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Addio a Raffaele De Grada

ADDIO RAFFAELE
 
E’ SCOMPARSO OGGI 1 OTTOBRE 2010 RAFFAELE DE GRADA
UNO DEI PIù GRANDI STORICI E CRITICI DELL’ARTE ITALIANA DEL NOVECENTO

 
ArsLife comunica la più sentite condoglianze
alla moglie e alla famiglia intera
e il direttore Paolo Manazza commosso
ricorda il suo più grande maestro di pensiero
 
Ecco il pezzo che Sebastiano Grasso scrisse per il “Corriere della sera” il 18 marzo 2006 in occasione dei novantanni compiuti da Raffaele 

ANNIVERSARI «Confesso che ho vissuto»

De Grada, critico L’ arte fa novanta

 

«Confesso che ho vissuto», scriveva Pablo Neruda. E Raffaele De Grada? Il critico d’ arte e scrittore potrebbe dire esattamente la stessa cosa, ma se ne guarda bene. Perché dovrebbe confessare la sua età, e non ci pensa proprio. Festeggiamenti, bilanci, messaggi non lo interessano. Sono in tanti a volergli bene e, spesso, i dispetti sono uno dei tanti volti dell’ affetto. Allora, facciamogliene uno: signori, Raffaele ha compiuto 90 anni! Certo, se lo avesse detto in tempo, una plaquette di Giorgio Lucini non gliel’ avrebbe levata nessuno. Perché da qualche anno, il principe milanese dei tipografi, con la complicità di Paolo Franci, s’ è inventato una vera e propria collana dedicata agli 80, 85, 90 e 95 anni dei vari Dante Isella, Luciano Erba, Maurizio Mazzocchi, Walter Ballmer, Guido Strazza, Gian Luigi Giovanola, Guido Lopez, Mario de Biasi, Carlo Nangeroni ed altri. Poche pagine con poesie, prose, disegni, fotografie, testimonianze varie (come la lettera, del ‘ 74, di Guido Piovene a Sergio Grandini). De Grada, si diceva. Il critico ha attraversato tutto un secolo senza che ciò lo abbia profondamente cambiato. Un po’ come un altro grande «giovane»: quello straordinario Gillo Dorfles che, l’ altro giorno, a Milano, al pranzo per gli 80 anni dello scultore italo-nipponico Kengiro Azuma, è stato l’ unico, a 97 anni, ad ordinare un fritto misto di pesce e ad assaporarlo, fra l’ invidia di quanti, più giovani di lui di qualche decennio, non se lo potevano permettere. Che cosa rende uomini come Raffaele De Grada diversi da tutti gli altri? Probabilmente un’ esistenza vissuta intensamente, partecipata, inventata di giorno in giorno, ma, soprattutto, una grande, grandissima umanità (viene spontaneo accostarlo a un personaggio come il grande storico dell’ arte Gian Alberto Dell’ Acqua). È proprio questa umanità che non ha mai fatto avvizzire, in lui, quella parte del «fanciullino» di pascoliana memoria. Il vezzo di non dire la propria età, Raffaele se lo trascina da tanto. Se qualcuno gliela chiede, fa finta di non sentire e cambia discorso. Nel 1986 ha 70 anni a denti stretti: deve lasciare l’ insegnamento a Brera per andare in pensione (in pensione, per modo di dire: subito lo chiamano a dirigere l’ Accademia Galli di Como). E 70 restano sino al ‘ 96, quando, in un anno ne recupera dieci, perché costretto dalle circostanze. Un giorno, mentre è al Corriere, arriva una telefonata di Carlo Bo. L’ autore di Letteratura come vita sente che è presente anche Raffaele, chiede di salutarlo. Una frase («Eh, cosa vuoi, caro Carlo, fra due settimane sono 80») svela il mistero. Così il giorno dell’ anniversario, il Corriere, con un pezzo in Terza pagina, ricorda il suo collaboratore di circa mezzo secolo. C’ è una spiegazione perché De Grada non ne ami parlare: «Rischio di camminare per le strade senza che nessuno mi saluti; pensano che ormai non servo più», osserva. Non è così: il ricordo sul Corriere sveglia dal letargo anche persone di cui Raffaele non ha notizie da parecchi lustri. Un bilancio? Si tenga conto del critico, del docente, del politico. Nato a Zurigo nel 1916 (il padre è il famoso pittore Raffaele; e per distinguerlo, il figlio viene chiamato Raffaellino), a 19 anni scrive su L’ Italia letteraria di Massimo Bontempelli. Poi la famiglia si trasferisce in Italia: Gussola (Cremona), San Gimignano, Firenze (la sua casa è frequentata da Libero Andreotti, Carena, Graziosi, Colacicchi, Loria, Carocci) e Milano. Nel capoluogo lombardo è allievo di Antonio Banfi. Suoi compagni di strada: Remo Cantoni, Luciano Anceschi, Vittorio Sereni, Enzo Paci. Con Ernesto Treccani fonda la rivista Corrente di vita giovanile. Antifascista, nel ‘ 38 e nel ‘ 43, si fa, rispettivamente, sette e cinque mesi a San Vittore. Partigiano, subito dopo la guerra, a Firenze, è nominato direttore dell’ Eiar (l’ attuale Rai), mentre l’ amico Carlo Levi va a dirigere La Nazione. Giornalista, deputato, docente all’ Accademia di Brera. Libri: su Umberto Boccioni, Giovanni Boldini, Mario Mafai; sui Macchiaioli; sull’ 800 italiano ed europeo e su decine di artisti contemporanei. Cinque anni fa pubblica il primo volume di memorie che si fermano al ‘ 45. E il secondo? Per questo, c’ è tempo.

Grasso Sebastiano

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