Kingsman – Il cerchio d’oro, al cinema dal 20 settembre. La recensione. Tutta l’intelligenza che ci vuole per salvare il mondo divertendosi.
Nata come risposta alla virata verso il serioso dei più famosi film di spionaggio, quella che ormai può essere considerata a buon diritto la serie Kingsman – il secondo capitolo, infatti, si intitola Il cerchio d’oro – non fa che confermare la sua vocazione all’inverosimilmente eccessivo, intrattenendo però con un cardiopalmo di grande qualità.
La sola sequenza iniziale basta a rassicurare lo spettatore: tutto sarà adrenalinico, iper assurdo, slegato da ogni legge della fisica eppure ottimamente girato e interpretato.
Qualunque sia la minaccia apocalittica, alla fine nessuno si farà veramente male: nemmeno chi ci lascia la vita. Il merito di questa percezione è dato dalla vorticosa regia di Matthew Vaughn, dal fumetto ideato da Mark Millar, illustrato da Dave Gibbons e da cui è liberamente tratta la pellicola, dall’intelligente sceneggiatura firmata dallo stesso regista e da Jane Goldman ma, soprattutto, dalle ottime prove di un cast di autentiche stelle, reclutato per l’occasione e che a ogni inquadratura pare divertirsi un mucchio.A Eggsy (Taron Egerton) toccherà affrontare una serie infinita di prove dopo che la Kingsman è stata di fatto distrutta da un nuovo e sconosciuto nemico. Gli resta solo il fidato Merlino (Mark Strong), con cui riesce a contattare la propria controparte americana: la Statesman.
>> Se Kingsman era caratterizzata da tagli sartoriali, armi sofisticatamente eleganti e altisonanti nomi che rimandavano ai Cavalieri della tavola rotonda, la Statesman si muove su un registro completamente diverso: cappelli da cowboy, lazo d’ordinanza e la produzione di superalcoolici come copertura.
Eggsy dovrà, così, affidarsi al rozzo Tequila (Channing Tatum), all’indomito Whiskey (Pedro Pascal) e alla geniale Ginger Ale (Halle Berry): il gruppo, capitanato da Champagne (Jeff Bridges), mette a disposizione dei colleghi inglesi il proprio miglior armamentario per far fronte a una minaccia comune.
Si tratta di Poppy Adams: una terribile criminale fissata con gli anni ’50 e a capo di un cartello della droga denominato Cerchio d’oro. Il suo obiettivo è legalizzare ogni sostanza stupefacente così da poter vivere e guadagnare alla luce del sole, invece di stare rintanata in qualche posto sperduto. Che, nell’attesa, non rinuncia a trasformare in una copia esatta di una piccola cittadina americana della Golden Age. La sua unica compagnia è data da due implacabili cani robotici e da Elton John, costretto a una infinita trafila di esibizioni private per il piacere della sua carceriera. Possedendo tutte quelle doti che rendono indistinguibile un sociopatico da un direttore d’azienda, Poppy ha le idee chiarissime: conscia dei dati di vendita del suo prodotto, lo manomette per infettare gran parte della popolazione mondiale.
A quello che ritiene il principale referente del mondo civile, il presidente degli Stati Uniti (Bruce Greenwood), fa dunque una proposta che non ammette trattative: legalizzazione e immunità per lei e tutti i suoi colleghi in cambio dell’antidoto. Un ricatto che il presidente finge di accettare ma grazie al quale, segretamente, accarezza già l’opportunità di selezionare naturalmente tra probi e dediti al vizio senza sporcarsi le mani. Eggsy è davvero in grado di superare tutto questo? O avrà nuovamente bisogno di Harry (Colin Firth), il suo mentore che sfortunatamente è stato ucciso nel capitolo precedente?Kingsman – Il cerchio d’oro dimostra come un perfetto equilibrio tra cinema di puro intrattenimento e altissimo livello può esistere.
Prova ne sono: il contrasto tra i modi inglesi e le maniere americane, che non si limita ai nomi e agli atteggiamenti ma è portato genialmente all’estremo grazie a ogni piccolo dettaglio nelle dotazioni di cui dispongono le due diverse società; la coloratissima violenza di cui è capace Poppy Adams, sempre pronta a ridurre in vittima splatter con una spruzzata di Happy Days chiunque si frapponga tra lei e i suoi obiettivi; la pungente denuncia non solo dei numeri di chi si droga ma anche della superficiale e stereotipata reazione al suo consumo, che culmina con quella presidenziale; la capacità di ritagliare per Elton John un cameo irresistibile, non relegandolo a semplice interprete di se stesso che si fa il verso ma regalandogli un ruolo attivo e spassosissimo partendo dai vezzi che ne hanno caratterizzato la carriera e i resoconti da tabloid.
Il secondo capitolo della serie, insomma, rilancia la posta e promette un terzo episodio: del resto, la Storia ci insegna che l’alleanza angloamericana non ha rivali nello sconfiggere le minacce mondiali.