«Il museo era la sua ossessione.
Tutto ciò che faceva nella vita era per il museo».
Fiorella Minervino
L’immenso lascito per Brera di Franco Russoli (1923-1977), alla guida della Pinacoteca dal ’57 al ’77, è stato riscoperto e rilanciato da James M. Bradburne, nuovo direttore della pinacoteca da luglio 2015. Già riconosciuto come figura visionaria sulle orme di giganti come Ettore Modigliani e Fernanda Wittgens, la sua visione della “grande Brera” è diventata la fonte d’ispirazione che anima l’attuale direttore dell’istituzione braidense.
Franco Russoli è stato un grande esperto del settore museale, scomparso troppo presto quando ancora Brera aveva profondamente bisogno del suo spirito innovatore. Sviluppò una profonda riflessione sulle sfide che attendevano il museo in quanto istituzione culturale. I suoi testi mai tradotti in altre lingue e quasi del tutto fuori stampa, ritrovano nuovamente luce grazie alla curatela di Erica Bernardi e alla casa editrice Skira.
Con la morte prematura di Russoli, si dilegua anche il suo progetto della “grande Brera”. Una passeggiata che doveva comprendere buona parte del quartiere di Brera, partendo dalla Pinacoteca e approdando al Poldi Pezzoli, “il gioiello prezioso di Milano”, la prima sede della città meneghina nella quale lavorò Russoli. Con l’acquisizione dell’edificio settecentesco di Palazzo Citterio, nel 1972, era possibile trovare, secondo Russoli, una soluzione alle richieste di spazi per la Pinacoteca senza andare a scapito degli altri condomini dell’istituzione braidense. L’odierno direttore della Pinacoteca ha annunciato che, “con un po’ di ottimismo e un pizzico di fortuna”, Palazzo Citterio aprirà nel 2018 con le collezioni Jesi, Vitali, Mattioli e con opere della collezione Jucker, ora ospitate dal Museo del Novecento. Questa apertura permetterà a gran parte della visione di Russoli di diventare realmente fruibile per la comunità. «Si può pensare appunto a un sogno troppo ambizioso, presuntuoso e utopistico, ma io penso che senza utopia non si fa la realtà», Franco Russoli.
La visione sottesa all’itinerario della “grande Brera” si prefiggeva come scopo quello di sviluppare la funzione urbanistica e sociale del museo. Vedere Brera come un luogo di civiltà, di storia, di cittadinanza, di riferimento per la comunità, e, in particolare, il museo come un luogo dove riscoprire le origini della nostra identità come membri della società contemporanea. Brera come strumento educativo e formativo per l’intera società e, in particolare, per la comunità meneghina. Riflesso al quale accostarsi per meglio comprendere noi stessi e la società in cui siamo attori sociali. “Il museo come arma di cultura attiva”. La visione di Russoli affonda le radici nella visione condivisa da quella generazione che raggiunse la maturità negli anni ’60 e ’70, animata da una concezione di museo come arma fondamentale nella lotta contro le forze nichiliste che avevano distrutto nelle due guerre mondiali, tra le altre cose, anche molta parte del capitale e del patrimonio culturale dell’intera Europa.
Da luogo di piacevole passatempo e di “mero” godimento estetico, nella visione di Russoli il museo si trasforma in primis in fonte di cultura, promotore di storia e del patrimonio culturale. In altre parole, lo scopo fondamentale del museo coincide con tutto ciò che concerne il termine educazione. La missione educativa dell’istituzione deve essere tale da renderla un “laboratorio vivente” per la creazione e ri-creazione di pensiero critico e di comprensione del contesto al quale apparteniamo per i fruitori. «[Oggi] i musei vengono classificati secondo routine come “industria del tempo libero” e valutati, se proprio è necessario, solo per la loro capacità di generare entrate di tipo turistico», James M. Bradburne. Si capisce bene quanto è distante la concezione odierna di museo, per la pubblica amministrazione, da quella di Russoli.
«[…] deve essere un luogo dove si va per alimentare i propri problemi di conoscenza, più che per subire alienanti e coercitive lezioni […] per questo, […] si chiamino a svolgere l’attività didattica, la lettura delle diverse collezioni, non soltanto gli esperti della materia, ma gli storici e i conoscitori di altre discipline. Una raccolta di opere d’arte, ad esempio, sia visitata, anche, con la guida di un sociologo, di uno psicologo, di uno storico, di un economista». (Russoli, Il museo come elemento attivo nella società)
Franco Russoli intende difendere il museo dall’idea dominante che lo vede come tempio sacro, archivio, camera del tesoro, luogo di ricerca specialistica. Esso è anche altro e deve diventare anzitutto altro: luogo in cui e da cui qualunque uomo può sviluppare idee e rimaneggiarne altre, non solo un luogo di formazione nozionistica e neppure di solo piacere, il museo deve essere promotore di pensiero critico, promotore di cultura. E, in quanto istituzione che tutela la cultura, deve rendere questo patrimonio accessibile a tutti, diventando centro e simbolo della comunità nella quale è situato.
