Prosegue all’Albertina Museum il ciclo dedicato alla fotografia austriaca contemporanea; dopo Alfred Seiland è la volta di Manfred Willmann, celebrato con una retrospettiva di circa 100 opere su sei serie fotografiche, dal 1979 al 2018. Fino al 26 maggio 2019.
Vienna. Quella focalizzazione quasi morbosa dei dettagli, i tagli in campo strettissimo, cui più tardi si aggiunse anche l’uso del colore in sostituzione del bianco e nero tradizionale, destarono da subito scalpore e curiosità sulla scena fotografica austriaca della fine degli anni Settanta. Appena ventenne, Manfred Willmann (Graz, 1952) era in grado di prestare all’obiettivo uno sguardo diretto e soggettivo, che gli nacque non solo dalle lezioni alla Kunstgewerbeschule di Graz, ma soprattutto da quelle tenute da Erich Kees al club fotografico “Naturfreunde Österreich Touristenverein”. Da lui, infatti, Willmann imparò a considerare la fotografia come una possibilità di indagare le questioni contemporanee in maniera del tutto personale. Ma soprattutto ammirava l’opera di Herbert Rosenberg (1931-1967) – membro del medesimo club fotografico prematuramente scomparso -, che nel 1972 fu celebrato da una retrospettiva al Forum Stadtpark di Graz.
Willmann raggiunse la notorietà nel 1981, con la pubblicazione del booklet Black&Gold, (1979-1981), una serie avviata due anni prima. Un lavoro autobiografico sviluppato su fotografie in bianco e nero caratterizzato da una prospettiva semplice e soggettiva, alla stregua di un’introspezione psicoanalitica del fotografo nel proprio ambiente; il quale fotografo, esamina il suo background sociale, la casa natale, i volti dei genitori, la cerchia degli amici di Graz, la scena artistica locale (una sorta di metaforica seconda casa), per finire con scorci di paesaggio o situazioni casuali incontrate per strada durante una passeggiata. Non si tratta però di un progetto narrativo a carattere generale né lineare; l’esasperato ingrandimento dei dettagli, le prospettive distorte, i tagli brutali di parti della scena, suggeriscono l’idea di un punto di vista sul mondo più intuitivo che razionale, concettualmente suggerito anche dall’ampio uso del flash.
Come affermò lo stesso Willmann, due sono le strategie della sua pratica artistica: in primo luogo, la fotografia concettuale. E poi, l’impostazione su serie, che permette di ampliare il punto di vista di ogni singola immagine, cogliendo di volta in volta differenti sfumature intuitive.
Dopo Black&Gold, Willmann abbandonò il bianco e nero in favore della pellicola a colori, facendo suo l’approccio di Luigi Ghirri e William Eggleston, che la concepivano come un mezzo concettuale di comunicazione di massa, includendola nel linguaggio artistico dal quale i puristi l’avevano sinora esclusa. A partire dalla serie The world is beautiful (1981-1983) grazie al colore le fotografie sono più vicine alla realtà, che restava l’obiettivo principale di Willmann; mentre l’accessibilità e il lato emotivo del colore riescono a stemperare l’altrimenti duro messaggio di fondo dell’immagine. Willmann è quindi fotografo costruttore di realtà artificiali che però aderiscono al contesto sociale di riferimento, si fanno elementi socioculturali, dispiegano emozioni e sensazioni quotidiane che sono caldi bagliori nel grigiore dell’esistenza.
Fra i lavori più celebri di Willmann, la serie The Land, dedicata alla regione rurale della Stiria e considerata una delle più importanti documentazioni per immagini della cultura agricola austriaca, senza cadere negli stereotipi degli idilli alpestri; si tratta infatti di fotografia artistica e concettuale, che però mantiene, al fondo, un profondo legame con la realtà del territorio. I colori distorti creano effetti visivi sorprendenti, catturando immediatamente l’attenzione dello spettatore; scene dolorose, decadenti, al limite del macabro – accentuate dal campo quasi sempre strettissimo animali morti e acque stagnanti -, si alternano a prati e alberi fioriti, distese innevate, mucche al pascolo, e la stravagante presenza umana vista quasi come un qualcosa di alieno.
Strettamente biografica la serie For Christine, realizzata fra il 1984 e il 1988 e dedicata alla compagna Christine Frisinghelli. Qui, il volto della donna si combina con sfondi e motivi già presenti nell’opera di Willmann, di modo che la valenza biografica è doppia: sia per autocitazioni artistiche, sia per l’elemento affettivo della propria vita privata. Per questa ragione il carattere intimo che sempre contraddistingue l’opera del fotografo, aumenta la sua portata, in particolare negli interni domestici; immagini abilmente costruite ma capaci di comunicare complicità.
In ordine di tempo, l’ultima fatica di Willmann è stata la serie Lightning Flash&Gentian Blue (2017), i cui elementi principali sono il flash, il colore e il mondo vegetale e animale. Uno studio attento delle superfici biologiche, come la pelle e le squame, le foglie e le zolle di terra. Il solito campo ristrettissimo consegna allo sguardo piccoli frammenti di un vastissimo universo biologico.
In linea generale, per quanto delicata ed equilibrata nella composizione, la fotografia di Willmann possiede un fondo d’inquietudine che ricorda i versi di William Hugh Auden, su cui aleggia un fatalistico senso di morte. Come accennato, il tratto fondamentale della fotografia di Willmann è il colore, introdotto alla fine degli anni Settanta, quando ancora era praticamente sinonimo di un approccio commerciale o amatoriale; ha invece dimostrato, assieme a colleghi come Seiland, di saper innovare l’idea di fotografia avvicinandola all’arte concettuale.
Informazioni utili
Manfred Willmann
Fino al 26 maggio
Albertina Museum, Albertinaplatz 1, 1010
*Nella prima immagine: Manfred Willmann, Volkmarweg 36 (dettaglio), da Black&Gold, 1979-1981 The Albertina Museum, Wien © Manfred Willmann.jpg