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Il 2016 anno horribilis della musica. Mick Jagger e Paul McCartney vivi perché evoluti

miti della musica

E’ finito l’anno nero della musica. Il 2016 ha inghiottito un mucchio di nomi famosi nel mondo dorato dell’arte e della cultura, da Umberto Eco a Ettore Scola, ma forse mai come questa volta, purtroppo, il lutto si addice alle note del pentagramma.

Nel giro di neanche 12 mesi se ne sono andati per sempre la superstar David Bowie, il chitarrista degli Eagles Glen Frey, e la popstar Prince, senza contare il fondatore dei Jefferson Starship, Paul Kantner, quello che sosteneva che l’uso delle droghe come l’Lsd servisse «per l’espansione della mente e la crescita spirituale» e che invece fosse l’alcol il peggiore di tutti i mali.

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Il 2016 ha perso anche Leonard Cohen, poeta e cantautore, che per decenni ha cercato di uscire dalla sua depressione imbottendosi di antidepressivi e riempiendo il suo tempo e la sua vita di droghe, alcol, donne e pure un po’ di zen, per non farsi mancare niente.

La verità è che quest’anno horribilis sembra arrivare alla fine di un viaggio, come se si compiesse la chiusura di un cerchio: dal grande sballo degli Anni 60 e 70, dal rock ribelle con le sue vite spericolate, alla morte per consunzione di quei miraggi e di quelle corse a perdifiato fuori dal mondo e dalle sue regole. Non è un caso, forse, che nei giorni in cui la stampa annunciava l’ultima grande vittima, George Michael, l’ex cantante dei Wham! che poteva contare addirittura cento milioni di dischi venduti, cominciando a spargere voci e sospetti più o meno fondati di morte da overdose, un’altra stella nel firmamento della musica, Mick Jagger, accoglieva l’ottavo figlio della sua nidiata, Deveraux Octavian Basil, donatogli dall’ultima ex fidanzata, la ballerina Melanie Hamrick, di 44 anni più giovane, con i suoi 29 appena compiuti.

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Ma che cosa può mai separare George Michael da chi come Mick Jagger ha fatto della sregolatezza e dell’esagerazione il suo marchio di fabbrica e quasi la sua prima virtù? La resa. Ecco che cosa. La resa all’epoca futura che si annuncia all’orizzonte, a questo mondo incombente di nuovi puritanesimi e integralismi, che schiaccerà le nostre vite ma anche le sue espressioni artistiche, a questo tempo minaccioso che la crisi ha abbassato su di noi come un cielo cattivo, con tutte le sue tenebrose e arrendevoli filosofie, dall’Islam alla decrescita felice.

Già nel 2003, per diventare baronetto, un titolo a cui teneva moltissimo, Sir Michael Philip «Mick» Jagger aveva dovuto ripulirsi di tutte le droghe e gli eccessi. Adesso è un anziano signore di 73 anni che beve solo centrifugati di verdure e che si dedica al jogging tutti i giorni. Ma non crediate che sia stata per lui un’impresa così difficile. Molto del personaggio che abbiamo conosciuto se l’era costruito da solo col suo genio e con quel senso dell’apparenza che hanno molte delle persone sessualmente ambigue.

Le radici di Mick Jagger sono borghesissime, a differenza di molti dei suoi colleghi del rock. Nel tradizionalista cuore dell’Inghilterra, nasce da un padre insegnante, Basil Joe Jagger, discendente da una famiglia di insegnanti, e da una parrucchiera, Eva Ensley Mary, che si era buttata in politica con l’ambizione di far carriera. La sua prima esibizione musicale è in una sala parrocchiale a Dartford. A scuola va bene, e il suo sogno è quello di fare il giornalista, e se gli va male, il politico come la madre. E’ il suo amico Keith Richards che lo esorta a cantare e fondare con lui una banda rock. Ma quando i Rolling Stones esplodono, lui ne diventa il divo incontrastato.

Dietro la sua facciata ribelle, vive in case borghesissime, arredate sempre con un accentuato gusto tradizionalista. E’ lui che è diverso. Keith Richards ha raccontato che fra le mura domestiche si vestiva con una vestaglia azzurro pastello, una retina per i capelli color lavanda, calze di nylon e tacchi alti. Lo stesso Mick ha confessato di «aver avuto le prime esperienze sessuali con dei ragazzi a scuola». Crescendo si è riempito di donne, non solo in pubblico, lasciando appena qualche piccolo spazio per gli uomini, come starebbe a testimoniare la sua love story con David Bowie.

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Le donne, invece, sono un elenco infinito: Madonna, Angelina Jolie, Urna Thurman, Carla Bruni, la Principessa Margaret, Tina Turner, e Jacqueline Kennedy, «in un breve ma intenso rapporto», come scrivono i suoi biografi. Angelina Jolie raccontò di essere stata costretta dalla madre, ossessionata dal suo mito. Carla Bruni per lui perse la testa, mentre era fidanzata con Eric Clapton, che era pure un amico suo e lo supplicò: «Ti prego con lei no, penso di essere innamorato». Mike lo ascoltò così tanto che dopo il primo rapporto Carla Bruni gli disse: «Sarò per sempre tua amante».

Qualunque fosse il suo segreto, Mick Jagger si è arreso da tempo al mutar dei segni e forse non è un caso che il 2016 ne abbia incarnato lo spirito. Il 15 luglio è diventato pure bisnonno, perché sua nipote Assisi, figlia di Jade, ha dato alla luce un bambino di nome Ezra Key. Come non è un caso che l’altro grande mito immortale della musica sia Paul McCartney. Anche lui ha rinnegato da tempo gli eccessi di un’epoca che eppur gli ha regalato fama e successo.

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Sir James Paul McCartney, nato a Liverpool nel ‘42 da una mamma infermiera, Mary Mohin, che perse in età adolescenziale – fondando un’amicizia di ferro con un altro ragazzo orfano che aveva le sue stesse aspirazioni, John Lennon -, ora è un grande sostenitore del vegetarismo, difensore dei diritti degli animali, impegnato in tutte le campagne per la cancellazione dei debiti del Terzo Mondo, oltre che per quelle contro le mine antiuomo e la caccia alla foca. Non c’è più niente dell’uomo che nel 1975 venne arrestato per possesso di marijuana.

Ma la sua vita cambiò quando incontrò la sua prima moglie e suo grande amore, Linda McCartney, fotografa, tastierista e cantante statunitense, animalista e attivista nelle battaglie sui diritti umani e infine autrice di tre libri vegetariani. Linda è morta di cancro nel 98. Ma Paul è rimasto interamente legato al suo insegnamento: «Adesso non mangiamo più niente che debba essere ucciso per noi. Ne abbiamo passate tante negli Anni 60, tutta la droga e gli amici che morivano come mosche. Siamo arrivati a un punto in cui diamo grande importanza alla vita. E non solo alla nostra. Non possiamo più mettere in tavola qualcosa che abbia una faccia».

Alla fine, non so se è un caso ma il 2016 ha salvato proprio questi miti così lontani dagli eccessi dei loro trionfi. Non vorrà dire niente. Però che il mondo cambi è vero.

L’epoca che se ne va ci lascia foglie ingiallite cadute per terra.
Sono ritratti di un mondo lontano.

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