina Himid, Lucia Koch, Gabriel Lester e Leonas Seliuka
A ottobre invece la seconda edizione di Mycorial Theatre , un quasi-seminario che conduco con Paulina Olowska a Rabka , in Polonia e che quest’anno vedrà la partecipazione tra gli altri di Chiara Fumai, Giorgio Andreotta Calò, Danny McDonald, Maria Loboda, Miki Pellerano, Casten Holler . Anche in questo caso un evento collettivo pubblico pianificato per l’8 di ottobre.
Invece per una mostra propriamente intesa con opere esposte in uno spazio dato, per una durata rilevante di tempo , devo aspettare il prossimo maggio quando presenterò le mie Predictions (titolo della mostra) presso la galleria Mendez Wood di San Paolo.