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Van Gogh e il Giappone: un rapporto d’empatia, ad Amsterdam

van Gogh Vincent van Gogh - Sottobosco con due figure, 1890 Cincinnati Art Museum, Bequest of Mary E. Johnston, 1967
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Vincent van Gogh – Sottobosco con due figure, 1890 Cincinnati Art Museum, Bequest of Mary E. Johnston, 1967

Circa sessanta opere fra dipinti e disegni documentano l’interesse di van Gogh per l’arte giapponese e l’influenza che questa ebbe sulla sua inventiva pittorica. Fino al 24 giugno 2018.

Al Van Gogh Museum di Amsterdam anche una selezione di stampe giapponesi d’epoca. Fra i prestiti eccezionali, Autoritratto con orecchio bendato, che dal 1955 non lasciava la Gran Bretagna, e L’Arlesiana dal Metropolitan Museum di New York.

Amsterdam. “Non si può studiare l’arte giapponese, mi sembra, senza diventare molto più felice e più allegro, e ci fa ritornare alla natura, nonostante la nostra educazione e il nostro lavoro in un mondo di convenzioni”. Così si esprimeva Vincent van Gogh in una lettera al fratello Theo, nel settembre del 1888. Già dal febbraio si trovava ad Arles, e aveva scelto di lasciare Parigi per la cittadina provenzale, con l’idea che il Sud della Francia fosse “l’equivalente del Giappone”. A ripercorrere questo rapporto, la mostra Van Gogh e il Giappone, ospitata dal Van Gogh Museum di Amsterdam e curata da Nienke Bakker e Louis van Tilborgh, attraverso il confronto fra una selezione delle opere del pittore e una serie di stampe giapponesi di Hokusai, Hiroshige, e altri maestri.

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Vincent van Gogh – Cortigiana (da Eisen), 1887 Van Gogh Museum, Amsterdam (Vincent van Gogh Foundation)

Il Paese del Sol Levante aveva esercitato molto fascino su van Gogh, il quale lo aveva però conosciuto soltanto in maniera indiretta, ovvero attraverso le stampe che aveva acquistate ad Anversa attorno al 1885, e con le quali aveva tappezzato un’intera parete della sua stanza. In un periodo in cui l’arte orientale stava riscuotendo l’interesse dei pittori europei, l’Olanda era rimasta sostanzialmente indifferente alla novità, pochissimi artisti avevano condotto studi o approfondimenti in materia.

Eppure, fu proprio l’Olanda il Paese che diffuse il giapponismo, come l’artista Philippe Burty chiamò nel 1873 questa nuova moda estetica. Fu infatti la Compagnia delle Indie a importare in Europa, attraverso i porti olandesi, le stampe giapponesi, e quello che a prima vista sembrava un fenomeno puramente commerciale, ebbe invece importanti risvolti sull’evoluzione dell’arte europea.

Fu ad Anversa che van Gogh acquistò il suo primo album di xilografie giapponesi, e rimase talmente affascinato dalla leggiadria di quegli ukiyo-e (termine che significa “mondo fluttuante”), da appenderli tutti alle pareti della stanza in cui dipingeva. Come scrisse al fratello Theo, “Il mio studio è abbastanza tollerabile, soprattutto perché ho attaccato una serie di stampe giapponesi sui muri che trovo molto divertenti. Sai, quelle piccole figure femminili nei giardini o sulla spiaggia, cavalieri, fiori, rami spinosi e nodosi”.

Utagawa Hiroshige
Utagawa Hiroshige – Giardino di susini a Kamata, 1857 Nationaal Museum voor Wereldculturen, Leiden

In Olanda, però, l’arte giapponese restò un fenomeno marginale, non c’erano pittori interessati a studiarne le caratteristiche, a differenza di quanto accadeva a Parigi. Fu anche per questa ragione che van Gogh decise di trasferirsi nella Ville Lumière, dove giunse nel 1886. Qui, Monet, Manet, Degas, Renoir, Pissarro, stavano applicando i criteri prospettici giapponesi, e anche sulla scorta del confronto con i suoi colleghi, van Gogh avvertì la necessità di ammodernare la sua pittura, che aveva nella natura il concetto di partenza. A Parigi poté anche ammirare le opere dei grandi maestri giapponesi quali Hiroshige, Eisen e Hokusai, le cui illustrazioni comparivano di frequente sulle riviste, e gli effetti di questa influenza non tardarono ad arrivare: nel 1887 realizzò ben tre dipinti a loro ispirati: Frutteto in fiore, Cortigiana, Ponte sotto la pioggia.

Si tratta di citazioni dirette di scene e soggetti, omaggi appassionati con la differenza che, trattandosi di colori a olio e non di inchiostri a stampa, le opere di van Gogh possiedono una maggiore vivacità conferita loro dai colori caldi e pastosi. Ancora nel 1887, dirette citazioni di maestri giapponesi si trovano anche nel ritratto a matita di Père Tanguy, alle cui spalle si riconoscono le canne di bambù e il Monte Fuji così come li aveva ripresi Hiroshige in alcune sue stampe. Ma l’indagine di van Gogh si spinse ben oltre la semplice citazione o l’omaggio, e studiò a fondo le caratteristiche stilistiche dei giapponesi.

