A sessant’anni dalla scomparsa, una grande retrospettiva celebra l’artista boemo František Kupka. Circa 300 opere fra dipinti, disegni, incisioni, oltre a manoscritti, fotografie e documenti d’epoca. Fino al 30 luglio 2018. Dal simbolismo ai ritratti espressionisti, dall’astrazione nel 1912 alla pittura organica, fino all’astrazione geometrica. Una mostra organizzata da Réunion des musées nationaux-Grand Palais in collaborazione con il Centre Pompidou e la Národní Galerie di Praga.
Parigi. “L’arte del dipingere significa rivestire di forme plastiche le vicende che si svolgono nell’animo umano, ed essere un poeta-creatore per arricchire la vita di nuove prospettive”. Lo aveva scritto nel 1924 František Kupka (1871-1957), quando aveva già contribuito a spostare in avanti la lancetta della storia dell’arte. Aveva infatti anticipato il Cubismo orfico di Picasso, aveva aperta la strada dell’astrazione, dopo una lunga esperienza come illustratore per varie riviste parigine. Artista poliedrico e colto, seppe arricchire la sua pittura di suggestioni e atmosfere a metà fra scienza e poesia, nel tentativo di fermare sulla tela la completezza dell’essere umano.
A lui, a sei decenni dalla scomparsa, il Grand Palais rende omaggio con la grande retrospettiva Kupka. Pioniere dell’astrazione, curata da Brigitte Leal, Markéta Theinhardt, e Pierre Brullé. Kupka fu uno degli artisti più interessanti della sua epoca, che a differenza di Picasso, ad esempio, scelse di vivere senza clamori né eccessi; ma questa sobrietà non gli impedì di guadagnarsi un posto di rilievo nella storia dell’arte. Nacque in Boemia, una provincia di quell’Impero Austroungarico che manifestava i primi segni di quella crisi politica in meno di mezzo secolo lo avrebbe portato alla dissoluzione.
Formatosi a Praga, perfezionò gli studi artistici a Vienna presso l’Accademia di Belle Arti dal 1892 al 1895, e l’anno successivo scelse di trasferirsi a Parigi, che all’epoca era la capitale culturale d’Europa, assai più vivace della compassata capitale asburgica. Ma accanto al desiderio di misurarsi con questo clima, anche la necessità di allontanarsi dall’oppressivo e solenne clima post-romantico di ascendenza germanica che aveva respirato in patria, e per questo collaborò attivamente come illustratore per numerose riviste dell’epoca, fra cui L’Assiette au Beurre e Le Canard Savage.
Un’occupazione necessaria per procurarsi da vivere, mentre portava avanti i suoi esprimenti pittorici; da questo punto di vista, rimase indifferente alle novità introdotte da Seurat, e quando nel 1899 partecipò al Salon de la Société nationale des beaux-arts, lo fece con Le Bibliomane, realizzato due anni prima e caratterizzato da un realismo aneddotico influenzato dallo stile di August Eisenmenger, di cui Kupka era stato allievo a Vienna.
Ma anche a Parigi la Belle Époque mostrava segni di stanchezza, e Toulouse-Lautrec, anticipando l’Espressionismo, fu il primo a spiegare che l’angoscia era arrivata anche nella Ville Lumière. In un certo senso, fu questa lezione che entrò nelle corde di Kupka, anche se soltanto a livello concettuale; infatti, già l’anno seguente, in occasione dell’Esposizione Universale, presentò nel Padiglione Austriaco ben quattro opere, che allo stile simbolista di matrice viennese affiancava una tagliente ironia. In particolare Les Fous, ritratto satirico-allegorico della società dell’epoca in piena decadenza morale.
Tuttavia, l’attività di Kupka è poliedrica, perché realizzò anche numerose illustrazioni in stile Art Nouveau (in questo seguendo con attenzione il suo compatriota Alfons Mucha), in particolare per la rivista Cocorico. Ma nel clima agitato della Parigi d’inizio secolo, il modernista Kupka non perse l’occasione d’inserirsi nel dibattito sociale, realizzando numerose illustrazioni a sostegno del suffragio universale, così come di tagliente satira anticlericale.
