Antonio Marras torna a fare parlare di se, non con un défilé, ma con una mostra “intessuta” di pura poesia. Alla Triennale di Milano va in scena un viaggio nell’universo creativo del raffinato stilista, fra citazioni artistiche e richiami alla terra natia.
Mai un giorno senza creare
Ispirazioni auliche custodite dentro a materiali grezzi, antiche consuetudini trasportate in un domani fuori dal tempo. Se le sfilate di Antonio Marras sono note per le creazioni di impronta museale, è fuori dalle passerelle che l’estro dello stilista-artigiano acquista una dimensione radicale. Lo rivela la rassegna “Antonio Marras: Nulla die sine linea”. Il titolo evoca la celeberrima frase di Plinio il Vecchio riferita al pittore Apelle, che “non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea ”e sottolinea come Marras abbia fatto della propria creatività una missione esistenziale. Nato ad Alghero nel 1961, celebrato da Vogue e osannato in una delle ultime Biennali di Venezia, amato dalle dive del cinema americano e fidato collaboratore dei pennelli della nostra penisola; l’esistenza di questo talento è un duettare fra la professione di stilista e la vocazione di artista, custodita a lungo gelosamente, almeno fino a questo momento.
Lo scrigno segreto
Dopo lungo indugiare, Marras svela la parte più intima della propria identità, attraverso l’antologia di opere realizzate –e collezionate – negli ultimi vent’anni. Alla Triennale va in scena un’epopea, fatta di un continuo oscillare fra arte e moda, memorabilia personali e racconti collettivi, sottile ironia e dolce inquietudine.
L’allestimento è uno scrigno avvolto da più di cinquecento dipinti, montati su antiche cornici e rivestiti con stoffe disparate. Al suo interno le installazione si fanno portavoce di storie a se stanti, ma sono legate da un sottile file rouge, per un eco continuo di assonanze e allitterazioni.
Ad aprire l’itinerario una fila di candide camicie inebriate dal dolce profumo di lavanda; ma presto i toni si fanno acri, con la ricostruzione di una cella realizzata in collaborazione col carcere di Alghero, nell’intento di restituire ai materiali di recupero –e non solo- una nuova dignità. Poco più avanti ci si imbatte in una classe di creature mostruose: il lavoro -frutto del sodalizio creativo con la scuola del figlio-pone la lente d’ingrandimento sulle paure ancestrali e sulla difficoltà di comunicazione. Impossibile non farsi tranne in inganno da “Colazione da Tiffany”: una fascinosa natura morta inscenata attraverso la giustapposizione di una serie di dentiere, che a un primo sguardo paiono però bon bon adagiati su vassoi di cristallo. E poi disegni, schizzi, quaderni di appunti, e perfino un ex armadio per pellicce trasformato in una cabina contenente una sezione di dipinti per adulti.
La magia dietro la costruzione di una gonna
Un esperienza onirica, fra un passato che ritorna e un futuro in eterna trasformazione. Le iconiche celle rimandano indubbiamente a Louise Bourgeois e le sculture ascendenti sono un omaggio ad Alberto Giacometti, ma il loro connubio offre suggestioni tanto ardite quanto inusitate. Così, se l’amore per i materiali grezzi si rifà a Carol Rama e la riscoperta dell’isola del mirto è frutto della lezione di Maria Lai, le trame delle stoffe unite agli accostamenti cromatici ci portano in un avvenire fuori dal tempo.
Una sintesi fra tradizione e innovazione perfettamente incarnata dall’ultima opera del percorso: un’imponente piramide costruita assemblando una moltitudine di gonne tipiche della consuetudine sarda, doppio tributo alla terra d’origine e alla creatività di domani.
Informazioni utili
Antonio Marras: Nulla die sine linea. Vita, diari e appunti di un uomo irrequieto
A cura di Francesca Alfano Miglietti
La Triennale di Milano
Viale Alemagna 6, Milano
Fino al 21 gennaio 2017
http://www.triennale.org/mostra/antonio-marras-nulla-dies-sine-linea/