Coricati ed esibiti, dietro una vetrata, su due lettini ortopedici, i Bronzi di Riace sono due caduti in battaglia, le magnifiche vittime dell’inadeguatezza italiana. Vederli sdraiati è il primo scandalo di incredulità. Un simpatico signore in camice bianco li accudisce come fossero i suoi figli. Cosimo Schepis, uno dei restauratori di esperienza internazionale, calabrese gramsciano – perché pessimista della ragione – ama questi due ostaggi del “paisi i ‘m’incrisciu e mi ‘ndi futtu’/ e tutti i cosi sunnu fissaria” , “il paese dei ‘mi annoio e me ne fottò e ogni cosa è fesseria”, e parla con dolcezza ai suoi pazienti. Ma trattandoli come fossero vivi, li fa sembrare morti.
E difatti io stento a riconoscere il sovrappiù di umanità, di forza, di spirito, e i nervi in fuga, e le dita prensili, insomma quell’eccesso di vita che nei Bronzi guerrieri è verticalità. E allora vorrei attraversare il vetro, romperlo e passare dall’altra parte per rimettere in piedi questi Bronzi che, a quarant’anni dal ritrovamento nel fondo del mare, vengono esibiti così, coricati in una saletta del bruttissimo, marmoso Consiglio regionale della Calabria, palazzo Campanella, un altro fantasma d’uomo dell’antichità che si è perduto nella città del sole dove i Bronzi di Riace, quelli dritti, sono dappertutto, riprodotti con la regia di Benjamin andhywarlholizzato. (Fonte: La Repubblica. Per leggere la notizia clicca qui)