Fra il 1905 e il 1908 fu impegnato nelle illustrazioni per L’uomo e la Terra, opera del geografo anarchico Élisée Reclus sull’evoluzione umana nelle varie epoche storiche, Kupka rimase affascinato dall’Età Greca, e volendo colmare le sue lacune in materia, studiò attentamente l’arte dell’Ellenismo e del Classicismo, che, per la chiarezza del disegno e della sua concezione compositiva, costituì un riferimento essenziale per lo sviluppo delle sue idee pittoriche; nell’arte Greca ammirava il fermo proposito di esprimere il senso delle cose, la platonica êidos, ovvero l’idea cui partecipano gli enti sensibili. Esprimendo l’idea generale, oggetti e soggetti assumono un carattere puramente astratto. Era questo ad affascinarlo, oltre al senso euritmico della proporzione e del movimento.
Su questi principi, Kupka notevolmente la sua pittura, affiancando la figurazione greca al Fauvismo e all’Espressionismo; senza abbandonare completamente la figurazione, opta per una pittura in cui il colore abbia il sopravvento, accentuando la trascrizione grafica del dinamismo. In queste opere si prepara il passaggio all’astrazione, e la Bagnante (1906-9) è forse l’opera simbolo di questa nuova direzione. Rispetto al realismo di stampo viennese, le nuove opere assumono una cromia più sgargiante, i soggetti perdono di concretezza e si “sfrangiano” in puro segno visivo che associa colore, luce, movimento. Liberato dall’orizzontalità, lo specchio d’acqua – sulla cui superficie fluttuano i riflessi e i cerchi lasciati dalla scia del corpo della donna -, diviene metafora del tempo e dello spazio e della dissoluzione della figura nel colore.
E ancora Il sogno (1906) risente di un’atmosfera simbolista e di una tavolozza scura di stampo nordico, mentre a livello formale lo sfondo roccioso si astrae – sintetizzato in un alternarsi di forme triangolari e rettangolari -, e i due corpi che fluttuano al centro della scena affascinano per la levità e il gioco dei volumi che sembrano incastonarsi l’uno nell’altro. Una scena sensuale, ma anche angosciosa, nell’estremo tentativo di sfuggire a una realtà che sembra un inferno, come suggeriscono i due corpi reali che giacciono su un letto confinato sul fondo della prospettiva verticale, quasi fosse l’abisso dell’Ade.
Del resto, sono gli anni in cui Braque e Picasso sperimentano la simultaneità nel Cubismo, Modigliani e ancora Picasso s’interessano all’arte arcaica, Schiele e Gerstl e Vienna esprimono con il colore l’angoscia della società europea d’inizio secolo. Kupka non aderì a nessuna di queste correnti, ma di ognuna studiò le caratteristiche per poi farle confluire in una sua propria teoria artistica, che puntualmente formulò fra il 1911 e il 1912, raggiungendo la piena astrazione espressiva, quasi in contemporanea con Vasilij Kandinskij ma in maniera del tutto autonoma.
Infatti, Kupka si interessa alle teorie scientifiche di Isaac Newton sui movimenti e le rotazioni dei corpi, e in Amorpha, fuga a due colori (1912), indaga la metafisica del movimento all’interno del tempo. A livello estetico, è evidente il richiamo al mondo arcaico, con forme dal sapore primitivo che formano i due corpi stilizzati, persi in una vorticosa danza cosmica.
L’astrattismo di Kupka è permeato dall’interesse per la filosofia, le civiltà antiche, le religioni, la poesia e la scienza. Per lui, l’anima del pittore doveva essere consapevole del dinamismo vitale della natura. Lo studio degli effetti psicologici del colore secondo le teorie ondulatorie si affiancano alle teorie sul cosmo di Newton, alla sobria bellezza della pittura e della scultura arcaiche, e alla poesia di Guillaume Apollinaire. Senza dimenticare quell’andamento musicale che le sue opere possiedono, e che conferisce loro, assieme a tutte le altre suggestioni di cui sopra, una profonda, marcata aura spirituale e teosofica, alla ricerca di un’armonia non soltanto fra la scienza e la religione, ma soprattutto fra i popoli, in un anni che invece vedevano l’Europa diretta verso la Grande Guerra.
