È tempo di sognare: a Milano va in scena l’epoca d’oro della Ville Lumiere raccontata da un protagonista d’eccezione, con la mostra “Edouard Manet e la Parigi Moderna”. Ancora un mese di tempo per immergersi negli abissi dell’animo umano, grazie alle tranche de vie del capostipite della nuova pittura, in trasferta a Palazzo Reale fino al 2 luglio.
Eterna bellezza e sfuggente modernità
“Il pittore, il vero pittore sarà colui che saprà strappare alla vita odierna il suo lato epico” (Charles Baudelaire).
Le parole scelte da Charles Baudelaire per l’apertura del Salon del 1845 descrivono perfettamente l’approccio artistico di Edouard Manet (Parigi, 1832-1883): volto a catturare la “grande bellezza” celata dietro la contingenza dello spirito del tempo, per una classicità che rifugge al ticchettio delle lancette.
Nato nel 1832 da una famiglia agiata, dopo gli studi classici, il giovane borghese rifiuta il cursus honorum prefissato dal padre, per fare dell’arte una missione esistenziale. Cultore dei maestri del passato ma promotore della creatività di domani, amante del pantone nero ma anticipatore della pittura del colore; pur dando vita all’Impressionismo ed instaurando uno stimolante sodalizio culturale con la cerchia di Montmartre; Manet si autoesclude dalla prima mostra del movimento, organizzata dal fotografo Nadar nel 1874. Insomma, il fascino di questo talento –come quello dei personaggi delle sue pennellate- risiede nel mistero dell’ambivalenza e nell’enigma della contraddizione.
Edouard Manet. Il pittore dell’ambivalenza
Direttamente dal Musée d’Orsay un centinaio di capolavori dei maestri impressionisti approdano nella città meneghina, per celebrare la centralità di Edouard Manet nella nascita della pittura moderna. Un obbiettivo tutt’altro che semplice, dato che -fra sapienti omaggi alla tradizione e scandalose propulsioni verso il futuro- nei solchi di colore dell’autore dell’Olympia nulla è mai dato per scontato. Se –a primo acchito- risulta immediato associare Monet alle ninfee e Degas alle ballerine, Cézanne alle nature morte e Renoir ai ritratti, per Manet non è possibile trovare un’identificazione altrettanto efficace. Così, i repentini cambi di stile e la sfuggevolezza della sua poetica trasformano la mostra in un’imprevedibile passeggiata nella Ville Lumiere.
Parigi, la grande signora
A Palazzo Reale la creatività di Manet brilla per la sua unicità e riverbera nelle affinità elettive con le tele degli artisti del tempo, per un caleidoscopio di assonanze e dissonanze continue. Da Monet a Renoir, da Degas a Boldini, da Cézanne a Gauguin, fino Signac e Tissot… fra fanciulle in età da marito e signore agé, contesse sofisticate e goffe prostitute, la prima donna resta sempre lei: Parigi.
Così, sala dopo sala è possibile immergersi nel profumo di cipria dei cafè di Saint Germain e nell’odore di sigaretta dei locali di Montmartre; percepire l’afa dei palchi affollati dell’Operà e assaporare il vento fresco di una passeggiata lungo la Senna.
Umanesimo contemporaneo
Tuttavia per Manet Parigi non è solo il frenetico luna park della Belle Epocque. Dietro il brusio delle sale da ballo, le urla del tifo alle corse ai cavalli e i rassicuranti sussurri delle nottial Pigalle si celano un’infinità di anime dimenticate dal mondo, che giacciono li, in attesa di essere estrapolate da un tempo che non sentono proprio, per essere trasformate in effigi dell’eternità. Una cameriera sola in un bar affollato e un uomo d’affari affogato nello spleen che rinnega, un intellettuale intento a catturare un pensiero che tarda a venire e una mestierante che temporeggia fino all’arrivo del prossimo cliente. In fondo non è forse questa la “grande bellezza”?
Informazioni utili
Edouard Manet e la Parigi Moderna
A cura di Guy Cogeval, Caroline Mathieu e Isolde Pludermacher
Palazzo Reale
Piazza Duomo 12, 20121 Milano
Fino al 2 luglio 2017