Fino al 19 luglio la galleria Otto Zoo di Milano presenta Malerbe, mostra dedicata a Franco Arocha e Tiziano Martini. Memoria e gesto pittorico si incontrano nelle sperimentazioni dei due artisti.
Colorate e senza forma, come la memoria, si presentano le opere che compongono Malerbe. Quadri tra l’astratto e l’informale che si situano “dove la superficie si è spezzata, rivoltata, scrostata. Smossa dal tempo dell’abbandono rivela nuova terra, nuova vita”, come scrive Annika Pettini. Il lato più nascosto e invisibile della pittura emerge dagli strati sovrapposti e dai vuoti che Franco Arocha e Tiziano Martini imprimono nei loro lavori. Mostra doppia dunque alla galleria Otto Zoo di Milano, che combina senza mediazioni le opere dei due artisti, accomunati da una stessa sensibilità verso la riflessione sulla tecnica pittorica e sulle profondità della memoria, che spesso si trovano all’interno di una ferita.
Graffi, tagli, lacerazioni nei muri che rappresentano la vita e l’anima di una città (“ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, […] in ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole”. Italo Calvino, Le città invisibili) sono oggetto di ricerca di Franco Arocha. Attraverso la raccolta di frammenti di intonaco, vernici e graffiti che formano la pelle esterna degli edifici, riesce a raccontare l’estetica e anche l’identità dei luoghi. Il suo lavoro consiste infatti nel realizzare, con questi resti, collage pittorici che diventano ritratti delle città, memorie e stratificazioni urbane.
Riflessione perpetua ed esasperata quella di Tiziano Martini, che sacrifica le immagini per concentrarsi sull’aspetto processuale della pittura. L’oggetto del suo interesse non contempla figurativismo, ma superfici, materia e soprattutto modalità operative. Il suo lavoro è una riflessione continua e aperta sulle possibilità processuali della pratica pittorica e dei suoi componenti: il risultato sono coesioni di strati di colore acrilico, superfici lisce o specchianti, abrasioni piuttosto che oggetti a cavallo tra scultura e pittura, sempre in bilico tra la volontà del colore e l’intenzione dell’artista.