In parte, Kupka aderisce inconsapevolmente al Cubismo orfico, sorta di aggiornamento del recupero dell’arcaico effettuato venti anni prima dalla Secessione viennese. E fu Apollinaire a coniare l’espressione, proprio in riferimento alle opere del boemo, che ai Salon parigini otteneva un buon successo di critica e di pubblico.
La Grande Guerra, lo vide combattere con la Legione Straniera, e nel 1919 rientrò a Praga, adesso capitale della Cecoslovacchia, dove fu nominato professore dell’Accademia di Belle Arti. Dai primi anni Venti, e per circa un decennio, Kupka manifesta nelle sue opere una particolare cura degli aspetti cromatici. Un’arte sobria, di riflessione e introspezione, di approfondito studio sul colore ora considerato “troppo bello e sensuale” per non turbare la visione oggettiva della realtà. Ad esempio ne La forma del blu (1925), Kupka riporta con perizia le numerose gradazioni proprie di questo colore, attraverso motivi geometrici che richiamano la corrente del raggismo russo. Analoghi studi sono compiuti anche su altri colori, non necessariamente con rigore geometrico, ma affidandosi anche alla linea sinuosa, a creare un gorgo di luce che sembra quasi risucchiare l’osservatore.
Una nuova, importante fase della sua carriera giunse nel 1931, quando aderì al gruppo Abstraction-Création, fondato l’anno precedente da Theo van Doesburg, e che includeva, fra gli altri, Jean Arp, Piet Mondriaan, Theo van Doesburg, Barbara Hepworth e Vasilij Kandinskij. Un gruppo assai composito, mosso però dall’interesse per l’astrazione geometrica. Quell’armonia che negli anni Dieci aveva cercata nell’orfismo, adesso Kupka la ricreava attraverso l’unità spaziale degli schemi ortogonali; il formalismo rigido dell’angolo retto si combinava con i piani obliqui che fendono lo spazio bidimensionale e creano un “punto di rottura”, di dinamismo, come accadeva con le “danze cosmiche” delle sue figure arcaiche.
Riecheggiando la filosofia pitagorica, Kupka ricostruisce un cosmo regolato dalle proporzioni matematiche. Anche questa nuova fase fu ben accolta dalla critica, poiché nel 1936 il Museum of Modern Art di New York lo invitò a partecipare alla collettiva Cubism and Abstract Art. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale assisté sconsolato – dall’esilio di Beaugency in Francia -, all’invasione della sua patria, nata appena venti anni prima. Ma passata questa tragedia, volle essere presente alla ripresa della vita artistica, e nel luglio del 1946 Kupka aderì al Salon des Réalités Nouvelles, e lo farà fino alla scomparsa undici anni più tardi.
La manifestazione, che si tiene ancora oggi, è interamente dedicata all’arte astratta, e prenderne parte rappresentò per Kupka l’occasione per ribadire, forse con leggera vena polemica, il suo ruolo di precursore dell’astrattismo. Con le Strutture di colore, è questo elemento che ritorna in primo piano, confermando il rapporto ambiguo che l’artista sempre vi ebbe. Se all’interno della composita corrente degli astrattisti è possibile fare accostamenti, Kupka può ricordare, nell’afflato pittorico, Emil Nolde, poiché entrambi hanno tenuto lontana la loro pittura dagli orrori dell’epoca che vissero, a differenza, ad esempio di Hans Hartung o Franz Winter. E tenne sempre fede alla sua missione di artista-poeta, creatore di opere che sono esortazioni morali, un po’ sullo stile degli antichi filosofi greci, dai Cinici ai Pitagorici. Ma l’umanità dell’era moderna non fu abbastanza matura per capire quel ritorno all’antico.
Informazioni utili
Kupka – Pioniere dell’astrazione
Grand Palais, 3 Avenue du Général Eisenhower, 75008 Parigi
Dal 21 marzo al 30 luglio 2018
non conoscevo KUPKA -è stata una scoperta per me molto interessante- mi piace molto-