La Fondazione Adolfo Pini di Milano svela, fino al 20 dicembre, il suo Monumento impermanente. Il titolo ossimorico si associa all’opera di Stefano Romano, artista che sempre ragione sull’opera pubblica e spinge a riflettere sul suo ruolo.
Un enorme colosso informe è coperto da un drappo bianco. Sullo sfondo, una città americana perfettamente aderente agli stereotipi. Di lì a poco il velo sarà sollevato. È il giorno dell’inaugurazione del Monumento alla pace e alla prosperità. Ci sono il sindaco, le forze dell’ordine, la cittadinanza, la madrina. I discorsi e la musica in sottofondo sono forti e autoritari. Quando il velo è tolto, Charlot il senzatetto, accoccolato sulla maestosa statua, dà vita ad un geniale siparietto comico che distrugge la solennità del momento.
Così iniziava City Lights, film muto del 1931 scritto e interpretato da Charlie Chaplin. Che cosa succede, dunque, quando un’opera d’arte si trova nello spazio pubblico? Questo è ciò che Stefano Romano mette a tema nella mostra Monumenti impermanenti, visitabile fino al 20 dicembre alla Fondazione Adolfo Pini. L’esposizione, risultato dell’ultimo decennio di attività dell’artista, consta di due serie fotografiche e di diversi video. Per la realizzazione delle opere fotografiche, Romano si è avvalso della collaborazione del suo pubblico, costituito per lo più da passanti. È il caso di Study for a monument (2014-in corso), un archivio fotografico partecipato. Lo studio, per il momento, consta di 16 scatti i cui soggetti, su richiesta dell’artista, hanno messo in scena la loro personale idea di monumento. Unica imposizione dell’artista è il piedistallo: una scaletta rossa sorregge i diversi soggetti degli scatti. Ai protagonisti è lasciata la libertà di scegliere la posa, il luogo e il titolo.
I temi del monumento e della storia sono centrali anche in HISTOERI, registrazione di una performance dell’artista nel pieno centro di Tirana. Nel video, Romano si arrampica sulla Piramide, uno dei pochi monumenti architettonici risalenti al periodo della dittatura socialista. Una volta arrampicato, l’artista, con l’aiuto di un gruppo di bambini, srotola un telo bianco dove si legge la parola histeri (isteria). In albanese, i termini ‘storia’ (histori) e ‘isteria’ (histeri) differiscono per una sola lettera. La Piramide, infatti, in quanto simbolo di un regime dittatoriale ormai caduto, è al centro del dibattito politico albanese. È più giusto distruggerla o riconvertirla in un centro commerciale? O in una scuola, forse? È invece il caso che sia lasciata così com’è, a testimonianza delle vicende storiche albanesi? Di qui la riflessione sul tema del delicato equilibrio tra memoria e oblio, particolarmente caro all’artista che, ad oggi, vive e lavora tra l’Albania e l’Italia.
Ma ad avere valore monumentale non sono esclusivamente le opere che si definiscono tali: gli inni ufficiali con la loro forma austera o il concetto tradizionale di famiglia hanno la stessa funzione educativa e lo stesso tono enfatico del monumento alla pace e alla prosperità messo alla berlina da Chaplin. Di qui, Looking for a family, un’installazione fotografica nata dall’esigenza dell’artista di conferire una sfumatura più empatica al concetto di famiglia.
Nata dalla commistione di videoarte, fotografia e performance, Monumenti impermanenti – già contraddittoria nel titolo – si propone come spunto di riflessione sui temi della memoria e dell’oblio considerati sotto diversi aspetti: artistico, sociale e, in ultima analisi, politico.