Il MADRE al collasso, salvataggio in extremis
Anche se una tregua in extremis ha scongiurato l’immediata chiusura del Madre, sono tempi difficili per il museo d’arte contemporanea partenopeo. Sul tavolo del vertice di martedì scorso tra la Regione e la Scabec, la società che gestisce i servizi del museo di via Settembrini, incombeva il macigno dei dodici milioni di euro vantati da vari creditori nei confronti della Fondazione Donnaregina che fa capo alla Regione da cui dipende il Madre.
Dopo la riunione nella sede romana dell’ente di Santa Lucia, attorno alla quale c’è stata una fitta rete di telefonate, sms e mail, momentaneamente rientrato il licenziamento in blocco di 30 persone addette all’apertura e alla sorveglianza annunciato da Pierreci e Electa, gestori materiali della struttura.
Il Madre riapre, ma la situazione potrebbe ridiventare critica. A rischio a partire da maggio prossimo il patrimonio artistico. Infatti le società addette alla manutenzione e alla conduzione degli impianti andranno avanti senza scosse soltanto fino ad aprile. Sono circa 83 le opere che rischiano di partire per nuove destinazioni. Oltre alle richieste di restituzione da parte di molti artisti e collezionisti, ci sono le vertenze annunciate da chi ha donato i propri capolavori e non si sente più tutelato (Paladino, Clemente, Kapoor e altri).
Per quanto riguarda il fondatore e direttore del museo, Eduardo Cicelyn, blindato in un silenzio forzato dopo la burrasca di polemiche, è stato di fatto licenziato. C’è stata la risoluzione del rapporto ma lui resterà al suo posto fino ad ottobre, quando ci sarà il concorso per il nuovo direttore. Se, nella peggiore delle ipotesi si immaginava un Madre senza Cicelyn, prospettiva auspicata da molti, oggi il rischio è una “città senza Madre”.
Gli stessi lavoratori della Pierreci nei giorni scorsi avevano denunciato in assemblea le squallide dinamiche di cui erano rimasti vittime per incapacità imprenditoriali e amministrative. Tuttavia, c’è chi difende l’operato di Cicelyn in una vera e propria apologia – così recita il titolo – apparsa sulle pagine del quotidiano cittadino: “Il Madre è l’istituzione in cui Napoli si confronta con la scena contemporanea delle arti, provando a ripetere, con le varianti dettate da un grande spazio espositivo, lo schema della galleria di Amelio che tanta parte ebbe nell’apprendistato di Martone e di Falso Movimento”.
Affermazioni un po’ eccessive, così come il paragone con colui che per primo aprì la città al contemporaneo inaugurando una stagione assolutamente irripetibile. C’è poi un particolare poco trascurabile, Lucio Amelio non dilapidava montagne di soldi pubblici ma arrischiava investimenti propri con capacità imprenditoriali, a quanto pare, del tutto sconosciute al direttore del Madre. Direttore che ha fatto del museo il simbolo del bassolinismo e che oggi, nel passaggio di consegne della politica, si sente ingiustamente cacciato.
E come se non bastasse “il contratto nazionale collettivo che è stato usato per l’assunzione di Eduardo Cicelyn è quello (stranamente) usato per i dirigenti industriali – puntualizza Pierpaolo Forte, presidente della Fondazione Donnaregina – anche se per la verità si parla di compensi attorno ai 57 mila euro e non di uno stipendio pari al triplo”. In proposito lo stesso Cicelyn precisa in una nota: “La retribuzione del direttore del museo Madre è di 150 mila euro lordi. Retribuzione unica, senza benefit di nessun tipo e mai indicizzata nel corso degli anni”.
Ma, a parte tutto, quello che è più mancato in questi anni è un lavoro di storicizzazione. Si è preferito bypassare le enormi difficoltà che una ricostruzione dei fatti che hanno segnato la vita artistica della città avrebbe comportato. Forse, per non scontentare nessuno – d’altronde le rivalità e gli screzi tra le gallerie storiche sono proverbiali – o più probabilmente per creare una discontinuità con il passato in nome di una svolta politica e culturale senza precedenti.
Qui, più che altrove, sta la debolezza del progetto museale di Cicelyn che giustificherebbe almeno in parte il numero sempre crescente dei suoi detrattori.
Ma non sia detta l’ultima parola, speriamo che il Madre si salvi e che la nuova direzione faccia i conti con il passato. Non solo con quelli economici, s’intende.