I posti della cultura, le abilità politiche e l’estetica diffusa: la Moda, secondo Patrizia Calefato, è questo.
L’autrice de “Il giubbotto e il foulard. Studi culturali, corpo, comunicazione” (Progedit, 2016, 144 pp.) complica in maniera interessante il discorso sulla moda mettendoci di fronte ad alcuni interrogativi apparentemente innocui: il modo in cui ci (s)copriamo nelle nostre case, per strada, nei luoghi di lavoro, è frutto del caso? Quanto siamo padroni dei nostri corpi? Di cosa abbiamo bisogno per cogliere il potere nei riti e nelle attività di ogni giorno?
La moda è uno dei processi più evidenti di traduzione dei significati personali e sociali che attraversano le nostre vite. La Calefato pone in rassegna una serie di contributi che mettono in luce quanto la costruzione di trend – di massa e di elite – si sia rivelata essenziale nell’attivismo femminista degli ultimi anni (rivolte nei paesi nordafricani, gruppo ucraino Femen, etc …) e nelle forme della scrittura autobiografica centrata fortemente sui segni del potere sul corpo (Marjane Satrapi, Persepolis).
Una società senza moda è paragonabile a quel concetto di società senza scrittura caro ad antropologi alla Lévi-Strauss che stabiliscono una gerarchia tra il valore della bellezza e della cultura e i popoli che li esprimono. Laddove il primo polo appare disincarnato, fuori dalle relazioni di produzione capitalista e quindi simbolico per eccellenza; mentre i secondi emergono soprattutto in quanto esseri finiti, limitati e senza notevoli capacità di astrazione negli strumenti che utilizzano. Stare a Sud del mondo ha storicamente comportato stare nella parte debole, arretrata, dipendente, dell’esistenza.
“Il giubbotto e il foulard” mette in discussione la visione monolitica di una certa pubblicistica orientalista e meridionalista ponendo in risalto la complessità di ogni realtà subalterna, che non si può ridurre ad un’immagine pietista. Il Sud è un’invenzione politica, dunque? No, credo proprio di no. Una critica dell’habitus territoriale non può escludere una disamina profonda della realtà che non rinchiuda negli assi cartesiani del Potere le variabili indipendenti di ogni cultura.
>> La potenza del codice visivo di cui si nutre la moda consente di parlare al singolare e di esser certi di poter dire “Ho visto la verità”: la soggettività e l’oggettività grazie alla moda si parlano umanamente, non sono concetti inavvicinabili e non rinunciano alla Storia. “La moda ha ucciso il dandy”, citando Barthes, significa proprio che tra individuo e massa la mediazione della moda ha creato una società diversa in cui la cura del dettaglio e la distinzione di classe perdessero senso rispetto ai legami e alle impurità politiche.
Il corpo della terrorista rivestita di bombe, truccata e incinta, nel teatro Dubrovka di Mosca nel 2002 assieme al corpo dell’anoressica rappresentano per la Calefato la necessità della pornografia.
Farsi guardare per poi distruggersi, guardarsi e rinnegarsi, sono dispositivi diffusi all’interno di società in cui gli specchi sono sempre più numerosi e sofisticati.
La corporeità è ciò che immediatamente si associa alla moda perché detiene forti significati di sovranità e il corpo è assunto quale punto limite della razionalità politica (p. 42): come è giusto manifestare in alcuni paesi del Medioriente per la libertà di scelta, senza cadere in trappole colonialiste e senza essere intrappolate in dinamiche meramente pubblicitarie? E, d’altro canto, quali sono le strategie di marketing che alcune grandi multinazionali adottano per poter penetrare in questi mercati superando il filtro della censura?
Esiste un dress-code per i politici persino per ottenere un passaporto? Qui si fa esplicitamente riferimento al fatto che nel 1994 ad un eurodeputato italiano fu negato il passaporto di servizio dal Ministero degli Esteri perché nella fototessera appariva senza cravatta (p. 46).
>> Oggi la moda incarna senza rappresentare, per esempio nella realtà dei social-network – come YouPorn – in cui utenti sempre più pro-sumer si fanno direttamente attori degli strumenti che utilizzano e delle piattaforme che frequentano inventando nuove estetiche del godimento che sfuggano alle vecchie forme di idolatria passiva.
Il corpo non è semplice cassa di risonanza, i sensi della moda sono capaci di intercettare profumerie e concept-store assieme a librerie, come ha fatto il noto stilista Karl Lagerfeld con il suo profumo “Paper Passion”: essenza ispirata all’odore della carta, nostalgia delle dita sui libri, che ri-edita la neutralità del foglio attraverso ciò che non può non essere valutato. Un profumo, i sensi, appunto.