L’attualità, la sedimentazione del vivere, la memoria. Gianluigi Colin torna nell’amata città di Parma con una nuova mostra: Costellazioni familiari. Dialoghi sulla libertà. Dal 27 settembre al 1 dicembre 2019 a Palazzo del Governatore.
“La mostra di Colin non è da guardare, ma è una mostra di cui capire le domande, per esempio cos’è l’arte oggi.”
Carlo Arturo Quintavalle
Entrando nella prima sala adibita alla mostra Costellazioni familiari. Dialoghi sulla Libertà, lo spettatore si imbatte in un enorme foglio di giornale, su cui scivolano onde del mare. Inizialmente, si perde in questo senso di serenità ed armonia evocato dalle onde. Ma solo abbassando gli occhi verso terra lo spettatore si ridesta, accorgendosi del vero orrore, protagonista dell’installazione. Sul pavimento sono disposte lastre di metallo, ricoperte da parole. Esse riportano alla tragica disavventura di Alan Kurdi, bambino siriano trovato morto nel 2015 sulla battigia di una spiaggia della Turchia. E quello sulla parete non è il mare calmo stampato nei nostri ricordi, ma il Mare di Alan.
L’Incipit dell’esposizione ci catapulta nell’universo dell’informazione, dell’attualità, legato inevitabilmente anche alle tragedie ed ingiustizie del nostro mondo. Ma non è l’unico tema trattato da Gianluigi Colin all’interno della sua mostra. Egli infatti realizza un’unione tra attualità e memoria, attraverso immagini, opere e temi in grado di evocare l’immaginario passato come quello corrente.
Gianluigi Colin, cover editor di La Lettura e art director del Corriere della Sera, accompagna lo spettatore all’interno della sua ricerca artistica, che coinvolge diversi sistemi, come quello delle parole e quello delle immagini, ma anche figure come Mimmo Rotella, Antonio Recalcati, Martino Gamper e molti altri. Amici, poeti, scultori, ma soprattutto artisti, che seguono Colin nella ricerca di un nesso tra la cronaca e il passato. È possibile percepire un sentore di ricordo, memoria, che si insinua all’interno delle sale del Palazzo del Governatore a Parma.
Aldilà dell’incipit, il percorso espositivo si amplia in un prologo e in 4 sezioni dedicate a temi e parole chiavi: Presente storico, Wor(L)ds, Impronte del presente e Sacche di Resistenza.
Il prologo aspetta il visitatore nella seconda sala, inondata da un flusso continuo di fotografie. Caotiche, insensate. Rappresentano l’assedio dell’immagine a cui tutti noi oggigiorno siamo dolentemente sottoposti.
Attraversando il flusso ininterrotto, si apre il percorso espositivo. Immagini, opere del passato, drammi e titoli di giornale invadono la mostra. È come un groviglio intricato impossibile da sciogliere. Eventi di cronaca, politici e uomini di potere incontrano i grandi artisti del passato, come Piero dalla Francesca, Georges Seurat e Andrea Mantegna. Risulta difficile distinguere le icone moderne da quelle passate.
Colin inoltre ripropone un soggetto a lui molto caro: i suoi Sudari. Sono sostanzialmente immondizia, stracci di parole, che però, attraverso il loro aspetto “vissuto”, trasudano memoria.
Colin non è solo un artista o un critico, ma è prima di tutto un uomo, che, indagando il mondo dell’informazione e scavando nella memoria, cerca di elaborare una riflessione sul presente. Su quanto il nostro mondo sia collegato a quello passato e quanto anche noi stessi siamo inevitabilmente legati tra di noi. Condividiamo lo stesso mondo, le stesse ingiustizie, le stesse conquiste.
È insito, all’interno della mostra, un senso profondo che potremmo chiamare “Ubunto”, che secondo l’ideologia africana, significa essere umani solo attraverso l’umanità degli altri.