E’ al genio pittorico e all’intelligenza creativa di Frida Kahlo che, fino al 3 giugno 2018, il Mudec – Museo delle Culture di Milano, dedica la mostra “Frida Kahlo. Oltre il mito”, a cura di Diego Sileo.
Frutto di sei anni di lavoro, questo progetto originale di 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, è forse quello più importante e ambizioso del Mudec, che meglio lo rappresenta, e probabilmente il più aggiornato sull’opera di una delle artiste più celebri e amate di tutti i tempi.
Nel 2007, in occasione del centenario della nascita di Frida Kahlo, l’Associazione dei Musei di Diego Rivera, Frida Kahlo e Dolores Olmedo Patiño comunica al mondo l’esistenza di un nuovo archivio storico e artistico, rinvenuto presso la Casa Azul, dimora della coppia di artisti messicani. Il progetto espositivo del Mudec prende le mosse da questa scoperta, che ha contribuito a riscrivere e completare la storia della pittrice, il cui valore artistico è stato a lungo oscurato da un interesse morboso per il solo dato biografico.
Con più di 100 opere tra dipinti e disegni – delle quali molte mai uscite prima da Casa Azul – oltre a documenti, fotografie e video, “Frida Kahlo. Oltre il mito”, è un racconto inedito e bellissimo di una straordinaria figura di donna, ormai entrata nell’immaginario collettivo con il suo aspetto iconico, ben rappresentato in mostra da un’ampia selezione di autoritratti, dei quali colpisce fin subito il modo serioe l’austerità dello sguardo.
Nessun artista ha mai dipinto tanti autoritratti quanto la Kahlo che scelse, quasi con narcisismo ossessivo, sé stessa come tema principale della sua arte, personalizzando la sua pittura, concentrata fin dall’inizio sulla produzione tormentata della propria immagine riflessa.
A maggior ragione ci stupisce il fatto che non si tratti propriamente di autoritratti, ma di repliche di una stessa immagine, di uno stesso viso, sempre uguale a sé stesso. I tratti somatici di Frida infatti non partecipano alla carica emotiva che l’aneddoto raccontato nel quadro porta con sé. Mai si avverte nei suoi volti un’intenzione all’espressività, ma piuttosto lo sforzo di contenerla. Non la si vede mai in manifestazioni estreme del suo carattere, che è noto a tutti quanto fosse libero, entusiasta e appassionato. Qual è dunque il segreto di questo volto enigmatico, di questa Monna Lisa messicana, che raggiunge il massimo dell’intensità nell’espressione stoica e nell’autocontrollo?
Sappiamo che dopo aver sposato il grande pittore muralista Diego Rivera, Frida Kahlo investì tutte le sue energie in questa unione amorosa che la coinvolse in un turbinio di attività e di incontri, dei quali in seguito lei stessa divenne il fulcro. Per sentirsi all’altezza del suo uomo, famoso e brillante, Frida si ritagliò un personaggio esotico, pittoresco, al limite del teatrale. Fin dal principio capì che avrebbe dovuto crearsi un proprio stile nel vestire, e così iniziò ad indossare camicie e pantaloni da uomo, ma anche i costumi tradizionali, variopinti e scenografici, delle donne di Tehuantepec, istmo della regione meridionale del Messico, una messinscena che aveva anche lo scopo di nascondere il suo corpo martoriato e sofferente.
Abiti, pettinature, nastri, gioielli, animali e colori, assumono negli autoritratti un carattere psicologico e diventano il veicolo attraverso il quale Frida esprime i suoi sentimenti, quali simboli di un’identità che si oppone all’aspetto interiore che patisce fisicamente e psicologicamente. Gli autoritratti inoltre sono lo spunto per riflettere su temi di più ampio respiro, come quello della natura o della creazione. La sua esigenza di svelare il dolore, non solo fisico, può decifrarsi anche negli sfondi delle sue opere dove appaiono paesaggi desolati e aridi o ricorrenti simboli del fallimento materno rappresentati da organi e sangue.
Gli occhi di Frida che oggi ci interrogano dai suoi dipinti, ci parlano di lei e ci raccontano brani di vita vissuta. Seppur condite di immagini fantastiche le intenzioni di Frida Kahlo sono sempre, realistico-narrative. Quasi come se scrivesse, narra la sua vita attraverso i quadri, e sebbene sia certo che, come la maggior parte dei colleghi della sua generazione, si allineasse nelle fila del realismo e utilizzasse, spesso, simboli ed emblemi facilmente leggibili, come in un codice, in realtà le sue pitture sono molto distanti dall’essere trasparenti e univoche. Doppi significati, ambiguità, giochi di intelletto, strategie di ibridazione testimoniano la complessità dell’opera di Frida Kahlo, come la sua personalità. “L’arte di Frida Kahlo de Rivera” è un nastro intorno a una bomba, scriveva così di lei André Breton, poeta, saggista e teorico del Surrealismo.
E’ quasi impossibile scindere Frida Kahlo artista dal personaggio Frida. Su di lei si è esercitata molta retorica e attorno alla sua figura è nata una mistica di Frida. E se anche si cerca di sfuggire a questo tipo di lettura ben presto ci si accorge che si tratta di un’impresa non solo ardua, ma forse non del tutto giustificata, tanto arte e vita sono intrecciate. Tutta l’opera di Frida è legata alla sua vita a cominciare dal primo quadro del 1926. Tutto quel che crea porta l’impronta delle vicende familiari, delle vicende storiche e sociali del suo paese, della precoce esperienza della malattia – a sei anni si ammala di poliomielite e a diciotto un incidente la segna per sempre nel corpo e nell’anima. Convalescente inizia a dipingere: la cognizione del dolore fonda l’atto del dipingere. Non vi è ombra di dubbio che un forte dolore fisico abbia accompagnato la Kahlo per tutta la sua esistenza.
La sua opera però non documenta semplicemente la malattia ma la resistenza a tutte le restrizioni di tipo sociale, professionale e sessuale imposte alle donne dalla società patriarcale messicana, facendo del proprio corpo un manifesto coraggioso.
Un problema più difficile da superare è il modo insidioso in cui la sua biografia ha oscurato la sua arte.
Frida Kahlo è stata anche, e soprattutto, una grande pittrice. Benché autodidatta, fa mostra di una personalità colta ed elaborata che denota la conoscenza delle correnti artistiche di avanguardia del suo tempo ma, contemporaneamente, conserva la freschezza necessaria per tornare a un mondo infantile e privato o alle genuine espressioni dell’arte popolare messicana. Ispirandosi all’iconografia di quest’ultima realizza opere sorprendenti dove il mondo miracoloso degli ex voto si fonde con uno spazio onirico-metafisico personale ispirato ai quadri votivi, che le permette di rappresentare il dramma della propria vita con una semplicità sconcertante e a volte quasi brutale. Frida Kalho si comporta verso tutto ciò che la circonda con un atteggiamento, senza tabù o sensi di colpa, che tutto mastica e inevitabilmente riduce nello stile personale.
In mostra c’è il Messico del ventesimo secolo, c’è la forza dell’immaginazione di una pittrice affamata di colore che non ha paura di osare, c’è l’ardente esistenza di una donna alla rincorsa di una passione mai spenta per un uomo; e benché l’opera di Frida Kahlo diventi più chiara mano a mano che sene conoscono gli eventi biografici, la mostra del Mudec si propone di spogliare in parte l’artista sudamericana della sua biografia per andare oltre il mito restituendole il ruolo che merita all’interno della storia dell’arte.
Tutte le fotografie sono di Giulia Manfieri / ArtsLife