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Vincent van Gogh – Ponte sotto la pioggia (da Hiroshige), 1887 Van Gogh Museum, Amsterdam (Vincent van Gogh Foundation)

In particolare, lo colpì la mancanza di criteri prospettici nelle stampe giapponesi, una caratteristica che era valso ai giapponesi l’appellativo di “primitivi”, in considerazione del fatto che a loro non era arrivata la lezione rinascimentale di Donatello o Piero della Francesca, e la loro impostazione ricordava quella giottesca o dei Primitivi senesi, appunto. Nonostante la fascinazione per le stampe giapponesi, van Gogh non ne diventò mai un intenditore, e la sua collezione di stampe constava di autori minori, dai costi contenuti e dalla qualità stilistica non eccelsa. Ma per lui la questione era diversa, perché in quelle stampe ritrovava una tale vivacità di colori da renderle interessanti tanto quanto una tela di Rubens o di Veronese.

La mostra si concentra sugli ultimi tre anni dell’attività di van Gogh, quelli appunto influenzati dall’arte giapponese, e incentrati principalmente sulla riproduzione di paesaggi naturali, in particolare quelli provenzali. Con la sensibilità che gli era abituale, e che fu il tratto fondante della sua personalità, a differenza dei suoi colleghi che si erano limitati a considerare le questioni formali, nell’apprezzare l’arte giapponese van Gogh si spinse più in profondità: lo affascinava l’empatia degli artisti giapponesi con la natura, i fiori, gli animali, il cielo; anche lui considerava la natura il punto di partenza della sua arte.

Il Giappone entrò nella sua produzione pittorica sottoforma di vaste distese fiorite riprese da una vista ravvicinata, o l’inserimento in primo piano, quasi vertiginoso, di alberi a dividere la scena in due o più segmenti, sull’esempio dei primi piani di Hokusai o Hiroshige. Da un punto di vista tecnico, però, van Gogh fu in un certo senso debitore degli stimoli che gli giunsero dall’osservazione del lavoro di Impressionisti e Neo-Impressionisti, in particolare dell’amico Émile Bernard; sul loro esempio, soppresse l’illusione della profondità optando per una superficie piatta, cui però dava volume attraverso la sua caratteristica pennellata materica.

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Vincent van Gogh – Autoritratto con orecchio bendato, 1889 The Samuel Courtauld Trust, The Courtauld Gallery, London

E ancora, introdusse nelle sue tele quegli effetti spaziali insoliti di cui i giapponesi erano maestri, come i bruschi tagli degli elementi in primo piano, o il lasciare sguarnita la fascia centrale della composizione. Su questi principi, l’arte giapponese era diventata il riferimento principale per la sua pittura, tesa alla narrazione della natura, e per proseguire lungo questa china nel febbraio del 1888 si trasferì ad Arles, perché, come aveva scritto al fratello Theo, in Provenza si ritrovava la stessa natura gioiosa e rigogliosa, e le atmosfere luminose che aveva ammirate nelle stampe giapponesi.

Lo raggiunse poco dopo l’amico e collega Gauguin, con il quale il sodalizio si ruppe in maniera drammatica l’anno successivo. Un episodio del quale resta traccia nel celebre Autoritratto con orecchio bendato. Questa e altre opere, come la Camera da letto, sono incluse nel percorso della mostra per ampliare la visuale sull’ultima fase della vita e della pittura di van Gogh.

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Vincent van Gogh – L’arlesiana, 1888 The Metropolitan Museum of Art, New York, Bequest of Sam A. Lewisohn, 1951

Si tratta di un’esposizione pregevole sia dal punto di vista artistico, ma anche e soprattutto emotivo, considerando che l’influsso dell’arte giapponese, in un certo senso, aiutò van Gogh a trovare la sua dimensione di pittore della natura; non attraverso uno stucchevole realismo accademico, bensì per tramite di un’interpretazione empatica del paesaggio, come si evince da una sua lettera al fratello:

“Dopo un po’ di tempo la tua visione cambia, vedi con un occhio più giapponese, senti il ​​colore in modo diverso. Sono anche convinto che sarà proprio attraverso una lunga permanenza qui (ad Arles, nda) che potrò esprimere la mia personalità”.

La ricerca di van Gogh fu purtroppo interrotta dal manifestarsi della malattia mentale che lo costrinse al ricovero ospedaliero a Parigi, e che lo portò al suicidio nel 1890. Con lui scompariva non soltanto l’artista europeo che aveva saputo ispirarsi alla pittura giapponese con la maggiore originalità, ma anche e soprattutto uno degli interpreti più sensibili dell’arte europea.

Informazioni utili

Van Gogh e il Giappone

Dal 23 marzo fino al 24 giugno 2018

Van Gogh Museum, Museumplein 6, 1071 DJ Amsterdam, Paesi Bassi

vangoghmuseum.nl

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