Quale opera d’arte salveresti dalla distruzione se potessi sceglierne una sola? Sappiamo bene che si tratta di una domanda quasi da distopia orwelliana, visto che presuppone una tragedia che preferiremmo non immaginare nemmeno.
Le opere d’arte sono di una solitudine infinita, misteriose esistenze, la cui vita perdura nel tempo, accanto alla nostra, piccola realtà, che è invece destinata a svanire. Cancellare le opere d’arte, toglierle dai nostri sguardi, è un delitto che uccide l’unica rappresentazione che siamo riusciti a dare al tempo che non finisce.
Eppure, per celebrare la prima del film “Il Cardellino“, la Warner Brothers Pictures e Sotheby’s hanno pensato di rivolgerla ai protagonisti della pellicola e agli esperti della casa d’arte, ricevendo risposte particolari, molto diverse fra loro, e anche molto interessanti.
Il film, che vanta nel cast fra gli altri Ansel Elgort e Nicole Kidman, diretto da John Crowley, è un adattamento dell’omonimo romazo della scrittrice Donna Tart, grande sucesso americano e premio Pulitzer 2014, per 30 settimane in testa a tutte le classifiche degli Usa. Racconta la storia di Theo Decker, un ragazzo di 13 anni, che fugge dal Metropolitan Museum di New York, distrutto dall’esplosione di una bomba, che causa anche la morte di sua madre. Scappando dalle rovine, Theo si porta dietro l’opera Il Cardellino di Carel Fabritius, pittore olandese del dicasettesimo secolo, allievo di Rembrandt, che gli stava rapendo gli occhi proprio poco prima della tragedia. Nel corso del suo turbolento viaggio verso l’età adulta, fra una disavventura e l’altra, trova conforto nel dipinto, venerandolo come l’unico oggetto che lo lega al passato. La sua elaborazione del lutto si trasforma quasi in un’ossessione, ma nel contempo questa percezione sincretica dimostra anche l’immenso significato che un’opera d’arte arriva ad assumere per chi la possiede.
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Posti di fronte alla questione, non tutti sono riusciti a rispondere come imponeva la domanda. Angel Elgort ha scelto di salvare la Cappella Sistina. Sarah Paulson ha detto che porterebbe via Woman in Gold, il celeberrimo ritratto di Adele Block Bauer, dipinto da Gustav Klimt nel 1907. Emile Gordenker, direttrice del Nauritshius, il museo dove è conservato il Cardellino, un dipinto di un contemporanmeo di Fabritius, Johannes Vermeer, la pittura a olio View of Delt.
Gli specialisti di Sotheby’s «hanno scelto opere con un legame professionale o personale: chi ha privilegiato un dipinto che ha segnato la propria carriera e chi quello che ha amato di più nella vita». Ma Luke Wilson e Nicole Kidman non hanno saputo scegliere una sola opera d’arte. Wilson scapperebbe dal museo ammucchiando tutto quello che può e Nicole Kidman cercando di portarsi via una intera collezione. Aneurin Barnard salverebbe addirittura tutta Venezia, città museo come Firenze. E anche George Gordon, presidente del Dipartimento dei dipinti antichi di Sotheby’s, alla fine è rimasto nel dubbio: «Io sceglierei uno degli autoritratti di Rembrandt. Come insieme di lavori sono senza paragoni nella storia della pittura, sia per la capacità di autoanalisi implacabile e brillante, che per la padronanza del pennello. Solo che non riuscirei a sceglierne uno solo».
La verità è che salvare l’arte è un’arte. E alcuni di noi hanno davvero compiuto questo capolavoro nella loro vita, quello di preservare l’unico tempo che scorre infinito davanti ai nostri occhi, l’opera di un uomo che descrive la bellezza in un quadro o come hanno fatto i nostri padri senza nome e cognome che hanno disegnato i templi della natura sulle nostre colline pettinate con i campi e le vigne, e costruendo le città d’arte incastonate nei paesaggi. Perché l’arte appartiene al mondo e ci sono tanti modi di crearla e di distruggerla. Ogni capolavoro non è fatto per sbalordire. E’ fatto per entrare in noi. E la sua distruzione è nella malvagità dell’uomo.