«Bisogna che tutti sentano come questi luoghi appartati e solenni siano invece al centro del progresso e del ritmo della vita moderna, come non si tratti di catasti e cimiteri di glorie, ma di testimonianze stimolanti, di dispensatori di suggerimenti e idee per nuove conquiste dello spirito e della intelligenza». (Russoli, Il museo nella vita, 1956)
Per far ciò, l’istituzione museale deve cambiare veste: da contenitore del passato a crogiolo del presente; la ricetta di Russoli prevede anzitutto “restare contemporanei“. Il museo deve dialogare con le sperimentazioni artistiche più recenti, annullando quel divario tra passato e presente mettendo in luce la continuità che li sottende. Nel dicembre del 1976, Russoli inaugura Processo per il Museo: una somma di mostre disposte in ventitré sale, il cui cuore è rappresentato dall’esposizione dei d’après commissionati dallo stesso direttore ad alcuni fra gli artisti più conosciuti del tempo -da Moore a Guttuso, da Melotti a Graham Sutherland, da Baj a Manzù, da Munari a Paolini e molti altri ancora- riproposti in un dialogo con i dipinti presenti nel consueto percorso espositivo di Brera. L’idea sottesa a questo progetto russoliano vedeva nella re-interpretazione contemporanea dei capolavori del passato un incremento positivo nella comprensione di queste opere d’arte, svelandone i significati più reconditi.
Scrisse a riguardo Maurizio Calvesi sul Corriere della Sera: «[…] quando l’opera d’arte, come qui, cessa di porsi come un luogo dove le relazioni con il mondo si rarefanno e tacciono, sopravvivendo come echi attutiti per diventare invece il luogo dove una pluralità di relazioni storiche e attuali si scatenano e si verificano, anche noi stessi entriamo a far parte di quella relazione e ci sentiamo “partecipi”». E, a proposito della centralità dell’educazione nella missione della Pinacoteca, Calvesi aggiunge: «[…] A Brera ci aiuta il nitido criterio con cui la molteplicità dei messaggi è ordinata e annodata nella successione didattico-museale: per cui il museo potrebbe diventare non più la negazione e la fuga del mondo e dal mondo, bensì il modello di un’esperienza globalmente implicante e tuttavia non alienante».
Per un museo essere contemporaneo significa: permettere al suo visitatore di porsi in dialogo con i problemi dell’attualità e sviluppare a riguardo un’intelligenza critica. Da mero gestore del patrimonio artistico si trasforma in luogo di riflessione sui fatti della cultura, riconoscendoli come pezzi dell’attività civica e non dissociati da essa. Alla luce di ciò, l’istituzione museale non deve scommettere unicamente sul capolavoro avuto temporaneamente in prestito o sulla mostra straordinaria appena allestita o, ancora, sul nuovo design moderno che lo distingue, perché, pur essendo tutti fattori necessari all’affluenza del pubblico, sono promotori di un “fenomeno” che ben presto si esaurisce, a conclusione della mostra o diventando consuetudine.
La vera capacità del museo nel porsi come istituzione civica coincide con il mantenere costante la proposta al pubblico di iniziative in grado di rendere continua l’attività formativa e informativa. Essere contemporanei significava, non per ultimo, rendere nuovamente centrale il legame con l’Accademia. Campeggiano all’ingresso della Pinacoteca le parole di Russoli:
«Si cerchi dunque in ogni modo di far intervenire il museo in tutte le attività culturali dell’ambiente in cui funziona: non come sede di contemplazione o studio della tradizione, ma come luogo in cui si costruisce e si vive lo sviluppo della realtà contemporanea. Non occupazione per il “tempo libero”, bensì per il “tempo impegnato”». (Franco Russoli)
Il progetto di Russoli che prevedeva la chiusura di Brera per i lavori biennali di ristrutturazione, dal ’77 al ’79, non vede la luce a causa della morte improvvisa del suo direttore e la conseguente mancanza di una figura alter-ego di Russoli in grado di proseguire il progetto, o meglio quel grande sogno cittadino.
Informazioni utili
Franco Russoli. Senza utopia non si fa la realtà
Scritti sul museo (1952-1977)
Skira
€ 38,00