Vox populi, vox Dei.
C’è da scommettere che ogni idea popolare,
ogni convenzione accettata, è una stupidaggine, perché è stata utile ai più.
(Chamfort)
Se volete fare un bagno di retoriche banalità, presuntuosamente declinate in artistichese, andate a vedere l’antologica Io, Luca Vitone enfaticamente distribuita dal 14 ottobre al 3 dicembre 2017 in tre sedi milanesi, il PAC, il Museo del Novecento e i Chiostri di Sant’Eustorgio.
Entrando al PAC vi accoglierà Souvenir d’Italie (Fondamenti della Seconda Repubblica), un lungo elenco degli appartenenti alla famigerata Loggia P2 disposto, a mo’ di lapide commemorativa, a sottolineare, secondo l’artista, l’oscuro passato non-passato che inquina ancora le coscienze. L’idea di farsi megafono di aspre campagne ideologico-giornalistiche, peraltro stranote, con la pretesa di rivelarci oscure trame e la presunzione di trasporle in linguaggio artistico, può vivere solo nei circoletti del ceto medio riflessivo. Oltretutto sarebbe sufficiente una ricerchina sul sito del Senato per appurare che quindici anni di inchiesta parlamentare presieduta dall’onorevole Tina Anselmi, durante i quali sono state attribuite alla Loggia tutte le nefandezze perpetrate sul globo terraqueo, si siano poi tradotte in un nulla giuridico, essendo stato il principale imputato definitivamente assolto in Cassazione. Se proprio il Nostro voleva perseguire questa, a mio avviso noiosa, linea di ricerca aveva ben altri argomenti da adottare, non so, per esempio un bell’elenco delle vittime delle BR, oppure la lunga lista dei borseggi perpetrati dai Rom, disagiata etnia di cui l’artista si occupa nell’istallazione Nulla da dire solo essere o in Sonorizzare il luogo, Europa.
Insomma, la solita facile lagna degli engagé a bon marché. Il moderno anticonformista non si sente mai così individuo come quando fa le stesse cose che in realtà fa la maggioranza. E’ un po’ il destino comune a molti artisti appartenenti alla stessa generazione di Luca Vitone, barricadieri senza barricate, divisi tra impegno e onanismo ombelicale. Come testimonia l’installazione Ultimo viaggio, dove un’automobile in panne sulla sabbia rievoca un’episodio di vita famigliare dell’artista assurto a paradigma della caducità del tempo. Risultato, noia mortale!
Proseguendo la visita nelle altre location si conferma la proprietà commutativa di Totò: è la somma che fa il totale! Si passa dalla saccenteria pedagogica del PAC al grottesco dei Chiostri di Sant’Eustorgio, uno dei luoghi devozionali più ricchi di storia di Milano. C’è da chiedersi quale gas abbiano inalato in Diocesi per decidere di ospitare i pensierini di un miscredente che ha depositato le sue caccoline nella Capella Portinari. Parlo di caccoline non a caso, ma riferendomi a Le cinque pietre di Davide e ai quattro sassolini accomodati sotto un ombrellino arcobaleno che costituiscono l’opera. E qui, novello rabbi chassidico, il Nostro intende reinterpretare l’episodio biblico e la raffigurazione michelangiolesca!
Molto bene, rifacciamoci gli occhi con Il centro comunica la perdita. Nomentana uno a Nomentana due. Una ciambella, con buco, di ritagli fotocopiati di carte geografiche sul cui centro pende dal soffitto un filo a piombo. La vertigine ti afferra e lo spaesamento è totale! Meglio appoggiarsi alle colonne dell’Arca di San Pietro Martire e alzare lo sguardo verso gli affreschi del Foppa. Dulcis in fundo ci accompagna verso l’uscita Futuro Ritorno, la registrazione delle voci dei soliti emigrati in Italia che fantasticano su come potrebbe essere il ritorno al borgo natio, magari ad Al-Raqqa!
Esausto ma felice mi incammino verso il Museo del Novecento, ultima tappa del sentiero di Gargamella. Porte sbarrate, il museo chiude alle 19,30, ma alle 18,50 è precluso l’accesso. Mesto e deluso mi ritiro.
Mi farò bastare la descrizione fatta nell’ottimo opuscolo di accompagno alle mostre, nel quale mi si racconta di Wide City, “un progetto di mappatura del tessuto interculturale della città di Milano…” Un efficace esempio, questo opuscolo, di narrazione dove la discrasia fra il contenuto e l’oggetto descritto è consustanziale al “progetto culturale”. Un po’ come leggere e fantasticare di Claudia Schiffer e poi trovarsi di fronte a Cita Hayworth.
Che vogliamo farci, è la comunicaziooone!
Comunicativi saluti
L.d.R.
Io, Luca Vitone
14 ottobre – 3 dicembre 2017
PAC, Museo del Novecento e Chiostri di San Eustorgio
Come ho avuto modo di dire più volte in Italia oramai non esiste più “LA RECENSIONE”. Il grande giornalista Ettore Mo ripeteva sovente che il giornalismo si fa con la suola delle scarpe. Oggi giorno purtroppo, sempre più spesso, a fronte dell’enorme sforzo che gli organizzatori di eventi, mostre e spettacoli compiono per regalare allo spettatore il migliore avvenimento possibile, sembra impensabile riuscire a fare quello che chi ci ha preceduto ha realizzato, in un’intera pagina di storia dell’arte scritta, quando per assurdo non c’era ancora il web, con i siti e i social, e le centinaia di pagine che oggi possono parlare di quegli eventi. Oggi, sempre più spesso ci si trova di fronte al silenzio più assoluto: quasi tutte le testate, più o meno note, virtuali o meno, si limitano a riproporre esclusivamente il comunicato stampa dell’evento, e nessuno scrive più recensioni, nemmeno quando sarebbero positive che potrebbero lasciare traccia di quanto di buono è stato fatto. Ben venga quindi anche questo scritto/articolo seppur non condivida minimamente il giudizio che ne emerge sul Lavoro di Luca Vitone. Il lettore saprà ricavarne in piena autonomia la sua personalissima chiave di lettura.