Apre per la prima volta al pubblico la celebre copia della Vergine delle Rocce leonardesca (1517-1520) attribuita a Francesco Melzi, dal 30 gennaio al 31 dicembre 2019, nella Chiesa di San Michele sul Dosso di Milano. L’opera non compariva dal natale 2014, anno in cui fu esposta a Palazzo Marino accanto alla Madonna Esterhazy di Raffaello. Raffaella Ausenda, storica dell’arte e curatrice del catalogo, edito da Skira, dedicato alla Vergine del Borghetto, racconta:
Milano, 1850. La contessa Ricciarda Belgiojoso, di nobile famiglia milanese, consegnò in dono a Clementina Brambilla Balabio una tela “con cornice dorata ad angoli intagliati” raffigurante la cosiddetta Madonna della Grotta, ossia una copia della Vergine delle Rocce leonardesca. Quest’ultima, a sua volta, pose l’opera nell’oratorio di Santa Maria Assunta, una chiesetta costruita nel primo ventennio dell’Ottocento in via del Borghetto, nella zona di Porta Venezia, da cui la copia leonardesca prese il nome. La chiesa, una volta messa all’asta e acquistata dal parroco di San Babila, nel 1886 fu venduta alle Suore Orsoline di San Carlo.
La storia vuole che nel luogo dove ora l’ordine delle Orsoline possiede una delle sue sedi, quale la Chiesa di San Michele sul Dosso in via Lanzone 53, si trovasse la Basilica di San Francesco Grande, un enorme complesso che fino alla sua distruzione, avvenuta per mano degli austriaci nel 1806, fu la seconda chiesa milanese per dimensione dopo il Duomo. Per il suo gigantesco altare, la Confraternita dell’Immacolata Concezione aveva commissionato, il 25 aprile 1483, ai fratelli Evangelista e Giovanni Ambrogio de Predis e a Leonardo da Vinci, già citato “maestro” un solo anno dopo l’arrivo nel capoluogo lombardo, una complessa ancona al centro della quale si doveva trovare una tavola raffigurante la Madonna col Bambino con angeli e due profeti. Quella che un tempo doveva essere la “tavola di mezzo dipinta in piano” oggi la chiamiamo Vergine delle Rocce ed è conservata al Louvre di Parigi. Nonostante si tratti di una copia, che i più esperti leonardeschi attribuiscono con ogni probabilità al fedele allievo Francesco Melzi, il ritorno della tela costituisce quasi un gioco del destino che vuole l’iconografia della Vergine del maestro di Vinci essere di nuovo accolta nel luogo per cui era stata destinata. Infatti nessuna delle due versioni originali si trova a Milano ma sono conservate rispettivamente al Museo del Louvre di Parigi e alla National Gallery di Londra. La copia venne riconosciuta negli anni novanta del Novecento dalla storica dell’arte Gabriella Ferri Piccaluga che in quegli anni lavorava presso le Orsoline. Il dettaglio che mosse la studiosa ad approfondire la provenienza della tela fu l’assoluta corrispondenza delle misure con l’originale, individuata nella pala centinata conservata in Francia, riconoscibile dalla mano dell’angelo che indica, dettaglio assente nella Vergine delle Rocce della National Gallery. L’altissima qualità del disegno ne confermò ulteriormente il valore tanto che la Ferri Piccaluga fece chiamare Carlo Pedretti, tra i massimi studiosi del genio fiorentino, il quale dichiarò il quadro “indubbiamente importante”.
Un successivo restauro, nel dicembre del 1997, eliminò dalla tela una patina eccessivamente scura, risalente all’ultimo intervento cui venne sottoposta nel Settecento e restituì alla modernità una pellicola pittorica di straordinaria qualità. La sicurezza che al tempo mosse gli storici nel definire l’opera una copia si gioca su due importanti dettagli: la diversità dei leganti tra i colori rispetto agli originali e l’assenza di un disegno preparatorio. Tuttavia Pedretti riconobbe la copia come, si perdoni l’ambiguo gioco di parole, una copia autentica di bottega leonardesca. Ad oggi si pensa che venne addirittura eseguita sotto gli occhi del maestro o da qualcuno a lui molto vicino e, sempre Pedretti, grazie alla presenza di particolari pigmenti e a una ricerca accurata della tecnica, ha ipotizzato che la mano in questione fosse proprio quella di Francesco Melzi, il giovane lombardo che dal 1510 seguì Leonardo fino agli ultimi giorni in Francia. Rimane un solo quesito che non trova tuttavia risposta e che a sua volta pone altri interrogativi: come mai il supporto è su tela? Come viene confermato dagli studi rinascimentali si destinavano a supporti su tela le opere che avevano necessità di trasporto. Da qui dunque si genera tutta una serie di riflessioni legate al luogo di origine in cui il quadro venne concepito –in Italia o in Francia? Secondo Pedretti ad Amboise- e in che modalità passò dalla famiglia Melzi alla collezione dei Belgiojoso.
Nonostante la storia lasci l’indagine aperta e pagine bianche ancora da scrivere, la città di Milano dona, proprio nell’anno dei cinquecento anni dalla morte del genio di Vinci e in uno dei luoghi più identitari della sua presenza nel capoluogo, una copia eccellente e d’inestimabile valore della prima versione della Vergine delle Rocce oggi conservata al Louvre di Parigi.
Informazioni utili
La Vergine delle rocce del Borghetto
di Francesco Melzi
dal 30 gennaio al 31 dicembre 2019
visite guidate su prenotazione obbligatoria
Chiesa di San Michele sul Dosso
Via Lanzone 53,
Milano 20123
da lunedì a venerdì: dalle 16.30 alle 17.30
sabato: dalle 10.00 alle 11.30 e dalle 15.00 alle 17.30
domenica: dalle 15.00 alle 17.30
prenotazioni@verginedelleroccemi.it