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Interrogare il passato alla ricerca di nuovi significati. Agostino Iacurci ci racconta la sua ultima mostra, Gypsoteca

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La Gypsoteca di Agostino Iacurci (Foggia, 1986): un progetto espositivo site specific negli spazi di M77 Gallery di Milano. Il punto di arrivo di una ricerca durata quasi due anni intorno al tema del colore così come veniva concepito e utilizzato nella pratica della statuaria antica. Un viaggio in un universo parallelo, ricco di immagini e invenzioni visive animate dal colore. Da martedì 22 maggio a sabato 8 settembre 2018. Agostino Iacurci ci racconta la sua Gypsoteca.

  • Antichi personaggi scultorei prendono forma grazie a colori accecanti. Sembra un contrasto proiettato verso il contemporaneo, ma allo stesso tempo il legame ha origini classiche. Puoi dirci di più?

L’idea della mostra è nata durante una visita alla mostra “El color de losDioses. Policromía en la Antigüedadclásica y de Mesoamérica”, a Città del Messico. Nella mostra erano presentate delle riproduzioni di statue antiche greche e romane ricolorate con i colori e le decorazioni originali, accostate a sculture ed architetture mesoamericane, anch’esse ricolorate secondo lo stesso metodo. La cosa che le accomunava è che in entrambi i casi è stata tramandata una falsa idea di un passato monocromo e monolitico, bianco e candido come il marmo nel caso occidentale, scuro e nero nel caso del centro-America. Mi trovavo in Messico alla ricerca di nuovi stimoli, ed ero in particolar modo interessato ai colori messicani, soprattutto quelli usati in edilizia ed architettura.

In questa ricerca di qualcosa di nuovo,mi sono paradossalmente ritrovato a scoprire i colori originali della mia terra e delle antiche culture dei nostri territori. Sono tornato a Berlino con l’impressione che quella parata di statue con il rossetto rosso, i centurioni con le armature decorate come carte da parati, i leoni con le criniere azzurre, fossero una delle cose più esoticheviste durante quel viaggio. Da lì ho iniziato ad interessarmi più seriamente al tema dell’uso del colore nel mondo antico e di come, nonostante le evidenze scientifiche, prevalga ancora nell’immaginario collettivo questa visione di un mondo classico occidentalebianco ed eroico e le sue conseguenze politiche e sociali.

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  • La tua Gypsoteca può essere definita come un contemporaneo catalogo personale dell’antico. I personaggi che hai scelto di raffigurare hanno una valenza particolare per te?

Volevo che la mostra fosse un progetto sul colore; per questo motivo ho deliberatamente tralasciato tutto il discorso sulla mitologia, l’epica e la storia. Ho piuttosto selezionato determinati elementi ricorrenti della statuaria, “clichè” della scultura e dell’architettura del mondo classico per poi reinterpretarli in pittura, senza curarmi di citare o far riferimento a persone, fatti o altre opere nello specifico. Per questo i dipinti si chiamano semplicemente “busti”, “colonne”, “anfore”, “fregi” etc.

Anche le sculture in mostra, copie in gesso di sculture ed elementi architettonici esistenti (di quelle che si trovano facilmente in qualsiasi catalogo di gessi da giardino) sono state scelte secondo questa logica orizzontale, senza badare ai riferimenti storici.

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Queste sculture sono piuttosto legate, come la mostra stessa, a vicende personali. Mentre lavoravo a questa mostra nel mio studio di Berlino, ho scoperto nel retro-bottega di unatavola calda greca dove mi capitava di andare a bere un bicchiere di vino, un magazzino di vecchi gessi, lampade e paccottiglia varia. I gestori infatti, parallelamente alla cucina casereccia greca, si dedicavano alla compravendita di copie in gesso greche, buona parte importate dalla Polonia, da rivendere ad anziane signore del quartiere. Mi è sembrata un’interessante coincidenza ritrovare questo “tesoro” abbandonato in quello sgabuzzino, per cui l’ho preso in blocco, rimanipolato ed integrato nella mostra. Le sculture si intitolano infatti “Eftyakia”, che è il nome dell’anziana proprietaria del locale.

  • I tuoi colori costruiscono forme sintetiche ma incredibilmente espressive. Come riesci a mantenere questa complessa ma immediata armonia?

Non saprei, in realtà nel momento in cui realizzo i lavori mi approccio all’opera in maniera quasi astratta. Mentre dipingo il soggetto del quadro per me diventa solo un pretesto, un punto di partenza in cui poi il grosso del lavoro è appunto la ricerca sulle forme, sul colore, e sullo spazio in generale.

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  • Ogni opera è un piccolo varco verso un mondo incantato. Anche grazie alle icone classiche, i quadri assumono un carattere rassicurante. Possiamo leggere in questo una richiesta d’aiuto a una cultura lontana, come quella greco-romana, ma ancora in grado di sorprenderci con l’attualità dei suoi insegnamenti?

Sempre durante lo stesso viaggio in Messico, sono rimasto colpito da un murales che aveva un’iscrizione in cui venivano elencati tutti i prodotti che “il mondo deve al Messico”: pomodori, caffè, cacao, patate, peperoni. Questo mi ha portato a riflettere in generale sul tema dei “classici” e dell’identità dei luoghi e dei popoli.

Ad esempio, in territorio gastronomico, riflettevo sul fatto che moltissimi degli alimenti simbolo, i grandi “classici” della mia terra di origine (il sud Italia), in realtà siano stati introdotti solo recentemente nella nostra cultura: ad esempio il pomodoro, sconosciuto fino alla scoperta dell’America, considerato una pianta velenosa e/o ornamentale per quasi 200 anni,e solo in tempi recentiintrodotto nella nostra alimentazione per poi diventare un prodotto bandiera.

Il mio, più che una richiesta di aiuto ad una cultura lontana, è un invito ad interrogare il passato in chiave critica, riattualizzandone il valore e ridiscutendone le certezze alla ricerca di nuovi significati. E’ il tentativo di riavvicinare e riscoprire la complessità di quel mondo che poi tanto lontano non è (neanche in termini storici) se guardiamo alla storia in una prospettiva più ampia.

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