Dipinti e sculture di Emilio Scanavino vengono rilette attraverso le sua produzione fotografica, sostanzialmente inedita e utile a comprendere la sua poetica. Emilio Scanavino. Genesi delle forme è a Parma, dal 10 novembre al 15 dicembre 2019.
L’indagine sulla materia appare sulla tela così com’è, spesso impossibilitata a tracciare l’intera ricerca che l’ha preceduta. Talvolta ci troviamo perciò davanti a dipinti Informali affascinanti ma enigmatici, evocativi di un sentimento ma assolutamente non informativi. Gli stessi segni tipici di Emilio Scanavino (Genova, 1922–1986) vivono e soffrono di questa condizione: capaci di attrarci con la loro atmosfera tenebrosa, ma altrettanto riluttanti quando sono chiamati ad aprirci i loro segreti.
Per questo Palazzo Pigorini di Parma con la mostra Emilio Scanavino. Genesi delle forme, a cura di Cristina Casero ed Elisabetta Longari, offre una lettura inedita dell’opera di Scanavino. L’artista, protagonista della stagione Informale della pittura italiana anni Cinquanta, vede per la prima volta affiancate alle sue opere una serie di scatti fotografici che fanno luce su particolari aspetti della sua produzione.
«A me piace fotografare. Ma non cerco belle immagini, mi piace andare in giro e ritrarre lo scheletro della natura, certi buchi, certi solchi che i secoli hanno scavato nelle montagne. I detriti che si accumulano nei luoghi dove la nostra civiltà industriale raccoglie le sue scorie mi raccontano cose incredibili»
Emilio Scanavino
Come si evince dalla citazione, è lo stesso Scanavino l’autore delle fotografie. I suoi soggetti sono piccoli scorci di realtà, piccoli elementi come corde, insetti, muri o pietre che si fanno elementi primari, quasi archetipali, che assumono un significato ulteriore rispetto a quello immediato. Il rapporto tra l’immagine fotografica e la produzione pittorica e scultorea di Scanavino diventa perciò fondamentale per addentrarsi nel suo sguardo e approfondirne la poetica.
“La fotografia aiuta Scanavino a leggere con evidenza il carattere particolare della materia, ne capta la qualità, la struttura segreta, la conoscenza, la più profonda e diretta possibile. La fotografia in questo quadro si rivela un ottimo strumento d’indagine, l’obiettivo è un occhio ravvicinato cui non sfugge nulla, o comunque che sa cogliere ciò che l’occhio umano non afferra”
Elisabetta Longari, curatrice della mostra