Ed Clark, maestro della pittura astratta del secondo dopoguerra, ci ha lasciati venerdì all’età di 93 anni. Ad annunciarlo è stata la galleria Hauser&Wirth, che da anni lo rappresentava. Tra i nomi centrali dell’arte del secondo dopoguerra, con le sue pennellate dense e brillanti Clark ha saputo dare un contributo fondamentale allo sviluppo dell’espressionismo astratto americano.
Innovatore instancabile, per più di 60 anni ha creato opere in cui la potenza del gesto superava ogni altro elemento competitivo, riuscendo ad infondere sulla tela un’energia vitale a stento contenibile in due dimensioni. Gesti la cui nascita Clark imputava parimenti al caso e al contesto esterno, fermamente convinto che i risultati del suo lavoro cambiassero a seconda del luogo dove i quadri venivano alla luce.
Dopo essersi arruolato nell’aeronautica durante la seconda guerra mondiale ed essersi poi iscritto all’Accademia di Belle Arti di Chicago, nel 1952 lascia l’America per andare a Parigi, dove entra a far parte della cerchia di esuli afroamericani venutosi a creare nella capitale. È in questo periodo che, sotto l’influenza di Nicolas de Staël, la sua arte passa dalla figurazione all’astrattismo.
Inizia a ricoprire totalmente il pavimento del suo studio con tele bianche che poi riempie di colori spalmati con grandi colpi di scopa, il cui effetto di una potenza disarmante, quasi fossero segno di “velocità. Forse è qualcosa di psicologico. è come tagliare attraverso ogni cosa. è anche rabbia o qualcosa del genere. attraversare le cose con un grande colpo di scopa”, come emerge per sua stessa dichiarazione.
Tornato a New York a metà degli anni ’50, Clark si trova immerso nella scena dell’espressionismo astratto, la cui libertà gestuale e creativa è perfettamente in linea con il suo modo di fare arte. Quello dalla Francia all’America non è però un passaggio semplice per un giovane afroamericano, che si trova a dover fronteggiare le logiche di una società in cui è ancora il “maschio bianco” a farla da padrone. A nulla gli vale il sostegno e la stima di “colleghi” come Joan Mitchell e Donald Judd, il cui colore di pelle costituiva un lasciapassare per musei e gallerie di cui Clark non disponeva.
Il ritorno dall’atmosfera aperta di Parigi non era però stato semplice, trovandosi immerso in un clima in cui “l’uomo bianco” la faceva ancora da padrone. Una strada non facile, che l’artista ha però saputo percorrere a testa alta, affittando da solo gli spazi dove esporre e fondando, nel 1957, la galleria-cooperativa Brata con Al Held e Nicholas Krushenick.
Libertà creativa, orgoglio afroamericano, gestualità incontenibile. Un artista che per tutta la sua -lunga- carriera ha dato ogni fibra del suo corpo per cercare di comunicare all’esterno la potenza che aveva dentro. Una pittura che non è “qualcosa che capisci, vero? La lasci solo andare”.
*Ed Clark nel suo studio di Chelsea, 2018. Credit Chester Higgins Jr./The New York Times