Durante la Seconda guerra mondiale, un anonimo custode di una villa occupata dai nazisti, riuscì a salvare le opere d’arte che i soldati volevano bruciare in un grosso falò per riscaldarsi, facendoli bere fino a ubriacarli e così mettendo in salvo i quadri. L’hanno dimenticato anche i libri. E nessuno oggi si ricorda di Jacques Jaujard, che evacuò di nascosto 3690 opere del Louvre, compresa la Monna Lisa, aiutato da un piccolo esercito di guide, studenti, professori, uscieri e impiegati, imballandole in 1682 casse bianche, su 37 convogli diretti verso i castelli della Loira, per salvarli dalla cupidigia nazista. Nemmeno Monuments Men lo ha ricordato nel film. Cesare Fasola e la moglie Giusta Nicco, invece, nascosero quel che poterono del patrimonio degli Uffizi. Non dobbiamo solo dire grazie a Rodolfo Siviero, spia e agengte benemerito, se possiamo ancora ammirare molti nostri capolavori. O a Pasquale Rotondi, soprintendente delle Marche, che salvò oltre diecimila opere d’arte, da Giorgione a Tiziano, Tintoretto, Piero della Francesca, Caravaggio, Rubens, Tiepolo, Lorenzo Lotto, il Perugino. Li nascose nella Rocca di Sassocorvaro, aiutato da un autista, 4 custodi e due carabinieri, e nella villa del principe Carpegna. Dopo l’8 settembre, i tedeschi occuparono quella villa per cercare tutto quel ben di Dio. Aprirono la prima cassa e trovarono i manoscritti di Gioacchino Rossini. «Che cos’è questa cartaccia?», chiese il comandante. Sono tutti documenti come questi, disse Rotondi e convinse i militari a rinunciare. Qualche volta il destino aiuta i giusti.
Ecco, è per tutto questo che se mi facessero questa fatidica domanda su quale opera salveresti dalla distruzione, non saprei cosa rispondere. O forse sì. Ma con un sogno, una provocazione. E allora direi la Natività del Caravaggio, un capolavoro che forse non esiste più, rubata nel 1969 dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo, perchè dopo tanti anni di inutili indagini, c’è il fondato timore che sia andata distrutta, o tutt’al più finita in qualche cassaforte segreta della mafia, nascosta agli occhi del mondo. In quel ritratto familiare dai toni ombrosi e notturni, nella sua luce radente, l’insieme dell’immagine ha un’emozione toccante, come in molti capolavori del Caravaggio, con Maria che è una bellissima popolana dai capelli castani e il volto affilato, presa a contemplare con aria mesta e triste suo figlio, abbandonato a terra come un guscio di tellina buttato sul misero pagliericcio, come se conoscesse già il suo destino.
Dopo anni e anni di indagini senza risultato, il giornalista inglese Peter Watson fu contattato nel 1980 da un mercante d’arte che gli propose la Natività. L’incontro con i ricettatori fu fissato la sera del 23 novembre, proprio quando il grande terremoto distrusse la regione. Così non ci fu mai quell’incontro. E’ l’ombra nera del destino che si accanisce. Nel 2009 Gaspare Spatuzza disse che il quadro era stato affidato ai capimafia della famiglia Pullarà, che avrebbero nascosto l’opera in una stalla dove fu rosicchiata dai topi e dai maiali. I resti ormai rovinati furono dati alle fiamme. Ma in questa terribile realtà, io mi affido ancora ostinatamente al sogno, perché pure questo in fondo è l’arte, il magnifico ritratto di una utopia, del tempo che non finisce.
L’arte non insegna niente, diceva Henry Miller. «Tranne il senso della vita». Ecco. Per tutto quello che rappresenta, in nome di tutti i capolavori che hanno raffigurato la nostra esistenza, il dolore che ci insegue e la felicità che ci sfugge, io la rivorrei indietro. Per salvarla per sempre. Solo per questo.