La grande arte del dopoguerra si rivela a Milano. Dopo il grande annuncio (di cui vi avevamo già parlato qui), è stata finalmente inaugurata alle Gallerie d’Italia, sede museale di Intesa Sanpaolo in Piazza della Scala, la mostra “Arte come rivelazione. Dalla collezione Luigi e Peppino Agrati“, che rimarrà nelle sale della vecchia Banca Commerciale Italiana fino a domenica 19 agosto.
Un’occasione unica per ammirare tutti i grandi protagonisti dell’arte del dopoguerra. L’esposizione, curata da Luca Massimo Barbero, è stata inaugurata mercoledì 16 maggio e, con grande soddisfazione sia del presidente emerito di Intesa Giovanni Bazoli che dell’assessore alla cultura Filippo Del Corno -che ha sottolineato durante la conferenza stampa la volontà di creare un vero e proprio “arcipelago culturale” costituito da tutte le realtà museali milanesi- sarà aperta al pubblico gratuitamente per tutta la sua durata.
>> La collezione in mostra presenta 74 opere di una collezione in realtà ampissima –più di 500 lavori– resa disponibile grazie a Mariuccia Agrati, moglie di Luigi Agrati. Una serie di capolavori di artisti americani quali Andy Warhol, il suo allievo Jean-Michel Basquiat, Robert Rauschenberg e Christo e di alcuni dei grandi protagonisti del Novecento italiano, tra i quali Lucio Fontana, Piero Manzoni, Mario Schifano, Alberto Burri e Fausto Melotti.
“Arte come rivelazione significa presentare per la prima volta al pubblico una selezione rappresentativa di opere della raccolta Luigi e Peppino Agrati come dono visivo alla città, disvelando la sensibilità e l’amore per l’arte dei due collezionisti. Quando nel novembre del 1970, oggi noto come uno dei momenti epocali dell’arte contemporanea a Milano, Christo rimuoveva il telo bianco con cui aveva impacchettato il Monumento a Vittorio Emanuele II di piazza del Duomo per coprire il Monumento a Leonardo di Piazza della Scala, gli Agrati vivevano in diretta il grande evento. Peppino, entrando subito in contatto con l’artista, gli commissionò alcune opere per il giardino della sua villa in Brianza e fu tra i mecenati di Valley Curtain, uno degli interventi ambientali che hanno fatto conoscere Christo quale pioniere della Land Art. Questa appassionata presa diretta sui più importanti sviluppi dell’arte a loro contemporanea, significativamente esemplificata dal rapporto personale con Christo, si rispecchia anche nell’intenso dialogo con Fausto Melotti e nell’attenta e profonda comprensione di tendenze quali l’arte concettuale e il minimalismo, di cui il grande neon di Flavin, dedicato proprio a Peppino Agrati, è emblema. Le opere raccolte ci parlano oggi di un modo di concepire la collezione come rivelazione e arricchimento, come condivisione di un mondo possibile di immagini che incarnino il vivere contemporaneo”.
Luca Massimo Barbero
La mostra si “rivela” al pubblico con un percorso espositivo che parte da un nucleo -quasi isolato in una struttura bianca che si colloca nel mezzo della sala d’ingresso alle Gallerie- di sculture di Fausto Melotti, tra cui Un folle amore (1971), che dà il titolo alla sezione dedicata all’artista. L’opera dimostra il tipico equilibrio precario delle opere dell’artista, che disse a riguardo “rappresenta l’amore e l’amore è semplice. Due stele che si abbracciano e niente di più”.
Si prosegue con la grande sezione dedicata a Christo che, oltre all’intervento -durato solo un giorno- in Piazza Duomo a Milano, fece un progetto proprio per il roseto della villa di Peppino Agrati fuori Milano, dimostrando il grande rapporto che il collezionista aveva instaurato con il grande artista, allora poco più che trentenne.
Il percorso continua con una riflessione sull’immagine e il concetto, portata avanti dai grandi rappresentanti dell’arte degli anni ’60 -Pistoletto, Boetti, Schifano, Kounellis, Pascali e Paolini- e su una ricerca sulla materia e lo spazio, dove viene naturale aspettarsi le opere informali di Burri, quelle spazialiste di Fontana -due Concetti Spaziali su tela, due in bronzo e un Teatrino- e anche un monocromo di Yves Klein.
Si passa ad una sezione dedicata all’arte concettuale, con i neon di Bruce Nauman e di Dan Flavin -quest’ultimo dedicato a Giuseppe Agrati- esposti accanto ad opere di Vincenzo Agnetti, Kosuth e ad un grande lavoro a biro rossa di Alighiero Boetti -presente in mostra anche con degli arazzi, I vedenti (1973)- con undici elementi dal titolo Ononimo (1973).
La mostra si conclude con la sezione dedicata alle icone dell’arte americana: il Triple Elvis (1963) di Warhol “guarda” uno dei due tardi Basquiat -uno del 1985 e uno del 1986- presenti in mostra, affiancati da ben tre lavori di Rauschemberg, due combine paintings, in cui la pittura si affianca ad elementi metallici come lattine, ed un’opera appartenente alla serie dei Gluts.
Il variegato percorso espositivo non fa altro che comunicare allo spettatore la grande curiosità e capacità di approfondimento che ebbero i fratelli Agrati, i quali anticiparono molte delle tendenze del mercato dell’arte e furono i primi nel nostro paese a sostenere grandi nomi come Twombly o Richard Serra. La lungimiranza di questi due industriali non è altro che la storia che si cela dietro la mostra, un percorso libero da ogni sequenzialità cronologica, che mira a coinvolgere lo spettatore in un grande mosaico di capolavori, che renderà le Gallerie d’Italia tappa obbligatoria nei prossimi mesi per tutti gli amanti della grande arte.
“Arte come rivelazione. Dalla collezione Luigi e Peppino Agrati“
Gallerie d’Italia – Piazza Scala
Sede museale di Intesa Sanpaolo a Milano
16 maggio – 19 agosto 2018