“Ma io mi sono trasformato nella forma zero e sono uscito dall’altra parte: 0-1. Secondo me il cubofuturismo ha assolto il suo compito, dunque passo al suprematismo, al nuovo realismo pittorico, alla creazione non oggettiva”
Kazimir Malevic
Alla Foundation Beyeler, sino al 10 gennaio 2015, L’esposizione immaginifica “Alla ricerca di 0,10 – L’ultima mostra di quadri futuristi” riporta magicamente in vita la mostra del dicembre 1915 a Pietrogrado, in cui 7 pittori e 7 pittrici di due opposti schieramenti si confrontarono, grazie all’estenuante lavoro curatoriale di Ivan Puni (artista finlandese di origine italiana) e sua moglie Xenia Boguslavskaja. Questo evento del 1915 viene considerato come uno dei massimi eventi artistici del Novecento.
I due artisti leader a confronto nell’occasione, furono Malevic e Tatlin. Rappresentavano l’antagonismo tra Pietrogrado e Mosca. Malevic presentò per la prima volta la sua pittura suprematisma e da quel momento, insieme a Tatlin, divenne uno dei capofila dell’avanguardia europea.
Ma una visita alla mostra si rivela affascinante, non solo per le opere principali. Grazie alla collaborazione inedita con collezionisti e istituzioni russe è infatti stata recuperata -e viene esposta oggi- una discreta parte delle quasi 150 opere presenti nella mostra originaria.
Il risultato è di sicuro impatto, sia per le evoluzioni suprematiste -fondamento dell’astrattismo- sia per le opere futuriste e cubiste russe esposte. Già, impegnando il tutolo della mostra (l’ultima mostra futurista), si intendeva dichiarare concluso il “cubofuturismo”, che pure era profusamente esposto e che alcuni degli artisti partecipanti all’evento continuarono a seguire anche dopo il 1915.
Il visitatore italiano sarà sicuramente colpito dalla bellezza delle opere futuriste russe, che testimoniano sull’importanza del movimento nato in Italia e sulla sua “interazione” col cubismo.
Emozionano anche la storia e le opere dell’artista curatore della mostra originaria, Ivan Puni, finlandese di origine italiana, cresciuto a Pietrogrado e infine emigrato a Parigi dove assunse nazionalità francese e il nome di Jean Pougny. Non fu semplice organizzare una rassegna di “incontro-scontro”, ed infatti molti artisti abbandonarono durante il percorso organizzativo, ed altri si unirono.
Spicca di certo, per significato simbolico nella storia dell’arte, il “quadrato nero” di Malevic, al quale è dedicata un’altra mostra presente in altre sale, che assembla opere di grandi artisti che hanno richiamano il concetto: questa mostra si chiama “Black Sun” e vede esposti sia grandi maestri del 900 che artisti contemporanei. Tra questi, Kandinskij, Rothko, Fontana, Klein, Hirst e molti altri.
La Fondazione Beyeler ha sempre il pregio di affiancare mostre più squisitamente inserite nella storia dell’arte ad altre che tengono alto il nome degli artisti della collezione permanente o di artisti contemporanei spesso seguiti. Ad esempio, in questo caso, intorno all’idea del “quadrato” si dipana una mostra di nomi noti a chi visita spesso la Fondazione, anch’essi di rilievo: da Gerard Richter, a Calder, sino a Philippe Parreno.
Insomma, intorno alla mostra centrale e all’opera centrale, la visita si espande verso correnti diverse e contemporanee, rivelando ulteriore interesse.
Il tutto, nella sempre deliziosa sede in campagna, poco fuori Basilea, progettata per Beyeler da Renzo Piano al fianco della villa tradizionale del grande gallerista svizzero cofondatore anche di Art Basel.
Mostre, edificio, giardini e paesaggio ne fanno un tranquillo luogo di pellegrinaggio e meditazione di chi ama l’arte moderna e contemporanea e la bellezza della natura. Con la complicità di una giornata di bel tempo, l’unione dell’architettura e del paesaggio sono mirabili.
foto e testo di Antonio Mansueto