Dal 24 marzo al 30 settembre il paesaggio entra nel museo di Verbania a lui dedicato. Una mostra dedicata alle bellezze naturali e al loro controverso rapporto con l’uomo.
Ora romantica ed affascinante, ora famelica e pericolosa. La natura nella sua mutevole complessità è la protagonista di Armonie Verdi. Paesaggi dalla Scapigliatura al Novecento. Un’esposizione d’eccezione che il Museo del Paesaggio di Verbania propone con orgoglio e sincera partecipazione.
Il percorso espositivo, che comprende opere di Daniele Ranzoni, Mosè Bianchi, Carlo Fornara, Filippo De Pisis, Umberto Tosi e Umberto Lilloni, intende delineare il flusso mutevole che ha caratterizzato l’evoluzione del rapporto uomo-natura a cavallo tra 800 e 900.
La rappresentazione del paesaggio cambia a seconda del filtro artistico che i vari pittori applicano alle loro opere. Una visione del mondo e della natura fortemente influenzata dal contesto politico-culturale in cui viene generata. Una continua oscillazione, una tensione sempre in atto ma mai doma fra le forze primordiali e l’essere umano, soggetto ad impeti di dominio come a derive di disperazione.
La leggera pennellata di cipria degli Scapigliati ci trasporta d’incanto in una natura suggerita e sorprendente. Il bosco di Antoliva (1867) di Ranzani è impresso sulla tela come un respiro lieve, un’apparizione inafferrabile e misteriosa, ma seducente. Il trasporto romantico sopravvive scevro del sublime timore che la natura può imprimere nella sua irruenza, come nelle Cascate del Toce in Valle Formazza (1890). Qui Federico Ashton ci pone di fronte alla maestosità di un corso d’acqua che si schianta sulle rocce sulle quali la figura umana assiste ammaliato ad uno spettacolo che lo sovrasta. La prima sezione Scapigliatura, divisionismo, naturalismo è illuminata dal sottile lirismo dei divisionisti Cesare Maggi, il cui trittico Neve, 1908 e Nevicata 1908 e 1911 fa risplendere il bianco delle cime innevate di una lucentezza poetica che invita alla spiritualità, e dai colori prorompenti scaturiti da I due noci (1921) di Carlo Fornara.
Poi arriva la guerra e con essa il Novecento italiano, seconda parte della mostra che dimentica i freschi toni della precedente per aggrapparsi alla linearità scaturita dal desiderio di stabilità che il conflitto aveva instaurato in ognuno. Forza costruttiva e solidità definiscono una serie di lavori che spaziano da Il lago (1926) di Sironi, bacino d’acqua frutto della fantasia dell’artista incastonato in un paesaggio a strapiombo su di esso, alla Piazza Santo Stefano di Milano (1935) di Penagini. Qui l’atmosfera sospesa ed angosciante attraversa una città densa di palazzi ma povera di vita. Due aerei sembrano sorvolare statici un teatro di finestre sbarrate e alberi spogli; nella piazza sopravvivono solo poche ombre di passanti e una vaga ma inequivocabile sensazione di straniamento. Che si tratti di una veduta paesaggistica o urbana, a prevalere è sicuramente l’impostazione architettonica con cui ogni forma prende posto nell’immobile composizione.
Ma ben presto questa compostezza si scioglie e la natura sfugge scivolosa in un attimo che è già dimenticato. Sono i paesaggi di Oltre il novecento, con cui il percorso si conclude. Con gli anni Trenta si abbandonano le forme volumetriche e la pittura torna ad esprimere un senso di finitezza e precarietà. È il “paradiso provvisorio” di De Pisis: un tremante Temporale mescola tutto il paesaggio circostante in un turbinio d’ansia reso dalla costante tonalità grigio-marrone. Una ghiandaia domina la scena in un volo drammatico destinato ad infrangersi al suolo. L’atmosfera è sollevata dalle opere riconducibili al movimento del Chiarismo, fra cui spicca Edoardo Persico. Per lui la pittura del paesaggio nasce dalla “necessità cristiana di intendere il valore infinito di Dio” e compararlo dunque con la piccolezza dell’uomo di fronte al creato.
Il sito ufficiale del Museo del Paesaggio per maggiori informazioni.