Quando un padre. Al cinema dall’8 giugno: un figlio che si ammala salva un papà in carriera… Ma non è il solito film strappalacrime.
Dane Jensen non si occupa semplicemente di selezione del personale: è un vero e proprio “cacciatore di teste”, figura professionale relativamente recente che ha come obiettivo la ricerca e la valutazione di personale specializzato per tutte quelle aziende che decidono di affidare tale compito a consulenti esterni.
La società per cui lavora, presieduta da Ed (Willem Dafoe), richiede il massimo impegno e una certa dose di cinismo per conseguire gli obiettivi fissati ma, soprattutto, molto tempo: tempo che Dane, uomo competitivo e vagamente inquieto, sottrae alla propria famiglia. I suoi sforzi, però, permettono alla moglie Elyse (Gretchen Mol) di avere una bella casa, condurre una vita serena e potersi dedicare amorevolmente ai tre figli. Il più grande, e unico maschio, si chiama Ryan (Max Jenkins): la sua passione è l’architettura, litiga spesso con la sorellina ed è molto legato al padre anche se vorrebbe vederlo più spesso.
Quando Ed decide di affidare un ruolo chiave a uno dei suoi migliori dipendenti è proprio Dane a essere in lizza: dovrà, però, battere Lynn (Alison Brie) – bellissima e rampante collega – in una gara che li vedrà sfidarsi testa a testa nell’arco di tre mesi. Chi avrà guadagnato di più, piazzando il maggior numero di lavoratori, otterrà l’importante promozione. Ma tra l’ambito avanzamento di carriera e le quotidiane responsabilità di un padre di famiglia non si frapporranno solo un grumo residuo di scrupoli prontamente spazzato via, le giuste pretese di Elyse e il talento di Lynn: Ryan si ammala tanto improvvisamente quanto gravemente, costringendolo a rivedere con grande fatica le proprie priorità.
>> Quando un padre ha tutte le carte in regola per rivelarsi quel filmone strappalamiche che solo gli amanti del genere potrebbero non tanto gradire quanto sopportare.
Gli elementi ci sono tutti: il capofamiglia arrivista ma, in fondo, devoto ai propri valori e a quelli del suo universo domestico; il capo, uomo di mondo e single incallito, che tenta il sottoposto con la spregiudicatezza di una tentazione irresistibile; la moglie esigente ma comprensiva, capace di sacrificare se stessa per il bene altrui; il tenero figlioletto, un po’ incompreso un po’ adorato, pronto per un triste destino.
E invece, incredibilmente, l’opera prima di Mark Williams è un piacevole gioiellino: sarà per l’interpretazione di Gerard Butler, ottimo nel trasmettere un perfetto equilibrio tra l’allure maschia per cui è famoso e un certo stupore infantile, fondamentale per rendere il suo Dane incredibilmente umano e deliziosamente contraddittorio. Sarà per la palpabile alchimia che si respira tra lui e il piccolo Max Jenkins, in grado di donare una notevole naturalezza persino alle scene drammatiche più stereotipate. Sarà per la splendida prova di Gretchen Mol, eccellente nel tradurre la fragilità adamantina di una donna dalla bellezza un po’ sfiorita, che non rimpiange alcuna delle scelte fatte e, dunque, non teme di esercitare l’autorità che da esse ne deriva. Sarà perché ogni spettatore si ritrova a fare il tifo per il personaggio interpretato da Alfred Molina: quel Lou che ha fatto della dignità una corazza con cui affrontare la crisi che attanaglia il mondo del lavoro, un’epoca che lo vorrebbe inutilizzabile a causa dell’età anagrafica e gli atroci giochi di potere di cui è inconsapevolmente oggetto. Sarà per le suggestive sequenze che hanno come protagonista assoluta l’architettura di Chicago, punto di incontro e, finalmente, di autentico dialogo tra padre e figlio.
Fatto sta che Quando un padre è in grado di regalare ben più di una sorpresa, non solo grazie a dialoghi che non ti aspetti tra moglie e marito in un film per certi versi così apparentemente americano: la sua denuncia del Capitalismo, per esempio, non è mai presuntuosa o giudicante. La sua forza sta nel mostrare gli effetti più comuni e quotidiani dell’abbracciare un simile stile di vita.
Infine, i sentimenti dei protagonisti – messi a dura prova da una patologia devastante – non sconfinano mai nel patetico, anzi mantengono una loro bizzarra originalità. Come quando il tuo capo vuol salvarti da te stesso e lo fa realizzando quello che fino a poco tempo prima era il peggiore dei tuoi incubi. Brindando alla tua e altrui salute con un vino di cobra.