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Egon Schiele, profeta del Novecento. Una grande antologica a Vienna. Le immagini

Egon Schiele - Donna sdraiata, 1917 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger Schiele_LiegendeFrau, 23.07.2002, 14:11 Uhr, 8C, 7122x11742 (1156+337), 117%, Default Settin, 1/30 s, R32.0, G4.9, B10.1 Egon Schiele: Liegende Frau, 1917, Ö/L, 90x171cm, Inv. 626
Egon Schiele - Madre morta I, 1910    Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger
Egon Schiele – Madre morta I, 1910 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger

A cento anni dalla scomparsa, il Leopold Museum dedica un’ampia antologica all’artista viennese, con capolavori dalla collezione permanente e altri da prestigiose collezioni private, affiancati da preziosi documenti d’archivio. Fino al 4 novembre 2018. www.leopoldmuseum.org

Vienna. In quel 1980, quando Egon Schiele (1890-1918) muoveva i primi passi sulla scena pittorica viennese, l’abisso teorizzato da Friedrich Nietzsche pochi anni si stava materializzando sotto le certezze di un’Europa in pieno disfacimento. E di quel malessere spirituale fu uno degli osservatori più acuti, attraverso quella pittura espressionista che dell’individuo riusciva a cogliere la sofferenza interiore distorcendo il dato di realtà, guidando il pennello nei meandri della psiche, facendo del tratto pittorico un’amplificazione e una metafora di sentimenti, sensazioni, pulsioni, propri dell’essere umano.

Egon Schiele - Donna sdraiata, 1917  Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger
Egon Schiele – Donna sdraiata, 1917 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger

Egon Schiele. The Jubilee exhibition, curata da Hans-Peter Wipplinger e Diethard Leopold, racconta il capostipite dell’Espressionismo austriaco attraverso dipinti, disegni, acquerelli, bozzetti, lettere fotografie, oggetti personali, per un totale di 200 pezzi esposti. La sua pittura era un tutt’uno con la sua personalità, al punto che riuscì a creare un forte legame fra il processo creativo che lo vedeva implicato e la necessità di raccontarsi, anche in chiave di scoperta e rinnovamento del sé. Da questo punto di vista, molte delle sue opere sono caratterizzate da profonda spiritualità, dove la presenza della morte e la costante alternanza fra divenire, essere, e morire, danno la misura della sua tormentata interiorità. Specchio di una difficile e dolorosa epoca di passaggio, fra gli ultimi bagliori della Belle Époque e la Grande Guerra, quando la cieca fede nella scienza e nella tecnica sradicò la millenaria civiltà rurale europea e aprì la strada a una modernità dirompente; usi e costumi radicati da secoli iniziarono a estinguersi, la città prendeva il sopravvento sulla campagna, l’industrializzazione creava i ceti operai e il disagio sociale delle periferie, la maggior disponibilità di armi irrobustiva i nazionalismi e apriva la strada alla guerra.

Egon Schiele - Autoritratto in    ginocchio, 1910 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger
Egon Schiele – Autoritratto in ginocchio, 1910 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger

L’uomo della strada si sentiva smarrito, e il mondo dell’arte, sul finire dell’Ottocento, aveva avvertita la necessità di una inversione di tendenza, di un ritorno al passato; per questo era nata la Secessione, prima a Monaco e poi a Vienna. Ma le sue atmosfere patinate, eccessivamente simboliche, non piacevano ad artisti come il giovane Schiele, che appena uscito dall’Accademia di Vienna, avvertiva la necessità di un’arte che fosse l’effettivo ritratto dello stato d’animo dell’individuo, e non indulgesse in complicati richiami intellettuali. Su queste basi, teorizzò l’Espressionismo di scuola viennese, di cui fu appunto il capostipite. Fondando nel 1909 il Neukunstgruppe (Gruppo della Nuova Arte), precisò il compito dell’artista, che “è e deve necessariamente essere se stesso, deve essere un creatore, deve saper creare i propri fondamenti artistici, senza utilizzare tutto il patrimonio del passato e della tradizione”. Di questa, Schiele utilizzò ben poco, introducendo in Europa una pittura radicalmente nuova, fortemente legata alla resa delle sensazioni e delle emozioni dell’individuo; il naturalismo e il dato di realtà passano in secondo piano per lasciare spazio alla traduzione in immagini dello stato psicologico del soggetto, anche in relazione all’interesse dell’arte per gli studi di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung che esercitavano proprio a Vienna e l’avevano resa una città all’avanguardia in campo psichiatrico.

Egon Schiele - Cardinale e suora,   1912 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger
Egon Schiele – Cardinale e suora, 1912 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger

Nello specifico, Schiele indaga le pulsioni proibite dell’essere umano, in particolare quelle afferenti alla sfera sessuale, le cui proibizioni erano anche, in un certo senso, metafora della sensazione di costrizione che l’individuo avvertiva nella vita quotidiana di allora. Nella pittura di Schiele si respira sempre un’aria di rottura delle convenzioni, inserita in un’ottica di perseguimento della liberta individuale dall’ipocrisia. E ipocrita (non diversamente da quella contemporanea, però), era la società europea del primo anteguerra, che teneva molto alle convenzioni borghesi, ma non si scandalizzava per lo sfruttamento delle masse operaie, e per il sostegno alle politiche coloniali e imperialiste dei vari governi.

Egon Schiele - Triplo autoritratto,    1911 Vienna, collezione privata Ph. Manfred Thumberger
Egon Schiele – Triplo autoritratto, 1911 Vienna, collezione privata Ph. Manfred Thumberger

L’antologica del Leopold Museum affronta quelle che furono le tematiche cardinali della poetica pittorica di Schiele a cominciare dal nudo; ritratti e autoritratti in pose lascive e provocatorie; di per sé, l’artista ebbe con il sesso un rapporto assai morboso, che gli valse anche un’accusa di pederastia e l’arresto per quattro mesi nel 1912. Il processo lo vide colpevole soltanto di aver esposte opere ritenute pornografiche, e venne quindi rilasciato. Ma la vicenda lo segnò profondamente, e aggravò la sua sofferenza interiore. Gli autoritratti si fecero sempre più scheletrici ed emaciati, spesso segnati da amputazioni ed espressioni facciali che sono veri e propri ghigni beffardi. Caratteristiche che rivelano il tormento interiore dell’artista, stretto fra l’angoscia dei tempi, e la sua personale introversione, che si sfogavano in un ossessivo bisogno di esibire il corpo. Quello femminile in particolare diventa, nell’opera di Schiele, un oggetto di piacere sessuale, metafora della degradazione cui è giunta la decadente Austria Felix. Partendo dalle ballerine e prostitute di Toulouse-Lautrec, precursore a suo modo dell’Espressionismo, Schiele accentua l’esibizione del corpo e le pose lascive, la sua lussuria supera in sofferenza quella di Caravaggio, e il martirio non è più religioso ma civile. L’uomo è un martire, anzi è un cadavere che poco più tardi si butterà nel carnaio delle trincee. Lo spirito dionisiaco si spinge malinconicamente all’eccesso, estremo, inutile tentativo di allontanare le tragedie che si preparano. Ma resta comunque, in parallelo, una feroce critica sociale; suggestivo, disturbante, provocatorio, Cardinale e suora (1912) una diretta accusa all’ipocrisia della società, che tollerava certi comportamenti in seno alla chiesa, mentre additava platealmente le sue relazioni, o presunte tali. Un chiaro riferimento alla condanna e all’arresto subiti pochi mesi prima.

Egon Schiele - Successione di case,    1915 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger
Egon Schiele – Successione di case, 1915 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger

La maternità fu un altro dei suoi temi preferiti, ma differenza, ad esempio, di Gaetano Previati o Giovanni Segantini – che ne avevano realizzate versioni idilliache e gioiose -, Schiele ammanta di morte anche la figura materna, ne fa l’ennesima metafora della morte dell’uomo (inevitabile dopo che questi, secondo Nietzsche, ha ucciso Dio), e dell’Europa in particolare, già percorsa da minacciosi venti di guerra.

Quando questa scoppiò, Schiele fu richiamato alle armi, ma ebbe la fortuna di non essere destinato alla prima linea, anzi l’apprezzamento dei suoi superiori per il suo talento pittorico gli consentì di continuare a dipingere anche nei momenti liberi dal servizio in retrovia. In questi anni, e fino al 1918, il suo stile si caratterizzò per un ritorno alla rappresentazione naturalistica, pur all’interno di un segno pittorico intenso. La tavolozza si schiarì notevolmente, e i paesaggi acquistarono una decisa luminosità. Ma non venne meno quella tensione latente che accompagnava i dipinti di Schiele, sulla personalità del quale, l’imminente dissoluzione dell’Impero Asburgico a seguito della sconfitta militare nella Grande Guerra, lasciò una profonda sensazione. Scomparve, a causa dell’influenza spagnola, il 31 ottobre del 1918, quattro giorni prima dell’armistizio e della fine dell’Austria Felix, che lui stesso aveva già presagito nel Mulino (1914), con la fragile struttura in legno spazzata via dalla corrente impetuosa del fiume. Così fu dell’Impero Asburgico, e dell’intera Europa liberale. Si chiudeva un’era, e cominciava una modernità socialmente instabile, che ancora oggi fa sentire i suoi devastanti effetti.

Egon Schiele - Madre cieca, 1914    Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger
Egon Schiele – Madre cieca, 1914 Leopold Museum, Vienna Ph. Manfred Thumberger

 

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